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Renzo Ferrari, Opere su carta 1960 / 1984: Piero Del Giudice – Edizioni Galleria delle Ore di Milano

Creato il 11 febbraio 2013 da Milanoartexpo @MilanoArteExpo

Renzo Ferrari, ARTISTARenzo Ferrari, Opere su carta 1960 / 1984: Piero Del Giudice – Edizioni Galleria delle Ore di MilanoDocumenti d’Arte del Novecento di Milano Arte Expo: il progetto continua con una vasta mole di materiale storico che verrà messo on line (leggi documento precedente> : La nuova pittura tedesca. Di Johannes Gachnang). Consigliamo anche il video Youtube > realizzato per la mostra di Renzo Ferrari “Calendario feriale” alla galleria Colomba di Lugano, 2012: Alberto Nessi dialoga con Renzo Ferrari. Segnaliamo inoltre una prossima mostra di Renzo Ferrari allo Spazio Tadini di Milano a maggio e giugno 2013.

Renzo Ferrari – di Piero Del Giudice
Potremo sapere dell’opera, del quadro, certo anche di un disegno, quando è «finito». L’opera di Ferrari non è «aperta»: né nel senso della riproducibilità, né nel senso — all’artista culturalmente congeniale — dell’action painting (il quadro quale “momento” del singolare miscuglio che é la vita, scomparsa di ogni distinzione tra arte e vita). Parlando di ciò Ferrari scrive nel maggio ’83 “… «la potente espansione, proiezione su grandi superfici: esempi espressivi a cui mentalmente contrapponevo l’introspezione e il piccolo formato” (della pittura informale europea). L’intensità di una determinata situazione rappresentata è prevalente sul resto che non è opera, lo è nella medesima composizione usuale fatta di forti centralità del racconto, di segno che definisce figura ed ambito, lo è perché l’opera si pone quale operazione critica, di lettura intelligente, consapevole sulle realtà. Il lettore di queste opere su carta, anche alla prima sfogliatura, coglie questa costante di consapevolezza; essa domina – si direbbe. >> 

Avanzando ulteriormente sappiamo che è un « pensiero negativo »  questa dominante. Non preconcetto, non inerzia, il pensiero negativo in questo artista rappresenta i l polo estremo costante, la determinazione nei confronti della quale e contro la quale, rivelazioni, epifanie, trasformazioni e figurazioni, si determinano in conflitto, in antagonismo, in processo di conoscenza e di identificazione. Definirsi “pittore di condizione” significa dire «questa» condizione. Condizione a cui l’occhio orbato, che ha saputo negarsi alla attualità dei fenomeni quali diaframmi tra sé ed il reale, l’occhio via via più spalancato, che si dischiude da sonnolenza (della ragione e del fare artistico), avido di percezioni e di allarmanti situazioni, guarda fisso in «Mimesi», il disegno qui presente del ’79, contemporaneo ad uno dei cicli di lavoro più importanti e tema ricorrente. Archetipi, principi, condizioni a priori ed originarie che si mescolano — anche conflittualmente — con condizioni storiche, fasi, avvenirsi collettivi.

Renzo Ferrari, Mimesi, 1979, grafite, cm 20x27,4

Renzo Ferrari, Mimesi, 1979, grafite, cm 20×27,4

In «Eva Braun», «Santiago», «Senza testa» del ’73 (cui qui si deve subito allegare «Anche una megera» dello stesso anno, quale esempio della ricchezza di piani e “punti di vista” con cui Ferrari attacca una condizione e la rappresenta) sono fatti evidenti. Bisogna stare a fondo con la condizione dei nostro tempo

