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Riflessioni di una laureata ottusa

Creato il 05 ottobre 2015 da Annovigiulia @AnnoviGiulia
laurea

Credits: University Leicester

Oggi festeggio undici anni dalla mia laurea. Un numero che coincide anche con gli anni di lavoro, perché allora non mi sono presa neanche un giorno di vacanza. Il giorno dopo la proclamazione ero già in laboratorio, con l’entusiasmo di continuare a lavorare, con ancora tanta voglia di investire il massimo dell’impegno e delle mie capacità.
Undici anni mi sembrano tanti eppure ci sono cose che ancora non comprendo del mondo del lavoro.
Non so cosa differenzia la mia generazione da quella dei miei genitori. Certo per loro c’era il posto fisso che oggi quasi per legge costituzionale non c’è più, ma non è solo questo.

È anche il modo di approcciarsi all’ambiente di lavoro. I nostri genitori rimanevano lì dov’erano, senza agitarsi per cercare altro, forse senza chiedersi se ci potesse essere qualcosa di meglio, qualche alternativa. Forse avevano più bisogno di denaro, forse avevano altre priorità nella vita o forse le condizioni di lavoro erano migliori.

Io l’ho chiesto e mia mamma, con il solito tono di chi la sa più lunga, mi ha detto “Cosa credi? Queste cose succedevano anche una volta. Non mi racconti nulla di nuovo”. Eppure non ho capito perché loro rimanevano lì e non capisco perché le nostre storie – le mie e quelle dei miei amici – siano così diverse.

È legittimo continuare a cercare una condizione migliore o bisognerebbe accontentarsi? Bisogna piegarsi ad alcune dinamiche perché “tanto in Italia è così” oppure bisogna farsi valere, combattere, metterci la passione (anche quella un po’ arrabbiata) per tentare di migliorare le cose?
È sufficiente giustificarsi dicendo “cosa credi? Tanto è così dappertutto”?
O forse siamo noi? Siamo noi che non siamo mai contenti e che siamo solo capaci di lamentarci?

Io a queste domande non so dare risposta. Forse è perché non sono ancora diventata grande e come i bambini credo ancora che gli adulti dicano la verità, siano corretti, siano persone in cui riporre la propria fiducia. Oppure sono solo un “narciso” e penso che tutti debbano rispettare me. Ma perché poi? Chi sono io?

Sta di fatto che sento ancora vivida dentro di me quella delusione che provavo quando un adulto mi prometteva qualcosa e poi non lo manteneva. Ancora sento la mia voce di bambina che dice “ma come? Avevi promesso! Tu avevi promesso che me lo compravi”!


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