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Riforme cinesi

Creato il 26 dicembre 2013 da Conflittiestrategie

Scritto da: MauroTozzato

A metà novembre si è svolto il Plenum del Partito Comunista Cinese che a parere di molti commentatori rappresenta una nuova decisiva svolta per lo sviluppo del capitalismo cinese, una forma di capitalismo atipica rispetto ai modelli europei e anglosassoni e per questo particolarmente interessante da osservare e studiare. A partire dal 1978, quando Deng Xiaoping prese definitivamente in mano le redini del paese, il PCC avviò, come è ben noto, una transizione verso l'economia di mercato. I dati riportati da Charles A. Kupchan in un suo recente saggio sono veramente impressionanti: tra il 1978 e il 2002, l'economia cinese è cresciuta di oltre otto volte, il reddito pro capite è aumentato di più del 600 per cento e la quota prodotta dal settore privato è passata dallo 0,2 al 41 per cento del Pil. Negli ultimi dieci anni la crescita cinese è stata in media del 10,9 per cento, cinque volte maggiore di quella occidentale; già nel 2005 vi erano in Cina 30 milioni di imprese private con la conseguente nascita e sviluppo di una notevole classe media mentre 400 milioni di cinesi si sono, a tutt'oggi, elevati al di sopra di una ormai atavica soglia di povertà. Ovviamente, soprattutto in occidente, ci si è domandati ripetutamente come un sistema politico fondato sull'autocrazia e sulla centralizzazione del potere potesse resistere di fronte ad una simile imponente trasformazione del sistema economico. Alla fine è prevalsa la tesi che la cosiddetta "cultura comunitaria" tradizionale della società cinese abbia fatto preferire o comunque anteporre i valori di stabilità, solidarietà e benessere collettivo a quelli fondati sul profitto economico. Si ritorna, in maniera nuova, ad utilizzare il paradigma del modo di produzione asiatico che avrebbe - fin dai tempi dell'antica Cina dei grandi progetti di irrigazione a direzione statale - inculcato nel popolo cinese la necessità dell'esistenza di una potente burocrazia, di un'economia pianificata centralmente e di una ben definita gerarchia sociale. Ma, a parere di Kupchan, altri fattori sono risultati ancora più importanti per garantire la stabilità politica. Nonostante la macelleria sociale e i sacrifici umani - che hanno accompagnato anche qui, come sempre, le grandi rivoluzioni industriali nei vari paesi - il PCC ha avuto l'accortezza di stimolare una base di consenso anche nelle campagne povere e arretrate e infatti uno dei primi passi compiuti dal partito verso la liberalizzazione economica fu lo smantellamento del sistema delle fattorie collettive che permisero a molti coltivatori e piccoli imprenditori agricoli di ottenere profitti crescenti mentre il surplus di manodopera che si era venuto a creare veniva ampiamente assorbito dalla richiesta di lavoratori per l'industria creato dal boom industriale cinese. E, ancora, il professore di Politica internazionale afferma che il gruppo dirigente del PCC è risultato molto abile nel cooptare la nuova classe imprenditoriale e i ceti medio-alti accettando di far propri gli interessi di questi gruppi sociali in ascesa riuscendo a neutralizzare, fino ad ora, le loro ambizioni di una maggior partecipazione al potere. E' certo, comunque, che tutto questo sarebbe stato più difficile se, come si diceva prima, non si mantenesse ancora molto vitale una cultura confuciana che "impone" rispetto e fedeltà alla famiglia e alla comunità e che considera in maniera del tutto diversa, e secondaria rispetto all'occidente, l'autonomia e le libertà individuali. Ma, ritornando al recente Plenum, ecco il commento di un esperto di diritto dei mercati finanziari come è il prof. Guido Rossi (sul Sole 24 ore del 17.11.2013):

<<Dopo quattro giorni di conclave a porte chiuse, il Partito comunista cinese ha finalmente rilasciato un Comunicato, giudicato vago ed ambiguo, al quale è seguito un ben più preciso Documento di sessanta direttive che non lasciano spazio ad ambiguità alcuna. Il terzo plenum del diciottesimo Comitato centrale è stato immediatamente giudicato dalla stessa stampa cinese come un "nuovo punto storico di partenza", almeno altrettanto importante quanto quello famosissimo che portò Deng Xiaoping al potere nel 1978 e che cambiò la storia della Cina. Esso fu poi seguito dall'altro plenum del 1993, nel quale il Partito comunista cinese abbracciò il concetto di "economia socialista di mercato", abrogando il sistema della pianificazione economica. Furono quelli gli anni durante i quali si rinnegò definitivamente "l'armoniosa civiltà" confuciana che considerava il diritto scritto statale uno strumento inadeguato e comunque inutile di controllo sociale, promulgando una serie impressionante di leggi economiche sui marchi, brevetti, concorrenza sleale, diritto tributario e bancario, società, lavoro, titoli di credito, contratti con l'estero. All'ormai superato modello socialista sovietico si sostituiva la presenza di un'attività negoziale sottoposta in ogni caso alla direzione dello Stato. Da allora, la Cina è diventata una grande potenza e con incredibile rapidità è divenuta la seconda economia mondiale, con significativi interessi in ciascuna parte del mondo e la presenza nelle maggiori organizzazioni internazionali, tanto da creare, anche nei più accorti commentatori americani (come Foreign Affairs), il timore che essa possa sottrarre agli Stati Uniti la funzione di egemonia globale>>.

