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Relax

Creato il 04 luglio 2010 da Renzomazzetti

RELAXCome coloro che coltivano l’atletica e che si occupano della cura del loro corpo, non si preoccupano solo del loro stato di forma e degli esercizi ginnastici, ma anche, al momento opportuno, del relax, lo ritengono infatti la parte più importante dell’allenamento: così anche a coloro che si danno allo studio delle lettere stimo che convenga, dopo la prolungata lettura di opere serie, rilassare le loro menti e renderle più alacri in vista delle future fatiche. E il riposo sarà a essi indicatissimo, se si dedicheranno alla lettura di opere che siano tali….. Un giorno partii dalle colonne d’Ercole e facevo la navigazione con vento favorevole, dirigendomi verso l’Oceano Occidentale. La causa e l’oggetto del mio viaggio erano la curiosità di conoscere e il desiderio di cose nuove e la volontà di imparare quale fosse il termine dell’oceano e chi fossero gli uomini abitanti al di là….. Dopo aver proceduto per circa tre stadi (Lo stadio è una misura di lunghezza equivalente a circa centosettantasette metri) dal mare, attraverso una selva, scorgiamo una colonna di bronzo, portante un’iscrizione in caratteri greci poco chiari e logorati, la quale diceva: Fino a qui giunsero Ercole e Dioniso………………………..

Non sopportando più la vita nella balena, e seccato di questo soggiorno, cercavo qualche espediente per mezzo del quale mi fosse dato di uscirne; e in principio ci parve buona soluzione scavare un tunnel nel lato destro della balena, attraverso il quale fuggire, e cominciammo effettivamente a scavare, ma dopo che avanzammo per circa cinque stadi, non avendo concluso nulla, interrompemmo lo scavo e decidemmo di dar fuoco alla selva: così la balena sarebbe morta, e, se questo fosse accaduto, ci sarebbe stato facile l’uscirne. Cominciando dunque dalle parti vicine alla coda, davamo opera all’incendio, e per sette giorni e altrettante notti la bestia restò insensibile alla bruciatura, ma all’ottavo e al nono comprendemmo che essa soffriva, almeno apriva la bocca pigramente, e, se l’apriva, la richiudeva subito. Al decimo e all’undicesimo giorno infine era in stato ogonico e puzzava, al dodicesimo pensammo appena in tempo che, se non le avessimo puntellato i denti quando apriva la bocca, così che non potesse richiuderla più, rischiavamo di rimanere rinchiusi nella sua carcassa, e di perire. E così, avendo messo alla sua bocca grandi travi di sostegno, allestivamo la nostra nave imbarcandovi la più grande quantità di acqua e le altre provviste: Scintaro doveva fare da pilota. Il giorno seguente essa era già morta. Noi, tirata la nave e fattala passare attraverso gli interstizi dei denti e fissatala a questi, la facemmo scendere lentamente nel mare e, saliti sul dorso dell’animale, offrimmo un sacrificio a Poseidone lì stesso presso il trofeo, e bivaccammo per tre giorni, giacché era bonaccia, e il quarto salpammo….. Non navigavamo più in mezzo al latte, ma ormai in acqua salata e cerulea, e scorgemmo molti uomini che correvano qua e là sul mare, in tutto somiglianti a noi, nel corpo e nella statura, tranne che nei piedi, giacché li avevano di sughero, e per questo si chiamavano Sugheròpodi. Ci meravigliammo al vedere che non affondavano, ma emergevano sulle onde e vi camminavano sopra senza paura. Essi si avvicinarono a noi e ci salutarono in lingua greca: dicevano che erano diretti verso la loro patria, la Sugheria….. Allora io mi misi a implorare e a piangere, pensando ai beni che avrei dovuto lasciare per rimettermi di nuovo a errare. Ma gli stessi Beati mi confortarono dicendo che fra non molti anni sarei tornato di nuovo da loro, e mi mostrarono il seggio e il posto che avrei occupato a tavola per il tempo avvenire, vicino ai migliori….. Il giorno seguente mi recai dal poeta Omero e lo pregai di comporre per me un’iscrizione di due versi, e quando l’ebbe composta, io innalzai nel porto una stele di berillo e vi incisi l’iscrizione. L’iscrizione diceva così:

Luciano, caro ai Beati, tutte le cose di qui

vide, e di nuovo tornò alla sua patria terra.