Renzo Ferrari, Ritratto a Eva Braun, 1973, grafite, cm 21x29,7

Renzo Ferrari, Ritratto a Eva Braun, 1973, grafite, cm 21×29,7

per darne atto secondo un fare che si problematizza ogni volta che é di fronte al foglio o alla tela. Poiché si problematizza ogni volta di fronte alla realtà, o meglio alle grandi campiture della realtà che abbiamo attraversato, che stiamo attraversando e che — memoria culturale e ancestrale — rinviene in noi. Ciò che — appunto — ci attrae dell’artista è la sua intensità di partecipazione all’opera ed alla condizione; tale intensità sta nella processualità critica con cui egli affronta la duplice — o molteplice — questione della memoria (propriamente moderna della pittura, la tradizione del moderno) e del drammatizzarsi dell’evento. Quanto ‘storico’ come qui, quanto di più sotterraneo esistere e manifestarsi.

Questo disegno ‘nordico’ che fa l’immagine, spezza, sentenzia, ed è insieme segno- angoscia, ansia, interrogazione, e là dove più estremo tende ad essere autorappresentazione, pulsione profonda che ci parla — tramite l’artista — nell’opera.  “… « far emergere nel quadro forme riconoscibili di questa natura artificiale, meccanica, accanto a segni più spontanei, interiori, naturali, « . . . porre tra i suoi significati più profondi… l’”inattualità” del fare artistico»”. Sono brani di un unico testo di Renzo Ferrari dell’ottobre ’81. Nelle parole citate del pittore “natura” si presenta due volte: l’una «artificiale », l’altra «naturale». Tale conflitto primario è stato più volte affrontato e descritto parlando di Ferrari ma non esaurientemente. Non si deve parlare di “dualismo”, ponendo una autonomia naturale originaria ed una aggressione dell’artificio, della macchina, della elaborazione tecnologica. Fosse così è probabile che la singolarità, l’inquietudine di questa opera e le sue caratteristiche ci sfuggirebbero.

Se è vero che Renzo Ferrari vive la “tradizione del moderno”, di questa tradizione égli non ne fa né in sede teorica, né nella resa formale, una convenzione. «Materia», per lui, non è convenzione stilistica. «Natura» non è partenogenesi. Gestazione torpide, parti ‘mostruosi’, fetazioni, ma non “verginità”, non «pàrthenos». Connubio, mescolanza, penetrazione di veleni e mutazioni profonde; inquinamenti genetici. Tale problematica — né è un caso — nel giovane pittore che è sceso in Lombardia dall’arco prealpino, nella città di Milano ove dilaga l’informale di natura, esplode in drammatica solitudine (così egli la affronta isolandosi e quasi perdendosi rispetto ad un ambiente culturale ed anche un mercato) a metà degli anni ’60, certo sotto lo stimolo — ma quanto originalmente vissuto — della pop art.

Renzo Ferrari, Lunare, 1965, tecnica mista, cm 20,5x28,2

Renzo Ferrari, Lunare, 1965, tecnica mista, cm 20,5×28,2

Vada il lettore, per il tema specifico del ‘connubio’ e della mutazione, ai disegni «Lunare» del ’65, «Double» ’67 e già proprio di ripreso vigore e di convinta sintesi raggiunta, a «Flash nero-bianco» del ’68. Tratti da una fase di lavoro caratterizzata da estremismo intellettuale e furore allora poco capito, questi disegni schiudono la questione dualista ed affrontano il problema di fondo del nostro tempo, la compromissione della identità e della natura. «Lunare» ha la semplicità del   Codice, la sospensione di un nuovo nesso e vincolo profondo, che si va fondando. I l tema verrà poi trattato di continuo per alcuni anni, qui si veda in «Altri » ’71, «Si sposta» ’70 (la qualità di questo disegno non sta tanto nella sua descrizione di spostamento del conflitto su scala dispiegata, ma nell’atmosfera e nel senso di passaggio epocale). Lunare, appunto, sospeso in profondità lattee, sintesi e scontro silenzioso, il segno largo che la geometria non rigorosa accentua questa condizione. Simbiosi, ormai, ed anche più: una nuova condizione, dell’uomo, dell’esistenza. Che sia il ricordo palese delle ‘imprese’ spaziali a indicarlo poco importa, in «Double» è la vagina-aspide, il disegno che si fa segno totemico di un inedito generare, di una fetazione in atto meccanomorfa.

