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Rodin, l’anima scavata nella pietra

Creato il 25 novembre 2013 da Annaaprea55

Questa volta lasciate che sia felice… mi si è accovacciato nel pensiero questo verso di Neruda dopo aver visitato la mostra di Auguste Rodin tanto è stata grande l’emozione di aver sfiorato, per qualche secondo solo per qualche secondo, una specie di ebbrezza che somigliava  alla felicità.

Sono intimamente legate alla pietra le sculture di Rodin, come se dalla pietra nascessero per germinazione spontanea e tuttavia, aggrappate al loro marmo, sembrano protese in un altrove, tanto che quando le guardi immagini che vogliano sbalzare fuori: anime pensose, gioiose, angosciate, appassionate che vorrebbero liberarsi dalla materia e fuggire via, ma no….non accade. Rodin le vuole lì queste anime, morbide e sprofondate nel marmo, fluide eppure pietrificate, colte in un preciso gesto del loro divenire nel quale lui ha deciso di raccontarle.

In Fugit amor,  ispirata alla storia di Paolo e Francesca, lei è bella, sensuale, inafferrabile come un sogno mentre lui – il corpo rivolto al cielo – vorrebbe trattenerla con le braccia, sembrano entrambi sul punto di fondersi, basterebbe solo una svolta di vento, ma no…non accade.

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Auguste Rodin- Fugit Amor, 1885 circa

E che dire di Danaide con quei capelli che si dissolvono nella pietra che accoglie come un utero la sua disperazione? Forse la pietra, pensi, è lì per trasformare quel dolore, assorbirlo, inglobarlo e, dopo averlo placato, restituirlo alla vita e mentre pensi che tutto sembra sul punto di accadere no…non accade.

Daiade- Auguste Rodin

La Danaide, 1889

Anche La piccola fata delle acque, scavata in una ciotola, è come una bimba vergognosa che si sporge, con la sua grazia ingenua vuole toccarti, andarsene, pensi che ce la farà sì ce la farà a liberarsi della sua conchiglia, ma no…non accade.

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La piccola fata delle acque, 1903

Non accade perché in quella fluida transizione tra le figure e la pietra (quella sintassi del ‘non finito’ che Rodin attinse a Michelangelo e a Medardo Rosso) c’è solo una qualche forma allentata di attesa, una volontà che non riesce a dispiegarsi.
Proprio come l’immobilità che talvolta ci trattiene mentre ci sporgiamo nell’aldilà attraverso il sogno, l’arte, l’amore, la poesia. Partecipiamo alla materia salda e ostinata della vita eppure la sfidiamo, vorremmo trascenderla, siamo dentro il corpo eppure vorremmo uscire da questa permanenza ostinata, ma no…non accade. Perché non conosceremo il nostro destino, almeno fino a quando saremo vivi. Questo ho capito di Rodin*.

*Chi vuole sapere di più – e c’è molto, tanto ancora da sapere su Rodin e su questa mostra – propongo il cellulare (3491634132) di una guida artistica un po’ speciale, Marica Magni, per visite guidate…altrettanto speciali.



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