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Roma, 4 maggio 2012: “No alla guerra di aggressione all’IRAN”

Creato il 09 maggio 2012 da Eurasia @eurasiarivista
Iran :::: Stefano Vernole :::: 9 maggio, 2012 :::: Email This Post   Print This Post Roma, 4 maggio 2012: “No alla guerra di aggressione all’IRAN”

Riportiamo qui di seguito l’intervento tenuto da Stefano Vernole, redattore di “Eurasia”, al convegno di Roma dedicato all’Iran.


 

1) Senza soffermarsi sull’evidente importanza della posizione geografica dell’Iran, che si affaccia contemporaneamente sul Golfo Persico e sul Mar Caspio e che controlla lo stretto di Hormuz, vanno sottolineati al contrario i motivi geopolitici di una possibile guerra di aggressione a Teheran. Questi ultimi vengono spiegati bene nella postfazione scritta da Carlo Terracciano al libro Iraq trincea d’Eurasia (Edizioni all’insegna del Veltro), dove si affronta la strategia dell’anaconda statunitense. Strangolare la Russia e ricattare economicamente la Cina che importa più del 14% del proprio petrolio dall’Iran; (nel 2004 la Sinopec e la Zhuhai hanno firmato un accordo di 25 anni per l’importazione di 250 milioni e 110 milioni di tonnellate di gas naturale, per un valore solo il primo accordo di 110 miliardi di dollari USA), rendendola dipendente da giacimenti di petrolio controllati dagli Stati Uniti e costringendola ad acquistare i dollari americani, di cui invece Pechino si sta disfacendo (vedi anche proposta cinese per una banca mondiale di sviluppo dei Paesi BRICS e per una nuova moneta di riferimento internazionale non più basata sul dollaro). Secondo Terracciano: “L’imposizione di governi collaborazionisti in Iraq e in Iran, dopo che per anni sono state sfruttate le loro rivalità confinarie, permetterebbe all’imperialismo di assicurarsi definitivamente le spalle nella marcia di penetrazione a nord, verso i giacimenti ancora intatti di petrolio e di gas nel Caspio, nonché nei territori dell’ex URSS fino al confine siberiano dell’attuale Federazione Russa. Una penetrazione della massa continentale eurasiatica, questa, che ha il suo pendant in Caucaso (Georgia) e, dall’altra parte del continente, nel Mare Cinese e in Corea, dove si preme sul regime di Pyongyang … una penetrazione che darebbe a Washington il controllo totale dell’Eurasia occidentale e meridionale, dall’Atlantico all’Indo. Sarebbe un risultato che oltretutto eliminerebbe ogni potenziale contenimento del dominio sionista sulla Palestina”.

2)   L’attuale destabilizzazione della Siria rappresenta proprio il tentativo di lasciare l’Iran senza alleati nell’area mediorientale; un conflitto contro Damasco comporterebbe anche una guerra in Libano (Hizbollah filo-iraniano e Hariri filo-saudita), in Iraq dove Teheran esercita una discreta influenza e in Palestina contro le fazioni filo-iraniane. Impedire all’Iran di divenire una potenza regionale significa anche favorire gli alleati statunitensi nell’area, Turchia e Israele.

3)   Storia del tentativo di egemonia regionale statunitense-israeliana nel Mediterraneo e in Medio Oriente: si accentua con la guerra Iraq-Iran del 1980 (subito dopo la Rivoluzione iraniana del 1979), Washington sostiene Saddam Hussein (CIA-BNL Atlanta), Tel Aviv sostiene Teheran (Iran-Contras), per la volontà di Kissinger di bilanciare le forze e far spossare le due potenziali potenze regionali, rivali di Israele, in una guerra durata 9 anni e conclusasi praticamente senza vincitori né vinti.

4)   Nel 1990 scoppia la crisi iracheno-kuwaitiana con la Guerra del Golfo nel 1991, alla quale l’Iran rimane neutrale (sequestra alcuni velivoli militari iracheni atterrati in Iran); subito dopo il Dipartimento di Stato USA delinea la strategia dell’ “Asse del male” (arricchito successivamente con altre nazioni come Zimbabwe, Corea del Nord, Myanmar e Bielorussia) nel quale include proprio Siria ed Iran (Hamas, nata da una costola saudita, pian piano si avvicina a Teheran e a Damasco). Il 2001 sarà l’anno simbolo della “guerra al terrorismo” in seguito agli attentati dell’11 settembre, la pressione contro gli “Stati canaglia” si accentua.

