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Roberto Benigni – La più bella del mondo…

Creato il 18 dicembre 2012 da Marvigar4

 

   Lo show tanto strombazzato nei giorni scorsi dalla Rai si è or ora concluso… debbo dire d’averlo seguito con molta curiosità e anche con un certo spirito critico, però, francamente, mai mi sarei aspettato di dover registrare una cosa che mi ha assai intristito: la stanchezza di Roberto Benigni. Sì, in La più bella del mondo, programma tutto dedicato alla Costituzione Italiana, il folletto toscano, il piccolo diavolo, lo spiritello che saltava sulle poltrone per ricevere l’Oscar sono sembrati ormai un lontano ricordo… Già all’inizio con il suo ingresso in scena mi sono reso conto che non ci sarebbe stato tanto spazio da devolvere ai guizzi trascorsi, alle corsette tra gli spettatori, alle capriole ecc, che questa non sarebbe stata una “serata specialissima” come Benigni ha più volte ripetuto. Si dirà, non è più un ragazzino, ha fatto 60 anni! Lo so, ma questo non riguarda soltanto la forma fisica del corpo, ciò che mi ha impressionato è stata una decadenza dell’impianto vocale, un timbro che forse non è più in grado di reggere due ore di spettacolo dal vivo, testimonianza ne sia la canzone finale tratta da La vita è bella che Benigni ha canticchiato con una vocina traballante (problemi di impostazione e respirazione che ho notato nel corso dell’intera trasmissione). Lo ripeto, mi ha assai intristito, avrei preferito essere ipercritico e stroncare questo La più bella del mondo come un atto lontano anni luce dal caro, vecchio Cioni Mario di Gaspare fu Giulia, dall’effervescente presentatore di Sanremo che osò dire “Wojtilaccio”, invece… La mezzora iniziale dedicata quasi interamente da Benigni al ritorno del Cavaliere non ha avuto il mordente antico, forse anch’essa è nata già pallida come tutto ciò che sfiorisce (a parte due battute divertenti, una sugli scheletri nell’armadio di Berlusconi, dove a detta del Roberto nazionale Michael Jackson c’avrebbe girato Thriller, l’altra sul desiderio del Cavaliere di diventare Presidente della Repubblica, che sarebbe l’unico modo per vedere la sua foto in una caserma dei carabinieri). Il resto della trasmissione è scivolato via senza molta verve, senza grandi provocazioni, senza l’irriverenza che desidereremmo ancora da chi un tempo faceva a fette il linguaggio e le persone. La lettura e la parafrasi dei primi dodici articoli, i Principi Fondamentali della nostra Carta costituzionale, sono state scandite da commenti manieristici, talvolta anche un po’ azzardati (paragonare l’articolo 3 a un’Imagine di John Lennon scritta trent’anni prima non è congruente dal punto di vista filologico e filosofico, dato che Lennon esprimeva il superamento e non il mantenimento della trascendenza, dell’impianto ideologico e religioso, del concetto stesso di Stato). In definitiva, oggi Benigni si dedica a queste soirée, ha sempre meno voglia di pungere, è sacralizzato, istituzionalizzato, addomesticato, specie quando non si sofferma sul fatto che, a proposito dell’articolo 7 della Costituzione, la laicità del nostro Stato è purtroppo spesso e volentieri messa a repentaglio da una classe politica nostrana che serve due padroni (la Chiesa e il proprio potere politico) dimenticando di servire l’Italia tutta e lo spirito genuino della Costituzione. Roberto Benigni non è più quel corpo di protesta popolare che conoscevamo, non è più nemmeno il “buffo” che Carmelo Bene riconobbe con tanto rispetto trent’anni fa, ma un signore spiazzato tricologicamente e artisticamente dalla voce sempre meno squillante, dalle energie sempre meno vivaci. 

Sic transit gloria mundi.

Che tristezza!

© Marco Vignolo Gargini



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