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Recensione: “Tutta colpa di New York”, Cassandra Rocca.

Creato il 12 gennaio 2015 da Chiara

Recensione: “Tutta colpa di New York”, Cassandra Rocca.Titolo: Tutta colpa di New York (Tutta colpa di New York #1)
Autore: Cassandra Rocca
Editore: Newton Compton
Pagine: 198
Anno: 2013

Giudizio: 3/5

Sinossi
Fare un regalo non è sempre facile. Lo sa bene la giovane Clover O’Brian, che in qualità di personal shopper aiuta i suoi clienti nell’ardua impresa di scovare doni speciali. Natale è alle porte, New York è in fermento e Clover, da sempre innamorata dell’atmosfera natalizia, si gode il periodo dell’anno che preferisce.
Cade Harrison è un uomo molto fortunato. È un attore di Hollywood bello, ricco, famoso e amato. Anche il successo, però, ha i suoi lati negativi: appena uscito da una relazione disastrosa con una collega, Cade sente il bisogno di rifugiarsi in un luogo poco frequentato dalle star, lontano da occhi indiscreti e soprattutto dai paparazzi! E allora accetta volentieri di trascorrere le feste a New York, nella casa che gli presta un amico. Ma il caso vuole che la villetta in questione si trovi proprio di fronte a quella dove vive Clover che, fino a quel momento, gli attori hollywoodiani li ha visti solo sul grande schermo.
E così due vite, apparentemente inconciliabili, inciamperanno l’una nell’altra nel periodo più romantico dell’anno. Basterà la magia del Natale a far scoccare la scintilla?

L’anno scorso, in questo periodo, mi è capitato di andare a bere una cioccolata e lavorare su una simulazione di campagna elettorale, assieme alla mia ex coinquilina e ad un nostro compagno di corso. Siamo andati al bar della Feltrinelli, qui a Forlì, e ricordo che le pareti della libreria erano tappezzate con la copertina di questo libro: Tutta colpa di New York. Una copertina, detto tra noi, che ci azzecca molto poco con il periodo in cui questo libro è ambientato. Natale a New York è un po’ un classico nell’immaginario collettivo, una sorta di ottava meraviglia del mondo che ha per emblema il mastodontico albero di Natale di Trafalgar Square (Londra mon amour, sempre nei miei pensieri…!) Rockfeller Center che non manca di esser presente neppure in questa storia leggera e senza pretese. Clover, infatti, si ritroverà ad assistere alla cerimonia di accensione dell’albero dopo una serie di burrascosi incontri con Cade, il suo splendido e fastidiosamente famoso vicino di casa temporaneo. Perché Cade, in realtà, si trova in città solo per le vacanze, in fuga da una storia d’amore finita male e in cerca di un po’ di pace per raccogliere pensieri e idee prima di ricominciare con il solito tram tram quotidiano degno della star hollywoodiana che è. Non c’è molto da dire sulla trama, in realtà, perché è la prevedibile storia di due opposti che si incrociano, si attraggono e stentano – in un primo momento – a stare assieme. Ci sono tutte le incomprensioni, i fraintendimenti e gli equivoci che sono tipici di questo filone letterario – attrazione, carinerie di rito, allontanamento, risoluzione dell’inghippo e conseguente lieto fine – e la spolverata di Natale rende tutto assolutamente piacevole e divertente.

«Non stavi amoreggiando», mormorò Clover, sfuggendo il suo sguardo.
«Hai ragione, non del tutto. Ma adesso sì», sospirò lui, prima di avvicinare i loro volti e baciarla.
Clover trattenne il fiato. Le labbra di Cade erano morbide, calde e dolci, e sciolsero in parte il gelo che l’avvolgeva. Non riuscì a muovere un solo muscolo, rimase immobile a godersi il momento, le chiavi strette in una mano, il cappello di lana nell’altra, gli occhi fissi sulla parte del viso di Cade visibile attraverso le sbarre. Quando il bacio si fece più insistente i suoi occhi si chiusero e la bocca si ammorbidì. Con una mano riuscì ad afferrare il cancello, sentendo girare la testa per la confusione. Un solo bacio di quell’uomo e stava già per cedere, accidenti! Ma come si poteva resistere a quella seducente persuasione?

