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Romanzo di Frontiera: fra crudeltà e magia – parte 2

Creato il 22 maggio 2013 da Edizionialtravista

Forse lo scopo della Carpo è proprio quello di proporci il quadro di una drammatica realtà che a noi appare così distante da sembrare quasi irreale, condendola di fantasia e magia per mitigare la crudezza delle immagini, mantenere viva l’attenzione del lettore e la sua speranza in una possibile soluzione attraverso l’evasione nell’irrazionalità. Oppure semplicemente per dare sfogo alla propria abilità artistica e trasmettere passione per la musica, cose che dimostra appunto nei passaggi in cui si astrae dalla concretezza.

Il romanzo è ambientato principalmente a Cuba e lungo il muro di Tijauna e Ciudad Jarez che separa fisicamente Stati Uniti e Messico, ma questo è rappresentativo di tutte le zone del pianeta caratterizzate da conflitti, contrasti, violenze, muri concreti e astratti che separano comunità e ideologie. Alcuni vengono citati nell’opera, anche se se ne parla in modo trasversale.

L’abilità di dipingere con le parole e di seguire con una tecnica quasi cinematografica gli eventi, immerge il lettore in un’atmosfera quasi tangibile e lo travolge in questa drammatica avventura traboccante di sensazioni e sentimenti.
Il registro e il linguaggio utilizzati dall’autrice sono molto diversificati: quando tratta di argomenti astratti e piacevoli possiamo osservare un tono elevato, un linguaggio metaforico, ricco di termini raffinati e caratterizzato dalla subordinazione, mentre analizzando situazioni concrete e difficili, il lessico è decisamente più comune, a volte anche scurrile e segnato da una fastidiosa coordinazione. Inoltre, largamente diffusi sono i vocaboli provenienti dalla lingua spagnola e da quella inglese, che presumibilmente mirano ad immergere il lettore nel contesto. Altri espedienti che possono avere lo stesso scopo sono i riferimenti a personaggi, canzoni, poesie, cibi e tradizioni dell’ambiente latino americano.

Altra caratteristica linguistica è l’ingente frequenza di errori grammaticali e ortografici, molti dei quali ricordano parole e costrutti tipici dello spagnolo, e perciò fanno pensare ad una scelta linguistica accurata più che ad una lunga serie di sviste durante il processo di revisione. Inoltre, parrebbe inverosimile e incompatibile una scarsa conoscenza grammaticale con i numerosi riferimenti tratti da una formazione classica, evocata anche dalla figura del vecchio cieco che in due episodi propone una mostra riguardante la violenza, il quale in parte ricorda l’indovino Tiresia.

Ciò che secondo me merita un riconoscimento particolare è il modo, affettuoso e quasi poetico, con cui l’autrice per bocca di Ben parla dei pianoforti, e dell’amore. Ogni piano ha un nome e una storia, essi scrutano il buio più fitto, osservano e sanno tutto, percepiscono i sussurri, i baci, i pensieri, sono dotati di olfatto, possono memorizzare diecimila aromi. Un pianoforte è energia vitale, sostiene Ben. E non invecchia mai. Ma ciò che affascina di più di questi magnifici strumenti musicali sono il colloquio privato e il legame che si instaurano con coloro che si accingono a sfiorarli.

Inoltre, suggestiva è la similitudine che l’autrice costruisce fra le masse di clandestini e le farfalle Monarca. Entrambi tentano un viaggio ricco di difficoltà, dove non tutti i partecipanti arrivano a destinazione ma contribuiscono al mantenimento della speranza e della sopravvivenza.

  • Autore: Azzurra Carpo
  • Editore: Albatros


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