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Recensioni a basso costo: Il rumore dei tuoi passi, di Valentina D'Urbano

Creato il 19 agosto 2014 da Mik_94
Buongiorno, amici! Oggi, nuova recensione per voi, di un libro che ho letto in un giorno. Tutti, almeno di nome, lo conosciamo già, quindi non mi dilungo. Mi è piaciuto. Non so esattamente quando, ma in autunno uscirà il terzo libro dell'autrice, Gli Spietati, e sarà un ritorno, per chi vorrà, nella Fortezza. Dicono ci sia ancora chi ricorda Beatrice e Alfredo... Le bellissime foto che vedete, tra parentesi, sono di Nikki Smith (arcangel-images.com), la stessa fotografa voluta dalla Longanesi per realizzare la copertina. Voi l'avete letto? E' nella vostra wishlist? Ditemi tutto. Un abbraccio, M. 
Ci sono mani in questa oscurità, e ci sono voci. Cerco di difenderti da quelle mani che mi tirano, mi forzano e mi accarezzano e tentano di staccarmi da te. Non ti preoccupare, Alfredo, non avere paura, io rimango qui con te. 
Dentro il buio.
Recensioni a basso costo: Il rumore dei tuoi passi, di Valentina D'Urbano Titolo: Il rumore dei tuoi passi Autrice: Valentina D'Urbano Editore: TEA – Longanesi Numero di pagine: Prezzo: € 10,00 Sinossi: In un luogo fatto di polvere, dove ogni cosa ha un soprannome, dove il quartiere in cui sono nati e cresciuti è chiamato "la Fortezza", Beatrice e Alfredo sono per tutti "i gemelli". I due però non hanno in comune il sangue, ma qualcosa di più profondo. A legarli è un'amicizia ruvida come l'intonaco sbrecciato dei palazzi in cui abitano, nata quando erano bambini e sopravvissuta a tutto ciò che di oscuro la vita può regalare. Un'amicizia che cresce con loro fino a diventare un amore selvaggio, graffiante come vetro spezzato, delicato e luminoso come un girasole. Un amore nato nonostante tutto e tutti, nonostante loro stessi per primi. Ma alle soglie dei vent'anni, la voce di Beatrice è stanca e strozzata. E il cuore fragile di Alfredo ha perso i suoi colori. Perché tutto sta per cambiare.                                         La recensione Recensioni a basso costo: Il rumore dei tuoi passi, di Valentina D'Urbano Se hai qualcuno che ti ama, forse ti salvi.” 
Rimasti lì. Per tutto il tempo. Seduti, pietrificati, scomodi, immobili. Sui gradini di pietra dell'Anfiteatro, come statue da guardare e basta. Tu non toccarli. Potrebbero crollare. Anzi, crollano; sicuramente. Niente dura, in quel quartiere dal soprannome beffardo, ma stranamente significativo. Case antracite, umidità, legno che non è buono neanche per appicciare un fuoco. Il marciume è un infezione virale che colpisce le pianticelle, i fiori, i neonati. Nella Fortezza non cresce niente che non sia destinato a quella fine tristissima. Non ci sono alberi, non ci sono bambini da innaffiare e raccogliere. Come le case in cui aspettanto di farsi grandi, sono costruiti con materiale di scarsa qualità: mucchietti umani di ossa, sangue, radiazioni. Un fiotto di sputo caldo, schifoso, collosso per unirli insieme: come capita, alla bell'e meglio. Si cresce disincantati e storti, nel gracchiare delle tivù accese e nella nebbiolina indistinta di stagioni che, non viste, passano, tutte uguali. Bea e Alfredo hanno fatto il meglio che potevano e hanno aspettato. Si sono disintegrati con spinte e tocchi reciproci su quel campetto malato, in cui i bambini giocano a calcio e si fanno le canne, ma non prima che fossi abbastanza vicino da poter raccogliere resti di loro sul palmo della mano. Pesano un niente. Hanno più volume le loro vite che i loro corpi. L'anima, impalpabile, aveva più senso della loro concreta persona. Erano tutta anima, mettiamola così. Beatrice è un'acuta osservatrice, una che le cose le sente prima che accadono, perché tutti si lasciano appresso degli indizi, soprattutto quando cercano aiuto e non lo ammettono. Mi sente, che con le infradito dei cinesi arrivo da loro, e sa con sicurezza di potermi affidare la loro storia. Un passo strascicato, ma leggero. Diverso da quello di Alfredo, che indossa gli zoccoli e si regge a stento all'impiedi. La presenza di un altro ragazzo è quello di cui ha bisogno. E, dopo tutti questi anni, io ero disposto ad ascoltarla. La verità è che volevo leggere Il rumore dei tuoi passi da quand'è uscito. Mi era passato per le mani spesso, nei salti in libreria, nelle code al supermercato. Per nove mesi, ho trovato la D'Urbano nello stesso angolo, facendo la strada a piedi per arrivare in stazione. C'era un bar affollato che portava il suo cognome. Nei primi momenti, per orientarmi, ricordavo in quel modo la direzione da prendere. Arrivare al D'Urbano e, allo stop, girare a sinistra; sempre dritto. Io non faccio un metro senza pensare a un libro. Quei metri li facevo tenendo a mente un'idea che non c'era. Un romanzo che non ancora avevo letto. Ma avevo letto talmente tanto su di lui – le anteprime, gli elogi, le stroncature – che mi sembrava di conoscerlo già. Mi ero tenuto lontano dagli spoiler, certo, ma non è servito. Il rumore dei tuoi passi si spoilera da sé, se vogliamo, aprendosi con l'immagine di un funerale che anticipa tutto e dà senso alle parole di cui leggeremo. Il dolore, ammortizzato, non fa però meno danno. L'intero romanzo è un conto alla rovescia fino a quel giorno - tempo di addii, ventenni vestiti di nero, girasoli da strappare come per portarli in pegno. La stagione dei fazzoletti, delle siringhe e dei limoni, dei cerotti strappati di botto. Si ritorna alle origini, in rewind. Il passato riavvolto, come i nastri delle musicassette che suonavano poco punk anni '70 e tanto Venditti e Baglioni. 