Tutta colpa di New York è un libro affidabile. Quello che promette, lo da. Ma per contro, da quello non si schioda. Persino i suoi protagonisti sono, in una certa misura, incastrati nei loro ruoli. Clover, con la sua aria da ragazza che sembra normale ma in realtà è straordinaria, cresciuta piena d’amore in grembo ad una famiglia terrificante, è solo per caso che non sfora nella gabbia di una fastidiosissima Mary Sue. E Cade, dal canto suo, non è da meno: il bello e impossibile, l’inarrivabile star, che si innamora della ragazza normale, è qualcosa che abbiamo tutte già incontrato un milione di volte in un milione di altri libri. Ho trovato carina, però, l’iniziale avversione di lei per la fama di lui, che si è dipanata come una specie di filo conduttore attraverso tutto il romanzo. Questo avviene nel bene e nel male, ovviamente, perché certe conseguenze hanno un po’ dell’inverosimile tanto sono stiracchiate. I personaggi secondati, poi, sono del tutto irrilevanti. Gli amici super supportivi, innamorati di Clover, troppo belli per essere veri, così come la non-famiglia di lei, e per contro l’ex ragazza cacciatrice di fama di Cade, e la sua famiglia invece incredibilmente unita, in un certo senso era come se non ci fossero. Davano l’impressione di essere una forzatura, inseriti solo perché non si poteva fare altrimenti, ma del tutto irreali.

«Non è stato poi così difficile. Sei molto diversa dalle persone che incontro di solito, è vero, ma in fondo non sei male», disse Cade, una luce calda negli occhi.
«La gente si inginocchia al tuo passaggio, vero?», chiese Clover.
Cade si strinse nelle spalle. «Sono tutti un po’ più… accomodanti».
«Vomitevoli leccapiedi, insomma».
Lui rise piano e Clover sentì contorcersi le viscere a quel suono sensuale. “Ha un fascino che uccide lentamente”, pensò. Un bel modo per morire, comunque.
«C’è anche il rovescio della medaglia», aggiunse Cade.
«Privacy quasi inesistente, invidiosi, personaggi potenzialmente pericolosi. E non sai mai quanto sincero sia l’affetto della gente. Pensi che le ragazzine urlerebbero di gioia, nel vedermi, se fossi un semplice meccanico?».

Un romanzo senza pretese, ho detto prima, e qui lo confermo. Si legge in pochissimo, è vero, e la lettura è molto piacevole. Però non rimane nulla, tant’è che mentre vi scrivo faccio fatica a ricordare cosa sia effettivamente successo e sono costretta a sfogliare le pagine in cerca di spunti da riordinare, per commentare Tutta colpa di New York per voi. Le tre stelline sono fondamentalmente dovute a questo, alla totale assenza di peso e spessore di questo libro che non è brutto, e non è neppure sviluppato male… semplicemente non rimane. Di New York c’è molto poco e, al di là del tema ricorrente del Natale che lo caratterizza, potrebbe essere ambientato in qualsiasi posto e in qualsiasi periodo dell’anno senza grossi sconvolgimento. “Meh” è probabilmente il modo più rapido e indolore per descriverlo. Un grande “meh”, accompagnato da un sincero dispiacere per la mancanza di personalità in una storiella che aveva tutte le carte in regola per essere molto di più.
Leggetelo, ma solo se avete davanti un pugno di ore da passare in treno e non avete voglia di chiacchierare. Non fatelo se cercate un libricino che sappia lasciarvi quel senso di soddisfazione e felicità che associo unicamente ai romanzi della Kinsella (si è capito che la amo? Perché la amo) allora buttatevi su qualcosa di diverso.



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