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Ribelliamoci alla mistificazione della realtà

Creato il 06 febbraio 2014 da Astorbresciani
Ribelliamoci alla mistificazione della realtà Sono ormai trascorsi settantatré anni da quando uscì nelle sale cinematografiche Quarto potere, lo splendido film diretto e interpretato dal grande Orson Welles, e l’attualità del suo messaggio socio-culturale è sorprendente. C’è una scena in cui il protagonista, il magnate dell’editoria Charles Foster Kane, afferma: “Lei si preoccupa di quello che pensa la gente? Su questo argomento posso illuminarla, io sono un’autorità su come far pensare la gente. Ci sono i giornali, per esempio, sono proprietario di molti giornali da New York a San Francisco”. Quel lungometraggio denunciò per primo l’influenza che i mass-media esercitano sulle masse, non necessariamente incolte e acritiche. Tant’è che si usa definire “quarto potere” (i primi tre sono il potere legislativo, giudiziario ed esecutivo dello Stato) la facoltà di suggestionare le menti, e quindi le opinioni, e persino di manipolare le coscienze attraverso i mass-media. Da allora, grazie allo sviluppo della televisione, e ultimamente della rete, i media hanno assunto un ruolo preponderante, facendo della strategia dell’inganno la loro cifra espressiva. In sostanza, giornali e televisioni deformano la realtà. Come? Utilizzando tecniche mistificatrici la cui efficacia è consolidata. Viviamo in un’epoca dove l’informazione è determinante e regna la rappresentazione iconica della notizia. Lo sa bene chi si occupa di comunicazione di massa: il sistema mediale orienta l’attenzione della gente e modella il sapere, detta le tendenze e riduce o amplifica la portata degli eventi. I media costruiscono un universo simbolico e virtuale che si sovrappone a quello reale e spesso lo sostituisce. “L’ho letto sul giornale”, “l’ho sentito in TV”. Tanto basta perché una notizia sia credibile, e quindi vera. Siamo vittime di un sistema capzioso asservito a logiche politiche, sociali ed economiche che non è al servizio della verità ma del potere. Meglio minimizzare, edulcorare o drammatizzare i fatti, meglio inventare una realtà adeguata ai fini che ci si propone. Tanto, il popolo è bue, non riconosce il vero. È una logica efficace, antica come il mondo. Chi era al potere la esercitò ben prima che esistessero i mezzi di comunicazione di massa. Un esempio clamoroso? La mistificazione religiosa mediante il confezionamento dei testi sacri, le false fonti storiche e i documenti contraffatti. Da sempre, chi vuole ingannare e influenzare il popolo fa uso di tecniche classiche come la mimetizzazione, il travestimento, la distrazione e l’imitazione. Oggi, le strategie dell’inganno usate per manipolare l’opinione pubblica di cui si avvalgono i media (ma anche gli uffici stampa pubblici e delle multinazionali) sono tante e tali che per l’uomo della strada è quasi impossibile riconoscere d’essere stato ingannato. Le più note sono il ribaltamento dell’onere della prova, la tecnica dell’omissis, il “fatto compiuto”, l’uso di due pesi e due misure, la propaganda falsa, il ricorso alla minimizzazione, il discredito, la creazione del senso di colpa o del complesso di inferiorità, il richiamo al progresso, la leva emozionale, ecc. I media sono inquinati dalle bugie ma a rendere insopportabile il loro modus operandi è la mistificazione sottile, il dosare le verità e le omissioni, presentando le opinioni come se fossero fatti, creando artatamente false convinzioni. Ci trattano come stupidi ed evidentemente lo siamo perché prendiamo per oro colato quello che leggiamo o sentiamo in televisione. A poco serve restare perplessi di fronte alle varianti di un fatto, non sapremo mai la verità. La verità, ahinoi, è che siamo in balia degli impostori, i quali agiscono su mandato. I giornalisti non mentono per il piacere di gabbarci, lo fanno perché sono al soldo di un padrone. Sono i potentati economico-finanziari e le lobbies politiche e culturali a imporre loro il