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Ricordando Aldo Moro nel giorno della memoria…

Creato il 13 maggio 2012 da Elvio Ciccardini @articolando

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Il 9 Maggio è stato il “Giorno della memoria delle vittime del terrorismo e delle stragi”. La Glocal University Network ha organizzato, con il patrocinio della Presidenza Assemblea Capitolina, Roma Capitale, e del Centro Alti Studi per la lotta al terrorismo e alla violenza politica, un convegno che si è tenuto nella sala della Promoteca, presso il Campidoglio dedicato a questo tema.
Tra i relatori Alessandro Ceci, docente di filosofia politica e criminologo, Liliana Montereale, direttore scientifico della Glocal University Network, i giornalisti Sandro Provvisionato e Paolo Cucchiarelli, il Senatore Maurizio Calvi e la professoressa dell’Università di Camerino Catia Eliana Gentilucci, presidente del Centro di ricerca CEFF’S…

Sono trascorsi oltre 30 anni dalla morte di Aldo Moro e ancora il paese non ha trovato una “verità” storica, che sappia raccontare la Repubblica Italiana. In assenza di “storia compiuta” è fondamentale perpetrare il rito del ricordo, affinché ci si possa interrogare sul senso di una vicenda politica che ha segnato le istituzioni, scuotendole nelle fondamenta. Così come ci si deve interrogare sullo scellerato matrimonio tra vicende politiche, nazionali e internazionali, e tragedie personali di cittadini e servitori dello Stato, che ne sono vittime a diverso titolo.
Eppure gli “uomini del terrore”, i terroristi, rimangono nella memoria collettiva delle persone. Altrettanto non può dirsi delle vittime del terrorismo e ancor meno delle loro famiglie. Così ha aperto il suo intervento il Prof. Ceci.
La violenza è umana. E’ nella storia della nostra civiltà. Il simbolo di Roma, il Colosseo, è stato “circo” di morte. Negli anni del Caso Moro, Roma è stata palcoscenico internazionale di violenza, su cui erano puntati gli occhi del mondo. La vita quotidiana venne alterata. Ci si trovò in uno stato di insicurezza, cioè di terrore. Passeggiare nel centro di Roma non era agevole, ci si sentiva sotto assedio. Girare in metropolitana con un giornale in mano poteva essere pericoloso per la propria incolumità. Gli ultimi 55 giorni di vita di Aldo Moro hanno rappresentato l’epilogo di 40 anni di storia d’Italia, segnati da stragi ripetute in treni, piazze, strade. Ciò che non si sa è il significato di ciò che è rimasto. Ma noi possiamo capire che cosa ci resta e cosa ha significato per tutti noi. Questa è la sintesi del contributo del giornalista Cucchiarelli.
Contemporaneo è il pensiero di Sandro Provvisionato che propone alcune considerazioni legate ad una sua recente pubblicazione “Doveva morire”.
Moro doveva morire e, probabilmente, la spiegazione del “doveva” è riconducibile ad una volontà politica nazionale, personificata in due cardini della repubblica: Andreotti e Cossiga. Provvisionato lo scrive e lo dichiara apertamente. La strada che conduce dalla supposizione alla verità provata, tuttavia, dovrà attendere percorsi naturali di vita. Proprio quelli che si è deciso di interrompere.
Moro era finito al centro di una convergenza di interessi che lo volevano morto. Non andava bene nè ai russi nè agli americani. Non piaceva nemmeno al partito di Moro. Si poteva arrivare alla sua prigione. E’ stato evitato per ben otto volte. Dall’America mandarono un consulente, collaborò con Cossiga, per contattare le brigate rosse. Ma Moro era più pericoloso da vivo che da morto.
E’ vero, come sostiene Cucchiarelli, citando Sciascia, che “la menzogna genera menzogna e l’italia è un paese senza verità, pertanto bisogna rifondarla”. La verità, oggi, non c’è.
La parola chiave della politica internazionale del 1978 era “Guerra Fredda”: Cioè: un Piano politico internazionale volto a dimostrare che il capitalismo democratico doveva essere la sola e unica forza economica vincente. Così apre l’intervento la Gentilucci.
Aldo Moro voleva dimostrare che ciò poteva non essere vero, dato che portò avanti l’unico vero tentativo di dialogo tra destra e sinistra per il bene della collettività. Aldo Moro aveva visto oltre e aveva toccato le sfumature dei colori di una società che poteva crescere nel dialogo e nella condivisione di idee e ideologie che avrebbero fatto crescere con respiro indipendente la nostra società italiana. Aldo Moro non avrebbe mai accettato di “Cedere parti di sovranità nazionale” (come è stato dichiarato da un rappresentante della politica di oggi). Egli ha perso la sua vita regalandoci il suo ricordo come simbolo della lotta contro l’anti-stato e della lotta per la difesa di una Democrazia “illuminata”, non dai poteri della finanza ma dai valori etici e morali.
Se non acquisiamo consapevolezza di ciò non potremo mai guardarci allo specchio per capire chi siamo e quali elementi di forza abbiamo per proteggere la nostra democrazia.
Interpretare oggi il pensiero, la vita, di Aldo Moro può voler dire compiere degli arditi paragoni. Aldo Moro come Francesco di Assisi, e come coloro che hanno cercato di cambiare il mondo rinunciando alle false verità del loro sistema storico, ha lasciato dietro di sé le ipocrisie insegnate dai formatori di regime, assumendo il coraggio nell’affrontare il potere pre-costituito, al fine di individuare una nuova alternativa ai poteri forti che fosse ispirata ai principi della uguaglianza morale delle classi sociali, della solidarietà economica e della democrazia liberale. Non dimenticare i grandi “Rivoluzionari della Ricerca della Verità” è il monito che vorrei rivolgere a chi erediterà il nostro domani e a noi stessi che abbiamo la responsabilità dei mali della nostra epoca.
Questa è una sintesi di un momento di incontro nato per ricordare e per ricordarci chi siamo, noi italiani.


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