Prescindendo dalla questione del rapporto tra confucianesimo e diritto pubblico in Cina, riguardo alla quale, per quanto ne so, esistono opinioni divergenti, il nostro blog, come è noto, considera piuttosto prematura la tesi di una possibile egemonia mondiale cinese, soprattutto perché gli Usa mantengono ancora un nettissimo primato per quanto riguarda le innovazioni di prodotto, le tecnologie avanzate e la supremazia militare. Così continua ancora, poi, il prof. Rossi:

<<Alcune riforme previste sono dirette a un aumento della domanda interna, invertendo l'attuale quasi esclusiva vocazione all'esportazione. A queste si aggiungono l'aumento della percentuale dei profitti delle società di Stato da passare al Tesoro, che giungerà al 30% nel 2020, rispetto agli odierni 5 e 15%, l'aumento dei diritti dei lavoratori delle campagne, la fine della politica del figlio unico e soprattutto la chiusura dei campi di lavoro forzato, con apertura a un più flessibile sistema bancario, anche non pubblico>>.

Avremo quindi la possibilità di una migliore utilizzazione delle entrate statali, una maggiore liberalizzazione e flessibilità del mercato del lavoro e, infine, con ogni probabilità una maggiore efficienza ed efficacia del sistema creditizio con una migliore integrazione del grande capitale industriale con quello bancario.Qualche novità è stata introdotta anche nel campo delle istituzioni statali con una parziale ristrutturazione amministrativa del potere statale del Partito comunista. Il Plenum ha infatti costituito un "Comitato di sicurezza dello Stato" che, a detta anche degli esperti cinesi, ha preso ad imitazione il National Security Council, che consiglia il presidente degli Stati Uniti sulla politica estera e coordina tutte le agenzie governative. Questa nuova istituzione burocratica include rappresentanti dell'esercito e della polizia, oltre che ministri per gli affari economici ed esteri. Insieme a questo verrà creato un "piccolo gruppo dirigente" per condurre a termine le riforme economiche, allo scopo di arrivare ai decisivi risultati del 2020 promessi dal presidente Xi Jinping. Nonostante i dubbi ancora esistenti sulla tenuta a lungo termine del sistema politico cinese anche il prof. Guido Rossi, tirando le conclusioni, si dimostra molto aperto ad aspettative di cambiamento molto significative nel capitalismo globale arrivando ad affermare che "Il connubio tra mercato e democrazia, con buona pace dei tanti arroganti sacerdoti del neoliberismo, è storicamente tramontato".

In un altro articolo del Sole 24 ore (del 16.11.2013) F. Galimberti commenta con altrettanta enfasi il nuovo corso cinese:

<<"Non importa se il gatto è bianco o nero, l'importante è che acchiappi i topi": la famosa frase di Deng Xiaoping, padre dell'apertura cinese al mercato, ha accompagnato la galoppata dell'economia cinese da quel lontano 1978, quando le riforme di Deng cominciarono a modificare i confini dello statalismo imperante e a creare l'"economia socialista di mercato". Oggi, il Plenum del Partito comunista cinese ha adottato una serie di principi riformatori che rivaleggiano, per importanza, con quelli di allora. Ma che cos'è l'"economia socialista di mercato"?>>

Il famoso economista non risponde direttamente alla domanda preferendo parlare delle riforme appena annunciate:

<<Non è facile parlare delle riforme economiche senza parlare di quelle "civili", dato che proprio il successo economico (libertà di intrapresa) ha dato risalto alla mancanza di altre libertà, da quelle politiche a quelle di insediamento (città/campagna) a quelle familiari (un solo figlio...), per finire alla "libertà di non respirare lo smog". Per continuare a crescere bisognava allentare le redini in vari settori dell'economia, da quello delle imprese pubbliche a quello finanziario e bancario, e soprattutto impedire che il disagio sociale si ingrossasse fino a mettere in forse lo stesso sviluppo dell'economia.[...] Così, le direttive alle imprese statali per raddoppiare la quota di utili trasferiti allo Stato impediscono a queste di misallocare le risorse e mettono a disposizione dello Stato fondi per migliorare i servizi ai cittadini. [...]Ma è soprattutto in campo finanziario che il "nuovo corso" è davvero nuovo: il permesso di aprire nuove banche e la rimozione del tetto ai tassi sui depositi sono misure che stimoleranno la concorrenza nel settore bancario, e vanno di conserva alle misure degli ultimi mesi in campo valutario: i passi, lenti ma inesorabili, verso un maggiore internazionalizzazione dello yuan.[...] In Occidente si cerca di mettere le redini alla finanza (troppo) creativa; in Cina si cerca di allentarle. La virtù sta nel mezzo; o, direbbero i cinesi, nel Middle Kingdom, il "Regno di mezzo">>.

Ma, a questo punto, ci viene da pensare che primo o poi lo squilibrio già sussistente arriverà a farsi "critico"; la liberalizzazione del credito e l'espansione del settore terziario nel suo complesso rafforzeranno i gruppi capitalisti e imprenditoriali che inevitabilmente richiederanno sempre più di entrare "nella stanza dei bottoni" e magari di sostituire il gruppo politico dominante nel controllo dell'apparato. Non ci resta che stare a vedere se la strategia dell'attuale Figlio del Cielo Xi Jinping sarà in grado di portare avanti una transizione senza scosse o se nonostante il peso della tradizione della Scuola dei letterati non si aprirà un nuovo periodo simile a quello dei Sette Regni Combattenti.

Mauro T. 25.12.2013


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