La dialettica è dunque esclusa, la dualità si è superata. Manca, in questa raccolta di disegni, almeno indicativamente opera del ciclo a titolo “Tropico” (del 1970) ove i l pittore, tralasciando i troppo concettuali stilemi, testimonia di questa profondità di mutazione e di questa incubazione ‘luttuosa’. In “Tropico”, dove qui nello spazio latteo stellare del foglio senza materia e sfumato, là in una densità palustre, ormai dentro alla natura più umorale, una grande dittero, mantide, libellula di precisione meccanica ed insieme incubazione di un incubo potente quanto alcuni ascendenti nel surrealismo-informale (che affonda nel primitivo della psicologia collettiva archetipa; non negli automatismi), nel torpore e nella morbosità dello sgravio e inseminazione, deposita le uova che si schiuderanno e moltiplicheranno in quell’habitat.

Di queste fecondazioni e di questi inquinamenti tutta l’opera di Renzo Ferrari vive e si drammatizza. Questa compromissione per eventi successivi e nostri attuali, dunque; i condizionamenti originari individualizzati ed i condizionamenti di massa, le condizioni psicologiche collettive. Questa è la complessa materia, anzi la problematica, che qui — in questi testi e nella generale opera dell’artista – si affronta. L’esperienza dell’individuo soggiace e insorge a questi complessi condizionamenti. Insorgenze, cicli alterni, del lavoro specifico dell’artista e più propriamente delle vicende storiche che hanno investito questa generazione post-informale.

Renzo Ferrari, Sospeso, 1960, inchiostro, cm 14,3x20,8

Renzo Ferrari, Sospeso, 1960, inchiostro, cm 14,3×20,8

Finalmente procedendo con ordine possiamo vederne qui l’esordio – di questa conflittualità e di questa esperienza comunque — in «Sospeso», disegno del ’60, apertamente gestuale, con i l segno materico che stenta a non proporsi quale grumo, attorno e da la figura visibile al cuore dello stesso. «Envirroment» di natura attorno a uomo. Già qui dramma, la natura è fecondità libidica dell’inconscio, interiorità individuale ed insieme — già ormai per similitudine r i spetto alla poetica precedente dell’informale — dato naturale. Il rapporto con i l dato naturale tramite la similitudine è ovviamente cosa del tutto diversa dalla identificazione, dalla organicità. Vedasi in questo processo un disegno ormai maturo come «in riva al mare» ’63, di distaccate similitudini (vulvaconchiglia etc.) e nettezza della esposizione. Motivi di spine ed aculei sono in questo disegno presenti e direttamente richiamano un ciclo-parametro di questa trasformazione della natura e similitudine riferentesi alle forme naturali.

Il ciclo dei “Cardi”, qui non rappresentato, e, dalle spine del cardo, del filo spinato e del prigione. Concedendo qui lo spazio di una amichevole digressione anagrammatica: «libera nos a Cardo», la quale tiene presente che l’artista nasce a Cadrò, nel Ticino, e di quella, origine comunitaria e premontana, porta lancinante ambivalenza emotiva, come si è cercato di dire. Così si leggano opere quali «Curiosi» ’63 e ’61, ancora «Camere» ’61.

