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Regia che divide

Creato il 19 giugno 2011 da Nonzittitelarte

IMG_3313Uno spettatore scrive:

Premesso che non sono contrario alle attualizzazioni se coerenti e intelligenti (anche se in Germania, per esempio, ho dovuto digerire i Contes d’Hoffmann ambientati in una clinica o Salome nella stanza da letto di Erode e Erodiade dove la voce di Jokanaan usciva dal termosifone !), mi sembra che l’operazione Traviata/anni 60 non sia del tutto riuscita: accettabili le scene delle due feste con relativi costumi, incomprensibile la casa di campagna con pochi mobili in stile e grande vetrata all’inglese (sarebbe stato molto più coerente un tinello con mobili “svedesi”), per la scena dell’ultimo atto tanto valeva un palcoscenico nudo anche se le voci avrebbero “corso” ancora meno. Quel che mi rende più perplesso è proprio la regia di Antoniozzi, ben poco musicale e talvolta banale. Prima di tutto (I atto) quelle invitate ubriache o lo spogliarello di Flora e, dopo, le cuscinate su di lei, o ancora i baci saffici, poi “Si ridesta in ciel l’aurora” e le stelle e poi il buio continuano a dominare la scena. Una trovata gli amplessi di Douphol e Violetta che terminano nella salita alla camera da letto con una scala così lunga e ripida che avrebbe calmato ogni eccitazione amorosa: una vera scala razionalista sarebbe stata avvolgente e in curva (anche se trovo discutibilissimo il preludio a sipario aperto e il coro bloccato in tableau vivant).
Anche il filmino con i tori di Pamplona in casa di Flora era una trovata ininfluente (magari serve a risparmiare sul corpo di ballo). Decisamente meglio qui il coro che avanza progressivamente compatto verso il proscenio e dal quale si rivela Germont padre, che peraltro è in smoking mentre Alfredo conserva pantaloni e stivali che aveva in campagna. Il primo è passato in albergo prima della festa e il secondo vi è andato direttamente ?
Buona invece la non-reazione di Germont padre all’abbraccio di Violetta che rende l’insensibilità e la crudeltà del vecchio. Mi sembra però poca cosa. Anche l’Amami Alfredo a distanza poteva starci.
Quanto a Violetta che muore in piedi, mentre il suo “doppio” è abbracciato da Alfredo finalmente ritornato ormai a cose fatte, potrebbe essere accettabile ma la soluzione non è chiarissima.
Taccio per ora delle voci. Franco (da Musicamore)


La serata (di Maria Paolo Masala,Unione Sarda)

La regia divide il pubblico
È l’opera degli esordi. Per la prima volta il direttore d’orchestra Giacomo Sagripanti, 28 anni, suona a Cagliari e debutta in Traviata . Per la prima volta Roberto De Candia è Germont in un teatro italiano. Per la prima volta il sindaco Massimo Zedda, 35 anni, segue un’opera lirica in platea, abito scuro e cravatta, accanto al presidente della Regione Cappellacci e al Sovrintendente Di Benedetto. È una Traviata ringiovanita di un centinaio d’anni anche quella che viene proposta sul palco dal regista-baritono Alfonso Antoniozzi. E non tutti naturalmente apprezzano. Come sempre accade quando una regia è innovativa, il pubblico si divide. C’è chi sente nostalgia delle zingarelle e dei toreador, chi rimpiange le crinoline ottocentesche, chi non accetta che Violetta sia vestita «com’ero io, negli anni del liceo». Molti altri, al contrario, trovano estremamente interessante la scelta registica. Raffinata nella scenografia, elegante in quel continuo richiamo a Le Corbusier e alle sue architetture razionaliste, particolarmente azzeccata in quella soluzione finale dello sdoppiamento.
L’allestimento del Comunale di Bologna che ha debuttato alcuni mesi fa con la solita, straordinaria Mariella Devia, proporrà in città altre cinque recite. Ad alternarsi con la protagonista Annamaria Dell’Oste, (applaudita ieri con l’intera compagnia, l’orchestra, il coro, il direttore Sagripanti e il maestro del coro Fogliazza, a domani la critica musicale) sarà la giovane Maria Ligresta. Un esordio molto atteso anche il suo, nei panni di Violetta.
Nel clima di festa che ha riacceso finalmente il teatro, e ha coinvolto nell’applauso finale tutti i protagonisti, c’è stato spazio per un dono. Una fotografia di Giuseppe Verdi che un architetto milanese, Paolo Giussani, ha voluto lasciare al teatro in segno di stima e ammirazione per Orchestra e Coro. La foto riporta una dedica autografa del musicista alla contessa Clara Maffei Carrara Spinelli di Bergamo, ed è datata 14 maggio 1867. Ottantaquattro anni, l’ex professore di Scienza delle costruzioni del Politecnico vive da due anni a Cagliari ed è abbonato al Lirico. Ieri, accompagnato dalla collega Giuseppina Bellu, ha consegnato al sovrintendente la foto di Verdi che ora appartiene al teatro.

 


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