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Ritratto maldoniano di un esule inconscio (quinta parte – versione alternativa)

Da Villa Telesio

Ritratto maldoniano di un esule inconscio (quinta parte – versione alternativa)

leggi la prima  la seconda  la terza  la quarta  e la quinta  parte (questo racconto è figlio del ciclo maldoniano di Gaetano Veninata)

leggi la prima, la seconda, la terza e la quarta parte della versione alternativa (di Moises Di Sante)

L’aria salmastra aveva riempito in modo impertinente la scatola cranica di Mario Tzozius. L’eco dei gabbiani sulla banchina non faceva che acutizzare la confusione e la rabbia del ragazzo verso quei volatili che copulavano tra schiuma e petrolio. L’insegna sbilenca e mozza di Maldonian rifletteva la luce del giorno con un candore che aveva risonanze d’ospedale, bianco accecante e secco.

Vagava lungo il porto in uno stato di semi-coscienza annebbiato dall’adrenalina che il corpo stava con fatica riassorbendo, sentiva il sangue fluire in ogni arteria, l’acido lattico bloccare ogni maledetto muscolo del suo corpo. Stava per crollare a terra, pensò a Primo Carnera, al ring e alla folla,  solamente che lui non era un gigante,  era un esule inconscio.

Trascinava i piedi in una caldissima giornata estiva, qualche nave ormeggiata, ovunque silenzio. Le strade erano deserte, saracinesche abbassate sui pochi negozi che poteva scorgere, con una mano si faceva schermo dal sole, il silenzio del mare a fare da contrappunto a tanta desolazione. Ogni passo portava Mario verso l’abbandono, gli occhi frenetici cercavano un appiglio di razionalità. Si tolse la t shirt, rimase a torso nudo. Stava sudando, sudava e sentiva il suo odore acre unirsi all’odore pungente dell’oceano. Oceano? Dove si trovava? Maldonian certo, questo almeno era quello che diceva l’insegna, ma dov’era Maldonian? Quella parola aveva dei significati nascosti, celava qualcosa che- ne era sicuro- non avrebbe portato a niente di buono. Si appoggiò esausto ad un’edicola. Era chiusa come ogni altro esercizio commerciale nella zona. Si mise seduto all’ombra con lo sguardo folle e le gambe larghe.

A vederlo sembrava un bambino ebete che aveva perso la madre, giocando da solo l’aveva vista allontanarsi con un uomo. Dove andava mamma? L’uomo aveva un costume da nuotatore bianco, la precedeva con passo veloce. Li vide chiudersi in una cabina spogliatoio, sapeva cosa stavano facendo, non lo capiva ma sapeva che era sbagliato. La mente di Mario oramai si stava distaccando dalla realtà. Vide una pagina di giornale stropicciata davanti a lui, la prese e la fissò con insistenza. Titolava solamente: ACCADDE A MALDONIAN, per il resto un foglio bianco. Niente colonne, nessuna notizia, neanche una pubblicità. C’era una data in basso. Ieri.

Nessun numero per i giorni, in grassetto in basso la scritta –Ieri-.

Girò il foglio, ancora bianco, qualche macchia di unto e la scritta in basso- Domani-.

Cosa stava accadendo? Cosa gli stava accadendo? In che posto era finito? Si guardò attorno, neanche un’anima viva, sotto la luce bianca del sole il porto era illuminato dal riflettore dell’inconscio, scenario della follia di Tzozius. Sentì allora venire da lontano un lamento, quasi una litania. Le parole erano incomprensibili anche se ricordavano una preghiera, il mescolarsi contorto di un dialetto arabo risuonava nei vicoli e nelle vertebre,  la benedizione di Allah scendeva su di lui.

Possibile che un muezzin richiamasse i fedeli alla preghiera? Nulla del porto faceva pensare ad un paese lontano, non c’erano minareti, uomini vestiti di bianco, polmoni di cammello appesi fuori dai negozi, anche l’edicola ecco, anche l’edicola era una schifosissima edicola italiana …  Vide però in lontananza un faro, uno di quei fari che piacevano tanto a Hopper, il pittore, classico come più classico non poteva essere, rosso con un collare bianco. Non era un minareto ovviamente ma era la cosa che più gli si avvicinava. La preghiera continuava lenta e  sempre più avvolgente, anche i gabbiani smisero di accoppiarsi.

