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Risveglio - Capitolo 13

Da Jitsumu
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 “O Partha, coloro che sono caparbiamente attaccati al potere e alle delizie dei sensi, e la cui intelligenza discriminativa è fuorviata dalle fiorite parole delle persone spiritualmente ignoranti, non possono conseguire l'equilibrio mentale della meditazione e dunque non possono ottenere l'unione con Dio nel samadhi. Sostenendo che non vi è altro che trovare diletto negli aforismi laudatori dei Veda, con la loro natura tormentata dalle inclinazioni terrene, considerando i piaceri celesti la loro mèta suprema, compiendo numerosi riti sacrificali specifici per ottenere il potere terreno e i piaceri dei sensi. Queste persone vanno invece incontro a nuove nascite, come conseguenza delle loro azioni, istigate dai desideri”

     Bhagavad Gita

Restai sul letto con Valeria per un bel po’ di tempo. Ero immerso in una calma placida e contemplativa. Ripensando a tutto quello che era accaduto fino a poche ore prima, sorridevo divertito cercando di immaginare quanti di quei fottuti coglioni anemici mi avessero trastullato il cazzo per metterci tutto quell’inchiostro sopra. Presi il cellulare dalla tasca e cercai il numero. Lo fissai sullo schermo in equilibrio tra la voglia di chiamare subito e quella di aspettare ancora. Avrei chiamato, questo era chiaro. Chissà se quello che continuavo a fissare era il numero di Lilith o di qualcuno dei suoi accoliti. Mi alzai. Il senso di quello che avevo fatto durante la festa riusciva pian piano a prendere connotati distinti nella mia testa e spontaneamente cominciai a valutarne se non la gravità almeno l’insipienza. Arrivai alla conclusione che l’eccesso di eccitazione coltivato nell’arco di tutta la serata mi aveva portato in un vortice di autocompiacimento che non prevedeva più alcun tipo di filtro. Scoparmi quella troia senza preservativo poi. Oddio che cazzo avevo fatto? E che cazzo ci facevo lì da Valeria? Tutto per una chiavatella trasgressiva ridicola. Ero risucchiato nella paranoia. Decisi che sarebbe stato meglio cazzeggiare per un po’ con la Playstation di là in salone nell’attesa che la ninfomane si svegliasse. Dovevo rilassarmi e distrarmi.

Gioco a Winning Eleven incaponendomi con quei cazzo di assist e passaggi filtranti che si fanno premendo il triangolo, e inanello una serie di pareggi per zero a zero giocati perennemente a centrocampo e palla a terra senza l’ombra di occasioni da rete degne di questo nome. Si sfiora il paradossale. Non so giocare proprio. Sento aprirsi la porta della camera di Valeria e dopo qualche istante la vedo comparire sull’uscio del salone

“ti sei alzato poi? Non mi volevi un po’ chiavare?”  dice inespressiva

“eh Vale ho sborrato una decina di volte nell’arco delle ultime dodici ore quindi non sono proprio al massimo della libido sai…- e sorrido – ma comunque la giornata è lunga i tuoi quando tornano?”

“domani, ma tra poco viene Gianfranco”

“e chi cazzo è Gianfranco?”

“come non ti ricordi è l’ex di Marina la mia amica dell’università… quello che la veniva sempre a prendere quando stava qui da me…”

“e che viene a fare?” ammicco

“tu non mi scopi…vado a fare un caffè” e va in cucina.

Va tutto per il meglio. Speravo che avesse la compagnia di qualcun altro che sentivo di non avere poi tutti questi stimoli erotici. Continuava quella sottile sensazione di svuotamento. Pensavo a Marilena e a quello che era successo all’ultimo piano del palazzo di Blepu, e il solo sfiorarne il ricordo mi stava facendo venire un erezione. Serate come questa mi hanno sempre fatto vivere il giorno seguente in una beatitudine granitica. Perché stavolta no?

Subisco un gol. La beffa. Non pareggerò mai. La mia squadra ha un gravissimo problema realizzativo. Finora la difesa aveva fatto la sua parte ma se comincia anche a prendere gol così allora è inutile continuare.

Nascere, vivere e poi morire, sono condizioni illusorie di un unico percorso, che nella fisicità continuano a ripetersi. Questo finchè la materia non si “sacralizza”; finchè non si manifesta la nostra coscienza sottile. Fin dalla nascita impulsi e sensazioni ricevute dall’esterno e filtrate dai nostri cinque sensi formano e plasmano continuamente quella che definiamo la nostra personalità, tanto che questa cosiddetta personalità non sarà mai, per tutta la nostra esistenza, qualcosa di definito e immutabile, ma più che altro una apparente nucleo caotico di caratteri sui quali aggrappare la coscienza di noi stessi, convincendoci che tale percezione è giustificata dall’oggettiva esistenza di un io reale. Noi facciamo continuamente riferimento al nostro modo di pensare, ai nostri valori, ai nostri gusti, senza accorgerci che non esiste un solo attimo in cui questo bagaglio di caratteristiche personali sia identico a se stesso. È un magma senza forma che non si può mai cristallizzare. Lo stesso definirci “io” quando parliamo a qualcuno è una cosa ridicola. Chi è quell’”io”. Siamo forse “noi” mentre ci commuoviamo per la comunione di nostro figlio o quando ignoriamo completamente un bambino che chiede l’elemosina per strada?  La verità è che siamo tenti diversi “io”, ognuno chiuso in un compartimento stagno  impossibilitato a comunicare con gli altri “io”, e oggi una buona riprova di questo fatto è proprio che molte persone hanno diversi profili, alcuni dei quali rigorosamente top secret, sui social network. E allora qual è il nostro vero “io”. In realtà è molto semplice notarlo. È semplicemente quella parte di noi che, di fronte a qualsiasi impulso proveniente dall’esterno, ci dice di subirlo anzichè contrastarlo, di contemplarlo soltanto anziché riffugirlo o goderne. Il nostro vero sé è tutto quello che rimane quando togliamo di mezzo tutto quello che pensiamo di essere.

Bussa il citofono e Vale si precipita a rispondere. È Gianfilippo come cazzo si chiama. Mi alzo e vado a prendermi un caffè finchè è ancora caldo

“è lui?”

“si, ti dispiace se ti lasciamo un po’ da solo?” ghigna la troia

“ma ci mancherebbe Vale… tu sei la Padrona” occhiolino

“ovviamente se vuoi partecipare non fare complimenti, non penso che per lui ci siano problemi, basta che mi scopa… e poi a lui piacciono molto i pompini, quindi avrei un bel po’ di buchi liberi…”.

Campanello. Si stava realizzando in pieno quello che auspicavo appena sceso dalla festa di Blepu. Eppure tutto ciò aveva adesso ai miei occhi un sapore quasi triste.

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