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Robowar

Creato il 13 dicembre 2012 da Taxi Drivers @TaxiDriversRoma

“Cosa resterà di questi anni 80?” cantava raf nella sua stucchevolissima e nota canzone. Beh, nonostante sia stata una decade in cui il gusto generale era qualcosa di più dall’essere “opinabile” per quanto riguarda il cinema è stato davvero un momento irripetibile in cui usciva veramente di tutto.

E anche per quanto riguarda il “cinemademmerda” era davvero altri tempi, così questa volta mettiamo momentaneamente in salamoia le bestiacce in cg e andiamo a rispolverare un grandissimo e sempreverde classico diretto dal mitico Bruno Mattei: Robowar. Non credo ci sia bisogno di presentazioni particolari di chi sia il personaggio: basti dire che è stato forse l’ultimo alfiere di quel cinema italiano poverissimo ma tremendamente divertente, un grande artigiano che non gli è mai fregato niente se stava dirigendo un porno o uno spin-off di Missing in Action, tutto faceva brodo. Espertissimo nel copiare film altrui (spesso montando in mezzo sequenze prese di peso da film ben più noti) e autore di alcuni cult intramontabili nel genere horror come Virus e Rats-notte di terrore, Mattei verso la fine della seconda metà degli anni 80 si trovava spesso a girare nelle Filippine, d’altronde roba come Strike Commando aveva riscosso un buon successo e girare in quei posti i film di guerra era un business frequentato da molti. Francamente ignoro cosa sia passato nella testa del buon Bruno quando ha iniziato a lavorare su questo film: il titolo riporta dritto al contemporaneo film-capolavoro di Verhoeven “Robocop”, ma in realtà il film a cui si rifà maggiormente ed esplicitamente è “Predator”. Ma non c’è da disperarsi perchè il delirio incontrollato farà si che in qualche modo la storia del povero agente murphy si unirà con questa specie di rip-off dell’horror di McTiernan insieme a qualche suggestione alla Terminator.

Robowar

Ma veniamo al film: ci troviamo nelle Filippine dove un misterioso “droide da guerra” rade al suolo elicotteri, basi e generalmente tutto quello che incontra sulla sua strada. E’ una figura umanoide nera che sembra un celerino che imita l’indimenticato Gort di “Ultimatum alla terra” (anche se il costume è davvero identico all’indimenticabile “Il replicante”, cult inspiegabile e principe per un periodo delle seconde serate italiche) ha un hub di una povertà oscena, non diventa invisibile, è lentissimo e a parte sparare raggi laser e tirare qualche pugnale non è che sappia fare molto. Insomma un portento, ed è per questo che viene inviata una task force di mercenari improbabili a scoprire e risolvere questo casino con tanto di creatore del robot tra di loro in versione Rambo. Ed ecco che il gruppo sembra davvero uscito dalla parodia di Predator: il rude e onesto, lo schizzato, lo straniero, l’eroe, il pazzo doppiogiochista, il soldato negro: insomma non ci manca niente. Vestiti indecentemente da subito si trovano faccia a faccia con le insidie del posto: il robowar da una parte e l’incredibile milizia nemica dall’altra (grandissima la sequenza in cui questi tentano di stuprarsi una donna nel bosco davanti agli occhi dei nostri eroi che impassibili si godono prima la scena e poi aprono il fuco in un modo che meno naturale era impossibile fare). Non manca niente che non fosse presente nel film di McTiernan: soggettive rossastre del mondo, soldati che sparano alla natura convinti di sparare al mostro e lotte al machete. Chiaramente non ci vuole molto a capire che in verità il genio-creatore non vuole distruggere Robowar, ma quasi assecondarlo ed è così (grazie anche all’ingresso più dannoso ed inutile che altro della donna salvata dallo stupro) che i nostri cominciano a morire come mosche per mano del nero droide. Niente di particolarmente gore o weird se non fosse per la spaventosa mole di proiettili ed esplosioni che si susseguono senza continuità per ogni azione che si compie. Ed è anche divertente vedere il livello di imbecillità dei ribelli che anche quando sono in nettissima superiorità numerica e armati fino ai denti si fanno disintegrare dai nostri con una facilità impressionante. Va da se che il buon robowar tra uno sterminio e un altro riesce anche ad eliminare il suo creatore che prima di spirare rivela al nostro “eroe” sopravvissuto che in verità l’androide è stato commissionato niente-popo-di-meno-che dall’esercito in persona e per di più è in verità un androide realizzato con parti umane provenienti da un soldato speciale amico del nostro eroe, dato per morto in vietnam. Ed è così che il robowar rivela nel finale anche l’unico modo per distruggerlo: premere un pulsante da un telecomandino indirizzato verso di lui. Ma l’incredibile avviene negli ultimi minuti: rimasti ormai vivi solo il bisteccone eroe e la bionda inutile, i due vengono attaccati dal robowar dentro una catapecchia dove avevano trovato rifugio, ma questo prima va in tilt con un bicchiere d’acqua versato addosso da lei (non si sa quindi come abbia fatto a sopravvivere fino ad ora camminando per fiumi e vivendo nella giungla) e poi viene travolto dall’esplosione finale alla Terminator. Ma non è finita perchè nell’epilogo raggiunge non si sa come i due eroi su una spiaggia, li attacca spingendo lei a tuffarsi in mare e nuotare per km fino a raggiungere la nave della salvezza mentre il nostro eroe, in un faccia a faccia che inevitabilmente rimanda a quello di Schwarzy con il Predator, porrà fine all’androide-amico premendo così il fatidico bottone e gettandosi da una cascata di 1000 metri. Quindi in soldoni lei si salva, lui non è dato sapere che destino avrà. Bello no?

