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Riff, decima edizione. “L’ultimo re” e l’humus dell’uomo moderno

Creato il 25 marzo 2011 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

L'ultimo re

La guerra e i suoi demoni tutti umani: L’ultimo re, pellicola di Aurelio Grimaldi in concorso al Riff, rende ancora più manifesta (se ce ne fosse ulteriormente bisogno) e drammaticamente indefessa davanti ai nostri occhi, una ‘verità’ difficile da scacciare. L’essere umano è una bestia atrocemente legata a quella ‘volontà di potenza’ che ci ha portato a quello che siamo adesso. Profetico specchio antico è questo adattamento della tragedia di Lucio Anneo Seneca, Le Troiane, voluto fortissimamente da Isabel Russinova (da tempo dedita al teatro classico) e Rodolfo Martinelli, che con la Ars Millennium sono riusciti a realizzare un parto filmico di difficile gestazione per quanto concerne la caccia ai soliti finanziamenti indispensabili (ancor di più per progetti poco empatici per la grande massa, come questo).

Il coinvolgimento di Aurelio Grimaldi (pasoliniano di formazione, di ispirazioni e tematiche), che ha accolto con entusiamo la possibilità  (abbastanza folle, e perciò ancora più attraente) di portare al cinema (in questo vuoto contemporaneo, specie italiano) una tragedia classica con tematiche quanto mai attuali, ha chiuso il cerchio.

L’ultimo re ci introduce al culmine della guerra di Troia, vissuto dai vinti, ossia le donne Troiane, ancora vittime dell’inutile ma ingorda sete di sangue e vendetta degli Achei, decisi ad estirpare gli ultimi resti dinastici Troiani: Polissena, figlia di Priamo, e Astianatte, figlio di Ettore ed Andromaca. Assistiamo alla forza e alla dignità di donne che, private dei propri uomini e della propria prole, conservano una fierezza mista ad una morte spirituale per aver sperimentato tutto l’orrore e l’abominio della guerra, rese cadaveri viventi, testimoni (per noi che guardiamo) della mostruosità umana (ben incarnata nel folle delirio di onnipotenza del giovane Pirro, reso autenticamente da Alessio Vassallo), dell’impossibilità di una redenzione del nostro genus.

Apparentemente tutto funziona: dalla fotografia vivida di Giulio Pietromarchi, alla location (i suggestivi ruderi della calabrese Cirella Vecchia),  alla messa in scena, con un cast convincente, che include anche Moni Ovadia nelle vesti di Agamennone.  La Russinova regge su spalle solide il personaggio principale, un’Andromaca già annientata dal dolore della perdita del suo uomo, violentata questa volta nella propria maternità, che lotta fino alla fine e invano per salvare la vita di Astianatte.

Putroppo riecheggia fortemente un’aura teatrale, da cui Grimaldi non riesce a scollarsi. Manca quel tocco visivo autonomo, quell’elemento aggiunto (e disgiunto) capace di conferire una personalità cinematografica alla direzione registica. Ciò che L’ultimo re conserva e ci rende è quella serietà, quel rigore classico, quella densità di linguaggio, anche scandita e rappresentata, capace di dare corposità e gravità alla follia prevaricatrice e dominatrice di ciascuno sull’altro, su cui non smetteremo mai di interrogarci fino a quando non si esaurirà questa umanità e saremo pronti per un nuovo uomo.

Maria Cera


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