Renzo Ferrari, Antagonia, 1969, china, cm 22,7x32,1

Renzo Ferrari, Antagonia, 1969, china, cm 22,7×32,1

Quest’ultimo disegno già si misura in condizioni collettive, così come sarà per «Tempo libero» ’65, «Antagonia» ’69. Sul segno di alcune di queste tavole (la già citata «Camere» e «Don Chisciotte » per es.) da rilevare la variante gnomica, sentenziante, di racconto e di definizione. Poiché i l grottesco, la scarna incisività del segno moraleggiante, del sarcasmo e di un senso tutt’affatto tetro, anzi turgido, salutare, ironico che percorre “in minore” l’opera di Ferrari e la sua filtrazione culturale della condizione umana, sono qui ed un po’ ovunque presenti. Sino a sfiorare la ricorrenza di veri e propri «personaggi».

Nei disegni citati abbiamo già chiarito l’ovvia identificazione dell’artista tanto che è chiarita ai margini o ai lati dello stesso foglio. Nelle splendide serie «Gay», «Gaio» il disegno sprizza umori e faville per formare il personaggio e la costellazione, la cosmogonia (di origine psichica e di origine attuale, industriale-tecnologica come sempre) del suo complesso e della sua ambivalenza. «En plein air» — il segno drastico, caustico richiama addirittura Daumier – del 79, è la forte intenzionalità a rendere animosa la scena. Ma è di più quel che si vuol dire al proposito: sono quelle continue presenze, fiamme-anime, animismo e numenismo, dell’opera di Ferrari. Presenze spirituali e trasformazioni del dato naturale e psichico, presenze numeniche, superstiti ed insieme religiose, con fatica e con prodigio emergenti. Creature incompiute, tenute per metà allo stato nebuloso dallo sfumato e dai passaggi tonali del disegno.

Renzo Ferrari, En plain-air, 1978, tecnica mista, cm 17,2x23,2

Renzo Ferrari, En plain-air, 1978, tecnica mista, cm 17,2×23,2

 

Qualcosa che ricorda gli «aiutanti» di Kafka (e di Walser), ci sottolinea nel saggio ‘per il decimo anniversario della morte’ W. Benjamin. “Essi non sono ancora usciti del tutto dal grembo della natura, e si sono quindi ‘sistemati’ per terra in un angolo, su due vestiti smessi da donna… Tutta la loro ambizione era diretta… ad occupare il minor spazio possibile; a questo scopo fecero molti tentativi, sempre accompagnati però da risate e bisbigli sommessi, incrociando braccia e gambe, rannicchiandosi l’uno contro l’altro, e nella penombra non si vedeva in quel loro cantuccio che un enorme ‘gomitolo’, per loro e per i loro simili, gli incompiuti e gli inetti, esiste la speranza”.

Tale aiuto che ci viene da Kafka per meglio leggere e comprendere l’emozione che sta tra noi e disegni quali « Altri », «Doppia natura» (esemplificativo del lavoro degli ultimi anni, il disegno è dell’81). L’anno 1977: la robusta testimonianza nei disegni qui presentati della ‘svolta’ e dello sblocco del lavoro di Ferrari nella seconda metà degli anni settanta.

Renzo Ferrari, Doppia natura, 1980, tecnica mista, cm 21,5x29

Renzo Ferrari, Doppia natura, 1980, tecnica mista, cm 21,5×29

Non si vuole forzare, per un artista del resto di vicenda e ventura assai solitaria, addirittura solipsistica, un nesso con periodi storici ed evidenze sociali così dichiarato come i l titolo di questo paragrafo sembra indicare. Ma rapporto vi è, eccome.

Ed è probante che il ‘salto’ ambientale, la stenta e cavernicolare, sia pure, fruibilità di un ambiente; addirittura l’evidenziarsi – al di là dei cenni grafici – di una prospettiva, di un habitat non antagonista, non acronico, ma contemporaneo e proprio alle figure, sia di quegli anni.

Gli anni più socialmente accesi e ricchi, e più drammatici per tutti, della generazione.

Renzo Ferrari, Fra i sassi, 1980, inchiostro, cm 14x22

Renzo Ferrari, Fra i sassi, 1980, inchiostro, cm 14×22

Da «nella city» a «Fra i sassi» dell’80, tutta la serie qui presente, attraverso «en plein-air», con anticipazione di temi e di merito in «Figure» del ’75.

