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"Renewing the church in a secular age" c/o Pontificia Università Gregoriana

Creato il 06 marzo 2015 da Marianna06

 

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Fare ponte tra credenti e non credenti è possibile secondo il filosofo canadese Charles Taylor/

Come?

Taylor, che sarà a Roma per una tappa del”Cortile dei gentili”, risponde a Lorenzo Fazzini, corrispondente del quotidiano “Avvenire”

 

Si può essere parte della stessa Chiesasolo se -spiega Taylor – persone, con posizioni culturali differenti, sono messe nella condizione di poter lavorare insieme e insieme poter prendere decisioni.

Occorre assolutamente decentralizzare il “sistema-Chiesa”, cosa per altro già sostenuta dal Vaticano II ma, successivamente, in buona parte disattesa poi nella realtà fattuale.

Ci vogliono, pertanto, più sinodi su basi regionali e maggiore partecipazione attiva dei laici. Partecipazione che significa l’incontro con persone che abbiano posizioni di pensiero differenti. Serve poco confrontarsi con persone affini.

Quanto all’integrazione europea di chi giunge da lontano ( il professore  pensa al divario storico del contesto Europa con Canada e Usa)- prosegue il filosofo canadese-  siamo lontani dall’optimum. Quello che si può fare però,  nel mentre, è quello di non fare leggi balorde o ingiuste anti-immigrati come è accaduto di recente in Francia.

Quello che la gente demonizza, e a giusta ragione, come l’Is e Boko Haram, sono fenomeni estremi, che riguardano in particolare le società islamiche e quelle arabe.

Più che reazione al secolarismo occidentale per questi movimenti c’ è  da parte loro la percezione della dominazione dell’Occidente sulle società arabe,  che un tempo erano colonie e che costituisce la cosiddetta trave nell’occhio.

Personalmente- conclude Taylor- sono ottimista per il futuro del cristianesimo in tempi come questi, aperti alla laicità, e con la guida di un Papa come Francesco che mette, con i suoi ripetuti richiami, al primo posto l’attenzione per coloro che sono maggiormente svantaggiati.

In questo modo la fede è messa nella condizione di fiorire e propagarsi.

E lo vediamo questo, proprio perché lo Spirito soffia dove e quando vuole, che mentre in certi contesti i cristiani e i cattolici sono  minoranze, in altri ( alcuni paesi dell’Africa e  dell’America latina) raggiungono, invece, la maggioranza.

 

Il teologo Tomàs Halik puntualizza con Fabrizio Mastrofini, corrispondente di “Avvenire”, su “Secolarismo e secolarizzazione oggi in materia di fede”.

 

Per don Tomàs Halik, parroco e docente di sociologia all’Università di Praga,già cappellano di Charta77, nell’età secolare in cui viviamo si può essere abitanti e cercatori allo stesso tempo quanto al discorso fede.

Perché la secolarizzazione non deve essere vista assolutamente come fenomeno negativo.

Secolarismo, semmai, è l’accezione negativa, che bisogna saper distinguere in quanto ideologismo tipico dei tempi nostri.

Che ci sia ,oggi, un calo della pratica religiosa è innegabile. E questi sono per me-dice Halik all’intervistatore – coloro che io definisco abitanti, i quali sono lì, nella fede, in chiesa, e si sentono anche a casa ma, molto spesso, in una visione che prescinde da Dio.

Poi ci sono i cercatori e cioè quelli che concepiscono la fede come un cammino, una ricerca instancabile, sono anche quelli che in determinate e particolari situazioni sono “credenti senza appartenenza”.

Non si identificano in una specifica confessione ma non smettono di cercare il significato dell’esistenza. Della propria esistenza.

Con queste persone occorre una forma di accompagnamento e il ricorso al dialogo nel rispetto reciproco. Kenosis, a livello teologico, se vogliamo.

Ci saranno modalità nuove di operare e vivere la fede. Un nuovo paradigma. Perché la ricerca di senso è un cammino mai concluso.

La secolarizzazione-puntualizza il parroco e sociologo Halik – è assorbimento della cristianità nella  cultura moderna. E’ un successo e un rischio ma un rischio che bisogna correre.

Non si può prescindere dal pluralismo culturale.

 

Il sociologo José Casanova, studioso di sociologia della religione alla Georgetown University, risponde a Stefania Falasca, corrispondente di “Avvenire”, sulla “forza dell’essere cattolici oggi”.

 

La Chiesa cattolica oggi è universale e particolare insieme. Io -dice Casanova- la definisco “Glocal”.

E cioè globale come è il mondo attuale e locale nei differenti contesti, dove attualmente vive e opera la propria missione.

L’importante attualmente è bandire da parte della Chiesa certi atteggiamenti autoreferenziali e aprirsi, invece, alle piazze del mondo globalizzando, semmai, la fratellanza. E con un Papa come Francesco questo è possibile.

Inoltre bisogna tenere presente che età secolare significa età di multi opzioni religiose e secolari.

L’umanità è comunque, che ci piaccia o meno, pluralista e lo sarà sempre di più in seguito.

Il modello di una sola Chiesa per tutta l’umanità può avere un valore solo escatologico; la realtà è quella del pluralismo religioso, perché la Chiesa non è una setta.

Il popolo di Dio- chiarisce lo studioso – è pluralista e può svolgere la sua missione universale nel mondo globale con la diversità di tutti i carismi, che ci sono nella Chiesa.

Il modello americano è già così. Oggi,a causa dell’emigrazione, anche l’Europa si sta avvicinando a questo modello. E questo, come da sempre in America, è un fatto positivo.

L’Europa - aggiunge Casanova – deve  riconoscere di essere solo una forma tra le forme di società moderne.

Il resto del mondo è arrivato alla modernizzazione non attraverso la secolarizzazione come è accaduto in Europa (Illuminismo) ma  evolvendosi dalla religione. E quindi altre società moderne avanzate sono società religiose (Brasile,India, Corea del Sud).

Quanto ai timori di marca fondamentalista, José Casanova precisa che il fondamentalismo non è esclusiva delle religioni. Ci sono fondamentalismi politici secolari ,che non vanno ignorati.

Uno dei fondamentalismi in seno all’Europa è, ad esempio, quello della laicità ed è difeso paradossalmente dagli atesti.

 

   Liberamente tratto e sintetizzato dalle corrispondenze del quotidiano “Avvenire”

 

   a cura di Marianna Micheluzzi

 


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