5)   Libano: nel 2000 Hizbollah diventa protagonista con la liberazione del Sud del Paese, ad eccezione di una piccola zona contesa nelle fattorie di Shebaa, che porterà nel 2006 alla guerra israeliana-libanese voluta da Condoleeza Rice, primo tentativo di coinvolgere in un conflitto allargato Siria ed Iran. La guerra viene però vinta da Hizbollah anche grazie ai rifornimenti di armamenti russo-cinesi (sarà proprio Mosca ad imporre la tregua all’ONU, minacciando un massiccio invio di nuove armi ad Hizbollah).

6)   La guerra russo georgiana del 2008, che comporta l’indipendenza di Abkhazia ed Ossezia del Sud, registra le forniture israeliane a Tiblisi di droni e contraerea. Il tentativo di “Rivoluzione verde in Iran”, dopo la vittoria elettorale di Ahmadinejad nel 2009, si nutre di alcuni consensi tra la borghesia di Teheran (che storicamente ha sempre avversato la Rivoluzione islamica) ma ne conta davvero pochi tra la maggioranza della popolazione, che scende in piazza a fianco del Governo degli Ayatollah (così come succederà nel 2011 a favore di Assad a Damasco). Ruolo decisivo di Khamenei che para i colpi scagliati da Rafsanjani e da altri capi religiosi, più noti per i loro affari che come guide spirituali.

7)   Con Obama gli USA cambiano strategia e adottano una linea di soft power,  con il discorso del Cairo, ingigantendo il ruolo delle tv arabe ecc. Si tratta di una sofisticata manovra propagandistica statunitense che vede protagonisti Qatar e Turchia, nella quale cascano molti paesi arabi, in parte anche Iran, Hizbollah ed Hamas quando scatterà l’aggressione alla Libia. La manovra inizia con la guerra a Gaza di Israele nel dicembre 2009, Al Jazeera ed Al Arabiya mostrano per la prima volta la gravità dei crimini israeliani a grandi masse arabe e si legittimano mediaticamente come tv indipendenti, schierate a favore della verità. A quel punto la loro propaganda contro la Libia nel 2011 diventa “credibile”. Da segnalare anche il massacro della Freedom Flottilla nel maggio 2010, con la legittimazione del ruolo mediorientale della Turchia di Erdogan che ambisce ad essere la principale potenza regionale e ad assumere la guida del mondo arabo, ergendosi a paladina dei diritti dei palestinesi (insieme al Qatar che finanzia la spedizione, mente pare che il quartier generale della seconda Flottilla abbia sede nel quartiere ebraico di Parigi). La Turchia assume una funzione importante nella destabilizzazione della Siria, fornendo armi e campi di addestramento agli insorti (vengono catturati oltre 40 ufficiali dell’intelligence turca dall’esercito siriano) e minaccia addirittura un intervento militare diretto. Significative le dichiarazioni del Ministro degli Esteri turco Davutoglu: “Assad avrebbe potuto essere un Gorbaciov ma ha deciso di finire come Milosevic”. Questa manovra ha portato alla rottura quasi definitiva tra Hamas e la Siria, nonostante Damasco abbia sempre sostenuto i palestinesi e protetto il suo capo Khaled Meshaal nella capitale siriana.

8)   Continuano oggi le manovre atlantiste per separare gli alleati: così come nel 2011, la destabilizzazione della Siria prosegue anche nel 2012 per il rifiuto di Assad di: a) riconoscere Israele; b) togliere il sostegno ad Amal e ai gruppi della resistenza libanese; c) portare al Governo a Damasco almeno 3-4 ministri dei Fratelli Musulmani. Fallito il tentativo di convincere Assad a rompere con l’Iran, operazione condotta da Washington e da Ankara (con quest’ultima la Siria aveva riallacciato ottimi rapporti dopo le tensioni del passato, contrasti che ai tempi del caso Ocalan avevano rischiato di degenerare in un intervento militare turco anche per il controllo delle acque comuni), la Turchia ora sta provando a convincere Teheran a staccarsi da Damasco. Stavolta però l’Iran sembra aver compreso il gioco diplomatico degli Stati Uniti, che mirano a dividere i nemici per poi colpirli quando questi rimangono isolati e sta resistendo alle offerte, non ripetendo gli errori tattici già compiuti ai tempi della Bosnia nel 1995 (quando appoggiò i musulmani favorendo il gioco di Washington) e della Libia lo scorso anno. L’Iran ha spesso “giocato col fuoco” guardando solo ai vantaggi a breve termine; dopo le aggressioni statunitensi all’Iraq di Saddam Hussein e ai talebani in Afghanistan, tradizionali nemici iraniani, si illuse forse che non sarebbe mai venuto il proprio turno. Gli USA invece hanno siglato un patto con la guerriglia sunnita in funzione antiraniana, per cui un cambio di guardia a Teheran consentirebbe loro di mettere sotto controllo atlantico anche l’Iraq. Sul sostegno iraniano alla “rivolte arabe” bisogna sottolineare che se è comprensibile appoggiare gli sciiti in Bahrein e in Arabia Saudita, non si capiscono i vantaggi di Teheran nell’appoggiare i “ribelli” libici, che infatti si sono successivamente rivoltati contro la Siria. Questi ultimi sono infatti molto più disponibili nei confronti delle lusinghe saudite, turche e qatariote.