Opere ormai autonome dalla stessa “tradizione del moderno”, quella “tradizione” arricchendo e avanzando. La «totalità » della proposizione precedente (sia essa quella organica dell’informale, sia essa quella della totalità spaziale mercificata della pop art, della totalità espositiva e nel quadro dell’oggetto) è infine de-costruita. La formulazione di un mondo e di una condizione non è il suo possesso: ambizione a possedere comune alle visioni totali precedenti. L’austerità del segno, la rivolta trattenuta nel segno che infatti «fa» la figura ricercandola con rapidità e determinazione, formandola senza squilibrio (è, appunto, difficile distinguere l’ipotetico binomio ‘segno’ – ‘figura’), poiché la figura è immanente, centrale nella sua soltanto apparente precarietà.

Le fisicità liberate da quegli anni così come stavano nelle proposizioni critiche dei rapporti sociali ed interpersonali (ad es. il movimento femminista), stavano dentro la city, proponendo finalmente una complessa cultura, non certo scevra di settarismi e successive miserie, che proponeva una possibilità ancora collettiva di vita, animata dalla differenza individuale, ricca delle proposte che le varie discipline andavano formulando, indagando, nei confronti del vivere. Vivere urbano, metropolitano, non quale degrado e diaspora sociale del ghetto, ma quale fruizione della memoria e presenza, qui ed ora. Uomo / ambiente, Donna / ambiente. Ambiente / sociale. La città propria, la città in icona fa da sfondo a questa centrale vicenda collettiva del decennio scorso. In questi disegni ve ne è traccia. Le figure campeggiano in questi testi e nella più semantica materia dei quadri di quel periodo, quali «graffiti». Trasposizione magica sulla superficie del quadro e del foglio della figura che è e circola, si vede, che non rimanda che alla relazione spazio-temporale, che non è fantasma. È una successione casuale nel lavoro dell’artista, qui anche ordinato, incontrarsi con opere quali «Feroce?» 78-80 e «Fra i sassi» ’80?

Tornano, ma ormai evidenti ed apertamente allusive le aggressioni, e la sconfitta di una ipotesi collettiva (e culturale) porta evidente una immagine umana che dalla nuova esperienza compromessa assume identità, fila per la sua strada – si direbbe. Dal caos urobico, privo di forma, dal grande cerchio ove sono fusi gli opposti – appartenenti alla coscienza e ostili ad essa – o inconsci; dalla inestricabilità del caos, dell’inconscio e della totalità, per la strada tortuosa e difficile che porta ai luoghi della immagine. La cavità’ naturale, la grande curva concava dello spazio, l’habitat urbano cavernicolo ed i suoi graffiti, è ormai interno per le ultime figure, spazio dominato e inverato insieme dalle ultime corpulente, profane e terrene figure di nudo.

Agosto 1984

Piero Del Giudice

Renzo Ferrari, Selvaggio, 1983, tecnica mista, cm 28,9x21

Renzo Ferrari, Selvaggio, 1983, tecnica mista, cm 28,9×21

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Renzo Ferrari, Opere su carta, 1960 / 1984, Testo di Piero Del Giudice – Edizioni Galleria delle Ore di Milano (di Giovanni Fumagalli).

Renzo Ferrari, Opere su carta,1960  1984 Piero Del Giudice - Edizioni Galleria delle Ore di Milano

Renzo Ferrari, Opere su carta,1960 1984 Piero Del Giudice – Edizioni Galleria delle Ore di Milano

 

Renzo Ferrari è nato a Cadro (CH) nel 1939.

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MAE Milano Arte Expo [email protected] ringrazia Renzo Ferrari per aver concesso l’utilizzo del catalogo, del testo di Piero Del Giudice e delle immagini delle sue opere.

Milano Arte Expo

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