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Il Sam Mendes che non ti aspetti. Nel riguardare questo piccolo film on the road (in occasione dell'uscita italiana, finalmente prevista per il 17 Dicembre), ho scorto tantissime caratteristiche inedite ad una prima visione veloce. Mendes riesce a mettere su un film di naturalezza disarmante, ricco, ricchissimo di battute intelligenti, molto weird (si apre già con una scena di sesso sotto le lenzuola, con tanto di digressioni tra il comico e l'aspro), altrettanto scorretto in ogni dove. Così dopo una prima parte di gag drammatiche grottesche compare Maggie Gyllenhall nei panni (pochi) di un'ambigua madre, adepta di uno di quei gruppi para-filosofici con richiami pseudo-scientifici che popolano l'America delle classi bene. Emerge la visione panica (e morbosa, per non dire altro) nel rapporto con la sessualità, educazione ai pargoli piuttosto discutibile compresa. Mendes nel tratteggiare il carattere della Gyllenhall non ha paura di esagerare e il sovraccarico aiuta la pellicola. Precedentemente Allison Janney, nei panni di Lily, aveva mostrato caratteri altrettanto patologici, nel marchiare a fuoco i difetti fisici dei suoi stessi figli. La storia gravita attorno ad un uomo e una donna in attesa del primo figlio, con grandi difficoltà economiche, in giro per l'America in cerca di una sistemazione. Se Mendes è tagliente nel definire i caratteri minori (compresi i genitori di lui, interpretati da Jeff Daniels e Catherine O'Hara), si mostra più indulegente nei confronti dei due protagonisti. E mentre fa emergere il ruolo un pò giocoso, fanciullesco, debole di John Kasinski, con tanto di occhialone e barba incolta (senza essere un nerd), di contrappasso delinea uno splendido ritratto femminile con Maya Rudolph, la migliore dell'ensamble, che fornisce una prova notevolissima e lavora quasi come carattere normalizzante di un mondo fottutamente pazzo. Da notare anche la scelta degli attori. Mendes, infatti, mette da parte visi laccatti e sceglie fisionomie più realistiche, rurali, complesse, affascinanti, ma di certo non oggettivamente bellissime. E' proprio l'insieme di crepe, anche fisiche, che rende "American Life" un ritratto emozionante e atipico, molto distante dagli altri lavori da regista. Il film diventa il simbolo di un cinema indipendente che trova strade molto diverse, rispetto ai classici filoni inaugurati dai modelli archetipici di successo. E l'immagine dell'america che ne deriva è tutt'altro che informe, anzi si tratta di un quadro complesso e borderline sul mondo, mentre domina la piccolezza (e serenità) del microcosmo di affetti.
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