Quando fu vicino al faro capì che non poteva esserci nessun muezzin in quel posto, non c’erano altoparlanti, la voce arrivava da lontano, da un altro luogo della città, era solamente un vecchio faro con le vetrate rotte per giunta.  Camminandogli intorno Mario si imbatté in due uomini seduti su consunte sedie di vimini. L’uomo più corpulento era di spalle, aveva una maglia a righe celesti  (altro cliché da marinaio, che fantasia a Maldonian), dei peli sulla schiena gli uscivano dalla slargatura del collo, con una mano rozza teneva il viso dell’uomo mentre con l’altra una macchinetta da tatuatore. Lo stava tatuando. In viso?

Notò con orrore che l’ago spingeva gocce di inchiostro nella pupilla del cliente il quale aveva occhi bianchi come dei denti.  Era immobile,  sembrava che la pratica non gli procurasse dolore. Mario fece un passo indietro e a quel gesto il tatuatore si bloccò. Senza smettere di tatuare il cliente girò il viso sulla spalla cercando Mario con lo sguardo. Il ragazzo non seppe che fare.  Accennò solamente un saluto con la mano. Il tatuatore lo fissò un attimo poi si voltò nuovamente. Il mare continuava lento a lambire gli scogli con le sue onde, una schiuma persistente inghiottiva le pietre. Si allontanò senza dire altro, non stava cercando problemi e quello non era un buon posto per fare amicizia. Era ancora solo e confuso, nuovamente al punto di partenza. All’improvviso notò con la coda dell’occhio che qualcosa di elettrico doveva essersi acceso. Era il cilindro a spirale di un barbiere, uno di quelli che si usavano negli anni 50 e che ora purtroppo non esistono più. Già, non esistono più a Roma ma qui a Maldonian … Si avvicinò e lesse l’insegna: Tzozius, Barbiere & Oculista.

Deciso a chiarire la cosa entrò spostando la tendina fatta di lunghe stringhe di plastica, un campanello lo annunciò. Il locale era vecchio e sporco, due poltrone davanti ad un grande specchio, strumenti da oculista dietro il bancone. Un uomo entrò da una porta secondaria asciugandosi le mani. Posò lo straccio su una sedia e parlò a Mario. Niente. Non capì niente. Ma che lingua parlavano a Maldonian?

-   Mi scusi ma non la capisco, parla italiano?

L’uomo sulla cinquantina non disse niente, mise le mani in tasca e si schiarì la voce

-   Non crede di ricordare bene italiano sa?! Qualcosa si eh, qualcosa ma insomma, tu mi capisce?

-   Si si, certo (sembrava di parlare con Bela Lugosi)

-   Vuole tagliare capelli eh? Tu vuole? Occhi? Ha problemi tu?

-   No no macché, niente capelli grazie,  ho un problema, senta è difficile da spiegare, diciamo che mi sono perso, sono a Maldonian giusto?

-   Si,  Maldonian, certo…  (il tono era rassegnato, strano)

-   Ok sono a Maldonian, certo che sì, e… Maldonian dico, Maldonian dov’è? Non in Italia suppongo.

Alla domanda apparentemente deficiente il barbiere oculista di nome Tzozius rispose in modo franco.

-   No, non in Italia.

-   Senta vicino che c’è?  Capisce quello che dico?

-   Vicino Maldonian? Beh c’è Marocco, Lituania c’è, questo tu chiede?

Mario fece per rispondere ma poi lasciò cadere la cosa. Marocco e Lituania? Aveva un’idea bislacca della geografia il suo interlocutore omonimo.

-   Facciamo una cosa, mi sa indicare la stazione? Dov’è la stazione? Treno, dov’è?

-   Stazione si certo, venga. L’uomo prese Mario per la mano e lo portò di fronte alla finestra della vetrina. Con il dito indicò lontano, verso alcune ciminiere.

-   Vede, la c’è stazione, se vuole treno lei va là ma difficile che trova, più facile arrivare che partire.

Mario e Tzozius rimasero in silenzio, uno accanto all’altro dietro la vetrina a contemplare la grande scritta in pietra, il nome della stazione di Maldonian.

BLUMEN.

(continua…)


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