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Roba da gatti. Se lo ami lascialo andare

Da Suster
Roba da gatti. Se lo ami lascialo andare
Sono vergognosamente in ritardo anche questa settimana, tanto da rischiare di rendere poco credibile questa rispettabilissima rubrica.
Se sapeste che giornata del piffero ho avuto, sono sicura, mi perdonereste.
Indovinate: chi è quel ragazzino coi calzoncini rossi e i capelli a casco semi-integrale abbarbicato al gatto nero come a una boa galleggiante uno che non sa nuotare?
Esatto: sempre la nostra Suster, alla tenera età di (qui siamo già cresciutelle rispetto al gatto Biscotto) circa sette anni.
L'altro è mio fratello Ergino, ma qui non ci interessiamo di lui, almeno per ora.
Si tratta del mio secondo gatto. Il gatto che con la sua triste dipartita in giovane età mi spezzò il cuore e mi mise per la prima volta di fronte alla realtà dura e crudele che la vita, ahinoi, non è eterna.
Che ve dovevo dì? Ah, sì: la gatta Fufola, accidenti a lei, è tornata sana e salva, per chi ancora fosse in pena per lei. La bastardella si è presentata fresca come una rosa una bella mattina di qualche giorno successivo all'aggressione notturna consumata ai danni della qui scrivente.
L'inconsolabile Master nel frattempo aveva già pianto irrecuperabili lacrime amare sulla presunta sua scomparsa definitiva, lacrime accompagnate da diversi " Lo sapevo, è colpa mia, non dovevo portarla qui".
Alle quali affermazioni Suster, da esperta gattara quale si ritiene, rispondeva più o meno su questo tono: "Ma no, vedrai che torna. E se pure non dovesse tornare (ma vedrai che torna) tu hai fatto bene a darle l'opportunità di vivere la sua vita come voleva lei".
Ora lo so che questa verità non a tutti può suonare del tutto giusta, ma ecco: io l'ho talmente interiorizzata da esserne profondamente convinta.
Qui mi riallaccio al gattino nero della foto.
Si chiamava, povero lui, Zuppa. In casa nostra, chissà com'era nata quest'usanza di dare ai gatti nomi alimentari. Fatto sta che questo era il nome, malgrado poi lo si scoprì maschietto. Era stato salvato, se ben ricordo, dal motore di un'auto parcheggiata in strada, che aveva pochi mesi, il gatto non l'auto, ché l'auto lo ignoro quanto tempo avesse, e poi adottato da noi, dopo un'assenza di diversi anni di componenti di specie felina all'interno del nucleo familiare.
In quanto maschietto sentì ben presto il desiderio di evadere dall'amorevole prigione che gli era stata di ricovero durante i tempi infami dei vagabondaggi dell'infanzia, e spinto dai naturali richiami di tutto un altro genere di amore, anche lui prese ad assentarsi per lunghi, per me interminabili, periodi, periodi durante i quali la bambina amante dei gatti, soffriva incredibilmente per la sorte del suo amato compagno di vita.
E quindi un giorno, dopo che lui era tornato da una delle sue avventurose assenze con un buco pululento sul fianco destro, che impiegò circa un mesetto a guarire del tutto, pur lasciando ancora per diverso tempo una chiazza spelacchiata in corrispondenza del buco rimarginato, la nostra giovane prende una decisione: basta; tu di casa non esci più.
Ecco il sistema più efficace per garantire l'incolumità e avere la certezza del benessere e della protezione da pericoli di ogni sorta all'oggetto del proprio amore. Ecco come evitare patemi d'animo del tipo torna non torna, stavolta non torna me lo sento, chissà se gli è successo qualcosa di brutto, chissà in che mani è finito, e invece magari torna chissà, ma poi mangia, se la dorme un po' e già vuole di nuovo andare via.
Pensavo che fosse più facile così.
Invece no. Invece mi ritrovai a piangere accovacciata davanti l'uscio di casa a supplicare il mio gatto di smetterla di raschiare la porta e di lamentarsi in quel modo perché mi si strappava il cuore a vederlo così disperato, imprigionato, guardarmi implorante aspettando che gli donassi ancora una volta la tanto agognata libertà, che io, per troppo amore gli negavo.
Una scena patetica davvero, a ripensarci. Ma io ero così: che farci?
Eh eh: salvare capra e cavoli non si può mica. Nemmeno botte piena e moglie ubriaca, si dice, a meno che uno non abbia in casa due botti, o una moglie cui basta un sorso di vino per inciuccarsi. Ma insomma: avete capito, no?
E così ricordo l'intervento di mio padre che mi disse, press'a poco che, insomma: che volevo fare?
Volevo che stesse bene e che stesse con me? Allora dovevo tenerlo chiuso in casa e accettare che lui soffrisse la prigionia, almeno finchè non si fosse abituato.
Volevo lasciare che si godesse la libertà che tanto implorava e che apparteneva alla sua essenza felina?
Allora dovevo accettare la possibilità che forse un giorno potesse anche non tornare, o tornare zoppo, sciancato, malato, moribondo.
E difatti un brutto giorno tornò malato, o avvelenato non saprei dire. E pure se non avevamo in famiglia l'abitudine di spendere vagonate di soldi appresso ai veterinari, all'epoca, ce lo portammo, ma la cosa non fu di aiuto alcuno e il mio gatto ben presto se ne andò... cioè: crepò, e scusate la mancanza di delicatezza nella scelta del verbo, ma fu quello che fece, e io piansi ancora amarissime lacrime e a lungo non mi capacitai che quella creatura che avevo visto viva e capace di aspirazioni tanto simili alle mie, capace di ricambiare i miei sentimenti e di instaurare un rapporto specifico con altri esseri, ad un certo punto avesse cessato di esistere e di far parte della mia vita.
Ma io avevo scelto la seconda opzione: amare e lasciare libero.
E così continuo ancora oggi a credere in questo principio, che l'amore non vada d'accordo con il possesso, che la nostra felicità di avere vicino chi amiamo a volte può non coincidere con la sua felicità, che lasciare libero l'oggetto del nostro amore di realizzare le proprie volontà e aspirazioni a volte può causare dolore e portare conseguenze nefaste, ma anche che non sempre è giusto proteggere l'altro da ogni possibile male, che non sempre è possibile, che non sempre è amore, e che il massimo forse dell'espressione di amore è lasciare all'altro anche la possibilità di venirci sottratto.
Non so se ho sragionato, poichè qui stiamo parlando di un gatto.
Ma credetemi una volta di più se vi dico che osservando e osservando i miei gatti, e riflettendo, ho imparato anche alcune cose riguardo l'essere umano.
Questo post fa parte dell'arcinota rubrica web Roba da gatti, e lo dedico a Owl, che lo sa lei il perché.
E chi volesse partecipare può, come sempre, aggiungre il suo link qui sotto.
Facciamo che potete scrivere il vostro post nel corso di tutta la settimana, entro il prossimo martedì, che così è più facile e meno stressante partecipare alla rubrica.
Comunque se vi dovesse interessare proprio tanto l'argomento "piccoli felini domestici", potete sempre andare a dare una sbirciata nella roba da gatti internazionale: Cats on tuesday.


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