briefing, a dettare i modi e i tempi dell’informazione. Recentemente, il grande linguista americano Noam Chomsky, che il New York Times ha definito “il più grande intellettuale vivente”, ha spiegato le dieci regole fondamentali attraverso le quali è facile mistificare la realtà. La sua lezione è illuminante e merita d’essere conosciuta. Secondo Chomsky, la prima strategia consiste nel distrarre il pubblico. Occorre deviare la concentrazione su argomenti minori e banali, per distrarla dalle cose importanti. Bombardarci di notizie futili su Balotelli e Belen Rodriguez ci distoglie dal problema delle guerre per l’acqua in Africa. In ciò, Vespa e la D’Urso sono maestri. La seconda strategia comporta l’invenzione di falsi problemi per fini utilitaristici. Un esempio? Si creano emergenze e allarmi sanitari nella popolazione per consentire alle industrie farmaceutiche di produrre nuovi o più farmaci. Terzo: la gradualità. Per fare accettare misure inique e quindi odiose, le si impone una goccia dopo l’altra, con continuità. I grandi cambiamenti socio-economici che l’Italia ha subito negli anni Ottanta e Novanta, furono il risultato di questa strategia invisibile messa in atto dai media. Di ciò, è in massima parte responsabile la televisione commerciale, che gradualmente, attraverso la pubblicità e i messaggi subliminali, ha modificato le abitudini degli italiani, rendendoli schiavi dei falsi bisogni. Quarto: il differimento. Consiste nel presentare una decisione indigesta come “dolorosa ma necessaria”. L’esempio eclatante è l’imposizione dell’oppressione fiscale e della conseguente austerità come se fosse l’unica medicina possibile per uscire dalla crisi. Si differisce il vero problema per nascondere le verità scomode. La quinta strategia è rivolgersi al pubblico come se si parlasse a un bambino. A che scopo? Suggestionarlo più facilmente, debellare del tutto la sua fragile capacità critica ricorrendo a toni infantili, fintoaffettivi, rassicuranti. La sesta strategia va al passo con la precedente: si punta sull’aspetto emotivo più che sulla riflessione. Settimo: è preferibile mantenere il pubblico nell’ignoranza e nella mediocrità invece di educarlo. La gente deve ignorare l’esistenza di ciò che avviene realmente nella stanza dei bottoni. Meglio inebetirla con programmi demenziali come Il Grande fratello anziché svilupparne il desiderio di conoscenza e la coscienza. L’ottava strategia è basilare: è più facile controllare una massa omologata piuttosto che i liberi pensatori. Ergo, bisogna imporre precisi modelli di comportamento. I media lo fanno non solo attraverso la pubblicità ma grazie a programmi di intrattenimento che suscitano impulsi di emulazione. Nono: si crea il sentore di essere degli sfigati in un mondo pieno di furbi, di essere gli unici responsabili dei propri mali. L’autocolpevolizzazione mina la fiducia nei propri mezzi e stempera il desiderio di ribellarsi. Perché negli anni Sessanta/Settanta i giovani avevano voglia di spaccare il mondo mentre oggi galleggiano nel vuoto esistenziale? La decima e ultima strategia è paradossale. In una società dove la legge sulla privacy ha cambiato le nostre abitudini, non abbiamo più segreti. Li abbiamo resi noti a tutti attraverso FB e Twitter, le chat, i sondaggi, le operazioni di feed back scientificamente strutturate affinché l’utente non ne sia a conoscenza. Coloro di cui i mass-media sono la longa manus, ci conoscono così bene da poterci manovrare come burattini. Sulla lezione di Chomsky occorrerebbe riflettere a lungo. Essere vittime della mistificazione ci può stare. Ma una volta compresi i meccanismi della manipolazione, la si deve sconfessare. Dobbiamo strappare la maschera ai bugiardi e riprenderci la libertà che ci hanno rubato con la malizia di un rapace. Come? Boicottando i giornali intossicati e scegliendo i programmi televisivi intelligenti. Non dimentichiamoci, come diceva Voltaire, che un uomo è libero nel momento in cui decide di esserlo.

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