Recensioni a basso costo: Il rumore dei tuoi passi, di Valentina D'Urbano La D'Urbano è brava, perché firma un romanzo amaro, disincantato, pessimista – e tutto quello che volete – ma mai più nero del nero. Nel quartiero poco immaginario che descrive la corrente salta spesso. Si cammina al buio, attenti a non calpestare qualche siringa, un senzatetto che dorme su un cartone, due sedicenni che, appartati, fanno sesso ma non l'amore. I lampioni fanno il loro dovere come e quando vogliono, a sere alterne. Ma Il rumore dei tuoi passi penso che al buio non ci resti mai. La Mazzantini – se non la tiro in ballo, parlando di narrativa italiana, io non sono io – è un'autrice bravissima e crudele, con una prosa di sangue e parolacce: avrebbe fatto di meglio, e forse anche di peggio. Valentina, invece, come la sua Beatrice, ama ripensarci, raccontare qualche balla, lasciare con uno di quei sorrisi cupi. Il suo, nonostante le avversità, è un romanzo pulito. Senza eccessi, senza cadute impreviste: c'è un trampolino per fare un salto nel baratro e il capitombolo è un tuffo coreografato. Non puzza di candeggina pesante. Non ho avuto la sensazione che ci fosse qualcosa di segreto grattato dal muro con le unghie e occultato con della brutta carta da parati a fiori. Si respira il fetore di solitudine e betoniere che appesta la periferia, e la rabbia che avvolge in una nube tossica i cuori dei ragazzi. Aroma amaro di tragedia, essenza di una piccola storia crudele. Vera, come sa esserlo una realtà che non regala finali felici o certezze tangibili. Ancora, la D'Urbano è brava, perché il suo esordio, pur lontanissimo dall'originalità, intenerisce, intriga, tocca, saltando con la corda del prevedibile. Gioca a carte scoperte, ma quei personaggi sbagliati, animaleschi, ottusi, barbari, conquistano con quei rari pregi che hanno e con quelle barricate insormontabili di difetti. Brava due volte. Capisci il motivo per cui si mordono, si marchiano, si soffocano a vicenda. Tu, lettore, faresti lo stesso: prenderli a schiaffi a sangue, stringerli. Anche se alla violenza non ci credi mica, ma sai che senza la violenza stenterebbero a capire la tua spontanea vicinanza. I gemelli, li chiamavano, anche se non si somigliavano affatto. Beatrice non attira sguardi: formosa, ma con accessori da poco che mettono in risalto soltanto i suoi lati peggiori. I capelli stopposi, il fondoschiena prominente, l'egocentrismo assurdo, il connaturato caratteraccio. Assillante, forte. 
Recensioni a basso costo: Il rumore dei tuoi passi, di Valentina D'Urbano Avrebbe voluto andare a scuola, fare il liceo classico, ma ha la terza media. Divide il letto con il fratello minore, sta sempre in casa per paura che qualche poveraccio possa buttare le loro cose dalla finestra e occupare abusivamente le loro stanzette. Alfredo è uno che piace, anche se non ha il fisico: occhi verdi, capelli biondi, gambe lunghissime. Cinquanta chili scarsi; debole dentro e fuori. La sua testa dorata spicca nei campetti di calcio, nei locali strapieni per la finale dei mondiali, in un mondo di ragazzini piccoli, neri, robusti. Lui nemmeno le medie ha finito: fermo alla quinta elementare. Nemici, amici, confidenti, amanti, sono vittime di una brughiera di gradoni luridi e palazzi cascanti, schiavi di un sentimento graffiante, brutale, ma a tratti luminoso. Insieme, fino alla fine, al centro di una storia dura come il cemento e morbida come i petali di quel solitario girasole in copertina. Torridi, feroci, ustionanti, fatti di luce del sole: ci vogliono gli occhiali scuri delle bancarelle per contemplarli, per vedere quanto cavolo sono belli; le eclissi per farli stare zitti. Un filo di scotch per unire uno strappo, le metà strappate di un'unica foto. Una zingara bruna e un vichingo. Sembra guardino il vuoto, sorridendo. In realtà guardano l'un l'altra, smembrati, e quel sorriso è uno dei più rari e spontanei che faranno in vita loro. A saperlo. Mi ha ricordato alcuni racconti dei miei genitori. Quand'erano piccoli, vivevano in un paesello con quattro gatti, eppure certe cose già le conoscevano. Una povertà che spaventa, l'istruzione scarsa, l'invisibilità della provincia meridionale. Cose che, quando ritorno, guardo di sfuggita dal finestrino della macchina. Meglio non fermarsi, andare di corsa. Se non c'è speranza, se non c'è voglia, penso sia giusto dirlo. Utilizzare un luogo comune per inquadrare gente che dei luoghi comuni non vuole svestirsi. Ci sta bene. Armature, guaine, abiti per tutte le stagioni; ché i soldi in vestiti non si spendono. Non ci stanno.
Chi è causa del suo mal pianga se stesso. 
Ci saranno tante cose a cui dovrò abituarmi, e ce ne saranno altrettante di cui dovrò fare a meno. Il rumore dei tuoi passi, il tuo odore che svanisce sul cuscino, la luce del giorno in cui mi hai lasciato sola.” Il mio voto: ★★★½ Il mio consiglio musicale: Rino Gaetano – A mano a mano



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