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Riflessioni sul caso Rummo (e sull'approccio quantitativo vs qualitativo alla comunicazione)

Da Robven
Riflessioni sul caso Rummo (e sull'approccio quantitativo vs qualitativo alla comunicazione)Il caso Rummo mi ha fatto riflettere su un paio di cose.
Non credo sia il caso di andare a fondo nella sua analisi, visto che già si è scritto molto (do your best, link the rest).
Ma se sentite il bisogno, in calce vi metto dei link di approfondimento.
Sintetizzando, dopo la tremenda alluvione che ha duramente danneggiato l'azienda, si è innescato un movimento di supporto, adesione, aiuto sui social.
E il tema è stato, sostanzialmente: dobbiamo fare qualcosa per aiutarli, comprate qualche pacco di pasta Rummo (in più). E pubblicate sui social la foto dei pacchi di pasta, come prova dell'avvenuto acquisto e stimolo agli altri per aderire alla crociata #SaveRummo .
Acquistate la pasta #Rummo! 💪🏻 #AlluvioneBenevento pic.twitter.com/93Ki16XCEt— Clara Apicella (@ClaraApi) 18 Ottobre 2015

Cosa che in molti hanno fatto (compreso il sottoscritto: 3Kg).
L'attività social, scaricatasi a terra su Twitter, Facebook, blog ha coinvolto anche personaggi famosi.
Solidale col pastificio Rummo colpito dall'alluvione. Io la loro pasta la compravo già, fatelo anche voi! pic.twitter.com/SfsDq9aHXm— Selvaggia Lucarelli (@stanzaselvaggia) 18 Ottobre 2015

E, a quanto si capisce (e io ci credo abbastanza) è stata un'attività spontanea, non guidata dall'azienda. Che forse ha ben altri problemi da affrontare, più che di concentrarsi sui social - che del resto non sono mai stati "fortemente presidiati":
analizzate, ad esempio la loro pagina Facebook:
 www.facebook.com/pastarummo
o il loro account Twitter, con soli  708 follower:
https://twitter.com/PastaRummo
Ma, evidentemente, qualcosa di giusto hanno fatto, come brand.
Rummo è riuscita evidentemente a diventare un lovemark, una marca tanto amata dalle persone che queste, nel momento del bisogno si sono fatte promotrici di un'attività di User Generated Marketing* (che ha generato anche pareri contrastanti).
La riflessione che mi ha colto, e che cerco di sintetizzarvi è questa:
Oggi assisto a un forte trend - rendere "quantitativa" anche la comunicazione digitale. Ma la qualità spesso porta risultati. Non misurabili "ex ante" ma che impattano, concretamente, il business.
Al di là di ciò che attiene all'advertising online (è la sua natura, essere trattato da "media"), anche sui social, anche sul lavoro con gli influencer ci sono aziende che stanno palesemente operando pensando solo alla massimizzazione dei contatti, della reach.
Pensando solo a privilegiare la quantità, in un'ottica classicamente pubblicitaria, privilegiare il numero dei contatti totali ottenibili; rispetto a scelte sulla natura e le caratteristiche specifiche, la capacità di esercitare influenza, di innescare conversazioni, di essere un endorser particolarmente credibile per quel prodotto su quel target.
Per capirci, per fare un esempio, quello che importa è che la mia press release sia ripresa dal massimo numero di persone, pardon, di influencer, in un mondo ideale dove centinaia di blogger che arrivano a milioni di persone facciano un copia & incolla della mia press release (così come di quelle di mille altre aziende, non importa).
E quindi fare scelte che non danno troppo peso alla "qualità".
Ora, è ovvio che lavorare in una logica che porta scarse coperture, che fa sì che il nostro messaggio arrivi a pochissimi, non sposta i fatturati. E' spesso più un costo che un investimento.
E' logico che la qualità è un parametro difficile da misurare, da condensare in un numero - e i numeri sono alla base del nostro business, dei piani di marketing, delle richieste di budget da esporre al management.
Ma è sempre più evidente che questa elusiva qualità forse è la chiave per trasformare gli "utenti" in ambassador, in promotori, in evangelisti. In persone che si schierano e senza ricompensa si sbattono per noi. Per farci migliorare la bottom line. Per farci incassare dei soldi.
Perché ci vogliono bene, perché c'è relazione.E questo, direi, è un fattore importante nel nostro marketing, nella nostra comunicazione, alla fine... nel nostro profitti & perdite.
* Mi cito, da Relazioni Pubbliche Digitali:User Generated Marketing: la nascita di conversazioni, di contenuti a nostro favore, talvolta totalmente disallineati rispetto alle nostre strategie, estranei cioè al nostro DNA di marca. 
Singoli utenti appassionati o gruppi influenti possono infatti scatenarsi in attività di user generated marketing, vale a dire in azioni in cui le persone si fanno propagandisti, evangelisti della marca, iniziano a farne pubblicità, a diffonderne il «verbo», a farsi carico insomma, senza che nessuno l’abbia chiesto, di un’attività di marketing a nostro favore.
Approfondimento:
http://www.corriere.it/tecnologia/social/15_ottobre_18/benevento-pastificio-rummo-ginocchio-solidarieta-social-ea3e861c-759b-11e5-a6b0-84415ffd3d85.shtml
http://www.scattidigusto.it/2015/10/18/pastificio-rummo-foto-pasta-alluvione/
http://www.ilgiornale.it/news/cronache/alluvione-beveneto-campagna-social-pastificio-rummo-1184458.html
[Branding & Marketing Blog / Venturini]

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