.. Quando, navigando, distavamo dal nido circa duecento stadi, ci si manifestarono grandi e meravigliosi prodigi: il paperino della poppa della nostra nave, improvvisamente, si mise a battere le ali e a strillare, e il pilota Scintaro, che era calvo, rimise i capelli, e, cosa straordinaria fra tutte, l’albero della nave rigermogliò e mise rami e produsse frutti nella cima, e i frutti erano fichi e grappoli d’uva nera, non ancora del tutto matura….. Non avevamo percorso cinquecento stadi, quando vedemmo una selva grandissima e folta di pini e di cipressi. E noi pensammo che fosse un continente; ma in effetti era un mare senza fondo, piantato di alberi senza radici: gli alberi che vi sorgevano erano tuttavia immobili, diritti come se galleggiassero. Avvicinatici allora, e compreso il tutto, eravamo in imbarazzo su che cosa bisognasse fare: giacché né era possibile navigare attraverso quegli alberi, in quanto erano fitti e vicini gli uni agli altri, né sembrava facile tornare indietro; io allora, salito sull’albero più grande, osservavo come si presentassero le cose al di là della selva, e vedevo che la selva si estendeva per cinquanta stadi o poco più, e che quindi un altro oceano faceva seguito. E allora ci parve opportuno issare la nave sulla chioma degli alberi, essa era fitta, e di farla passare, se era possibile, all’altro mare: e così facemmo. Legatala con un grosso cavo, e saliti sugli alberi, a fatica la tirammo in alto, e postala sui rami, e spiegate le vele, navigammo come sul mare, trascinati dal vento che ci spingeva in avanti….. Forzammo la selva e giungemmo all’acqua, e di nuovo fatta scendere la nave con lo stesso metodo, navigammo attraverso un’acqua pura e trasparente, fino a che arrivammo davanti a una grande voragine che si era formata grazie alla separazione dell’acqua, come vediamo spesso sulla terra che si formano crepacci in seguito ai terremoti. Sebbene ammainassimo le vele, la nave non si fermò facilmente, e poco mancò che non vi cadesse dentro….. Quindi ci accolse un mare calmo e un’isola non grande, di facile accesso, e abitata. La abitavano uomini selvaggi, i Bucéfali, che hanno corna, come presso di noi rappresentano il Minotauro. Sbarcati, ci inoltrammo per rifornirci d’acqua e per fare provvista di cibi, se potessimo, giacché non ne avevamo più. E l’acqua la trovammo lì vicino, ma non si vedeva altro, solo non lontano si udivano molti muggiti. Credendo che ci fosse un armento di buoi, avanzammo a poco a poco, e ci trovammo in presenza di quegli uomini. Alcuni, avendoci visti, si misero a inseguirci….. -LUCIANO- Storia vera (riassunto).

A OMERO

Da te separato per enorme ignoranza,

di te sento parlare e delle Cicladi,

come uno che sedendo sulla spiaggia, la speranza

coltivi di scorgere il corallo abitato dai delfini dei mari profondi.

Dunque eri cieco, ma fu poi squarciato il velo:

Nettuno ti costruì una tenda di schiuma,

Giove per farti vivere scoprì per te il cielo,

e Pan fece per te risuonare il suo silvestre alveare.

Sì, c’è luce sulle spiagge delle tenebre,

i precipizi esibiscono un vergine verde,

e l’alba sta in boccio nella notte più cupa.

Nell’oscurità più acuta è una triplice vista,

quella vista che tu avevi, e che una volta ebbe Diana,

regina delle genti celesti, degli inferi e della razza umana.

-John Keats-

SINE AMORE IOCISQUE

NIL EST IUCUNDUM

- ORAZIO -


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