9)   Ora, se l’attacco USA-israeliano all’Iran non è ancora stato compiuto, ciò si deve a due fattori essenzialmente: a) La conoscenza solo parziale delle potenzialità della risposta militare iraniana; b) Le prevedibili contromosse della Russia nel Caucaso (Georgia) e della Cina nel Pacifico (Filippine). La Russia ha già messo in allarme i propri alleati del OTSC, in particolare l’Armenia dove ha rafforzato la propria base militare, e ha schierato alcune divisioni corazzate al confine con la Georgia, nella previsione di fronteggiare direttamente la NATO in caso di attacco all’Iran. Si tratterebbe in ogni caso di una guerra con ripercussioni globali, sia a livello militare (possibili attentati e rappresaglie in giro per il mondo contro obiettivi USA/NATO) sia a livello economico (chiusura stretto di Hormuz, impennata dei prezzi del petrolio che come nel 1991 preoccupa e danneggerà più l’Europa, la Cina e il Giappone rispetto agli Stati Uniti che tengono ferme le proprie riserve di petrolio proprio per i casi di emergenza). Può essere che Obama, non molto convinto dell’attacco, dia il via libera ad Israele nel momento di passaggio dei poteri presidenziali, per correre in suo soccorso a conflitto già iniziato.

10)   Conseguenze per l’Italia: disastrose sul piano economico, così come accaduto per la guerra alla Libia (300 imprese per un fatturato di oltre 100 miliardi di euro); la nostra partecipazione al conflitto comporterebbe la perdita definitiva della credibilità internazionale dell’Italia presso i popoli e i paesi amici del Vicino e Medio Oriente ma anche dell’Africa, le due aree geopolitiche più importanti. A causa delle sanzioni imposte da Washington le nostre esportazioni verso l’Iran, che nel 2004 ammontavano a 2,2 miliardi di euro, nel 2009 erano già scese a 1,5 miliardi per poi risalire a 2,061 nel 2010, oggi sono destinate a calare ulteriormente: primo partner commerciale dell’Iran, l’Italia rappresenta il 27% dell’interscambio Iran-Unione Europea). La SACE (ente preposto ad assicurare i nostri esportatori) ha chiuso ogni rubinetto e lo stesso vale per il sistema creditizio, mentre i grandi gruppi industriali italiani temono ritorsioni da parte del Governo USA e non si fidano ad investire in Iran a lungo termine.

11)   In conclusione. Bisogna opporsi con tutte le forze a nostra disposizione per evitare una guerra che avrebbe conseguenze catastrofiche su una situazione economica mondiale già devastante per tutti, ad eccezione delle élites finanziarie che detengono il potere globale e il cui obiettivo è la destrutturazione degli Stati sovrani a favore delle società private; la loro concezione economica affonda le radici nella filosofia individualistico-liberale dell’Occidente e nella matrice puritana del capitalismo, quella delle sette (cfr. Max Weber). Per questa ragione va appoggiato il tentativo di “cambiamento morbido” teorizzato dai Paesi del Brics e portato avanti soprattutto dalla Cina, che sfrutta la propria crescita geoeconomica per modificare gli equilibri nel potere strategico e politico mondiale. Solo allora si potrà arrestare il processo di decadimento sociale e culturale dell’Europa, oggi in piena crisi di fronte all’avanzante marea della globalizzazione americanocentrica e al progetto di ristrutturazione capitalistica guidato dall’alta finanza ma imperniato sugli Stati Uniti e sul suo apparato militare.

 
Qui di seguito riportiamo il link alla registrazione audiovideo dell’intervento disponibile su youtube.
 

 
 

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