Robowar

Parecchi i momenti comicissimi (le vocine che emette il robowar, il suo braccio telescopico, l’incredibile soluzione finale) e davvero improponibile la sceneggiatura scritta dalla signora Fragasso, Rossella Drudi (qui il folle regista romano, ancora accompagnato dal nome d’arte clyde anderson e compagno di avventure del mattei più scatenato, interpreta il robot in persona!!!!!) ma Robowar rappresenta piacevolmente quel cinema “bassissimo” italiano che osava l’incredibile fregandosene di ogni cosa e confezionando degnamente prodotti realizzati veramente con tre lire in mano. Non mancano nell’atroce cast volti di caratteristi che i più irriducibili fan del cinema di genere italico riconosceranno senza dubbio come lo stuntman Massimo Vanni, la bionda Catherine Hickland (dritta dal discreto successo de la casa 4) o il grande Romano Puppo, mentre il bisteccone eroe del film Reb Brown (il quale personaggio nel film si chiama senza vergogna e motivo, ma giusto per far suonare qualche campanello in testa allo spettatore d’allora, “Murphy”) viene dritto dritto dall’incredibile viet-movie matteiano “Strike commando”. Anche le musiche firmate Al Festa, futuro regista del demenzialissimo thriller Fatal Frames, usano la stessa main theme del film quasi contemporaneo After dark aka zombie 4 di Fragasso/Anderson e non è certo un punto di forza. Insieme all’altrettanto incredibile e forse ancora più folle Terminator 2-Shockin dark (che prima di diventare pseudo remake del film di Cameron è in tutto e per tutto il rip-off di Aliens scontro finale) segnano la fine degli anni 80 e l’ingresso degli anni 90: l’ultimo sospiro di quella che segnerà la definitiva fine del nostro cinema di genere racchiusa in una cornice “immonda” si, ma che a guardarla riscalda il cuore come quando si vedono le vecchie foto del proprio passato. Perchè anche gli amanti del grande cinema demmerda ogni tanto hanno di bisogno di vivere (ahimè tocca dire sopratutto) di ricordi.

Raffaele Picchio

 


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