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rush fosco

Creato il 12 gennaio 2012 da Occhio Sulle Espressioni
rush fosco Arthur Crabtree e l'orrore
Il britannico nativo dello Yorkshire, Crabtree, dopo una trentennale carriera da director e cinematographer dedita soprattutto al drammatico ed alla commedia, termina il suo contributo scendendo i gradini oscuri dell'horror.
Fiend Without a Face, del 1958, è un, volontario o meno, manifesto antinucleare, con tanto di condanna alla cupidigia scientifica, quel senso di onnipotenza che scorre nelle vene di chi va oltre l'azione per il bene dell'umanità e sembra voglia percorrere carreggiate divine.
Sullo sfondo di una base militare USA con impianto nucleare stanziata in Canada avvengono delle strane dipartite. Le vittime, militari e abitanti di un villaggio limitrofo, vengono attaccate al cervello ed al midollo spinale. Varie sono le congetture di paesani, un po' rudi e diffidenti verso le radiazioni, e protagonista, il maggiore Cummings, che rivolge le sue attenzioni ad uno scienziato locale, prof. R.E. Walgate, impegnato in sperimentazioni con il potere della mente umana. Avranno ragione entrambi, perché la scienza malsana di Walgate ha creato un mostro telecinetico, invisibile, che si alimenta con l'energia nucleare. Nel vivo della pellicola i "fiends" si mostreranno, ed avranno, cosa di alto valore allegorico, l'aspetto di proprio di cervello umano, con annessi, connessi e surplus. I problemi di questa Terra sono spesso creato da noi stessi, dalla nostra materia grigia che abbatte un limite, quelle che possono essere invenzioni benefiche sfuggono di mano e si trasformano in nemici dell'uomo.
I demoni di questa pellicola sono animati in stop motion con un perizia sufficiente per il tempo, in un bianco e nero dagli sfondi fintamente canadesi, visto che realtà si gira nel cuore del Regno Unito. C'è una sequenza in un cimitero, molto bella, che rimanda in qualche modo ad una ben più nota di Il gatto a nove code argentiano. Chissà...
Degni gli interpreti, molto dolce Kim Parker, che impersona la sorella di una delle vittime, attiva solo in una decina di pellicole; un vero peccato...
Tratto da un romanzo di Amelia Reynolds Long, The Thought Monster, e sceneggiato da Herbert J. Leder, che doveva anche girarlo, ma contrattempi da espatrio non gliel'hanno permesso.
Nelle menti, è proprio il caso di dirlo, di molti anglosassoni ma ancora inedito in Italia.
Nel 1959 si passa a Horrors of the Black Museum, ed è di nuovo arrivismo personale, con uno scrittore di inchiesta che si occupa di omicidi e dell'inettitudine di chi dovrebbe prevenirli. Possessore di un museo dell'orrore personale, con tanto di cere e strumenti di tortura, non si fa problemi a nascondere la stessa cosa nella sua indole, usando un'iniezione particolare che induce il suo assistente a compiere i delitti ideali per i suoi scritti.
Qui subentra il classico inglese, il mito di Frankenstein, ma in maniera maggiore dottor Jekyll e signor Hyde, con la doppia personalità covata in ognuno di noi che viene aizzata da un mente esterna più diabolica e manipolatrice.
Graficamente siamo su un piano completamente diverso: fotografia di Desmond Dickinson, a colori, sul filone dei classici Hammer e Amicus. Londra decadente, modi raffinati, "bobbies", botteghe dallo strano commerciare (di nuovo Amicus) ed, appunto, musei lugubri.
Globalmente più kitsch dell'altro, non mancano momenti ironici e "retro tecnologia".
Al momento della sua uscita al cinema vantava un'attrattiva tecnologica nominata "Hypnovision", che però non era altro che un'introduzione in cui un tizio dava idea di ipnotizzare lo spettatore. Trovate del genere ma più interessanti, tipo quelle del genio William Castle, le descriveremo magari più in là, invece pezzo forte di questo film sono le modalità di omicidio, con gli originali oggetti usati per compierli.
Scritto da Herman Cohen e Aben Kandel, in Italia è Gli orrori del museo nero, in patria era accomunato in una triade insieme a Circus of Horrors e Peeping Tom.

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