Ha affermato Henry, intervistato da TVNZ, che per quattro anni non hanno detto nulla, che hanno tenuto la bocca chiusa lui, il suo staff, la federazione. E che è giunto il momento di esprimersi o almeno di rivelare quale fosse stato all'epoca dei fatti il suo pensiero: "Gli All Blacks non hanno ottenuto un calcio di punizione negli ultimi sessanta minuti di gara e hanno attaccato per il 70% del tempo. E' impossibile, ma non lo era in quel giorno particolare". Finì 20-18 per i transalpini che poi persero contro l'Inghilterra in semifinale e contro i Pumas nel match per il 3°/4° posto e le immagini sono ancora impresse: neozelandesi disperati in avanti, francesi spesso in fuorigioco attorno ai raggruppamenti, palloni rallentati in modo irregolare e Barnes che non ravvisava alcuna infrazione, il tentativo disperato di drop di Luke McCallister dalla trequarti e così via, i volti in panchina affranti, quello di Henry che non tradiva alcuna espressione, ma evidentemente nascondeva molti sospetti. A essere maliziosi, qualcuno (Nick Mallett tipo) potrebbe ribattere di conoscere quella sensazione, respirata nell'area dei 22 di San Siro negli ultimi dieci minuti di Test Match proprio contro gli AB.
Coach Henry ha aggiunto di aver discusso dell'accaduto con i vertici del rugby (altra cosa già sentita e vista) in merito al fatto se esistesse qualche sistema per tenere sotto controllo le giocate delle scommesse durante la partita e che sono stati almeno 40 i falli non fischiati da Barnes contro i francesi, incluso il famoso passaggio in avanti. Il Sir ha poi fatto una mezza marcia indietro, ma il sasso nello stagno era ormai finito a fondo. Insomma, c'era una combina in atto: la Nuova Zelanda doveva uscire. Altra considerazione maliziosa: come doveva entrare il calcio di Stephen Donald nella finale dello scorso ottobre? Cosa? Come? Chi parla? No, nessuno, però mi era parso che qualcuno avesse detto qualcosa.