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Sabina Guzzanti: la raiottista sbarca a Bergamo

Creato il 03 dicembre 2011 da Scribacchina

Già con nell’aere il sentor che sarei andata a vedere SìSìSì… oh, Sì! della Guzzanti iersera (e perdonate se il solito commento scribacchinico arriva ora ma Morfeo, bontà sua, stanotte m’ha rapita senza darne preavviso), pochi giorni fa m’imbattei in una notizia alquanto curiosa data da un (purtroppo noto) quotidiano nazionale: Sabina Guzzanti, non sentendosi adeguata ai canoni di bellezza odierni, s’era fatta dar ritoccatina alle labbra.

Ohibò. Il primo pensiero fu sotto forma d’immagine sdoppiata: da un lato, il viso della brava Sabina; dall’altro, la faccia della Scribacchina. Rapido sguardo alle labbra: quelle della sottoscritta, di dimensioni palesemente ridotte; quelle della Guzzanti, palesemente importanti. Strano, ragionai: Guzzanti io me la ricordo da sempre così, coi suoi grandi e bei labbroni sorridenti. Vuoi vedere che si son sbagliati con le date e han fatto passar per chirurgia recente un ritocchino eseguito poco prima della nascita, quand’era ancora in grembo? Vai a saperlo.

Facezie a parte, soliti lettori, spesso m’accade di riflettere sul perché questi signori possan permettersi di elargir notizie non rispondenti alla realtà, senz’aver alcuna conseguenza. Diversamente dalla sottoscritta Scribacchina, che nella recensione d’eventi tipo Guzzanti o Grillo (sì, non ve l’aveva ancor detto: faccio pure un poco di teatro, tra un concerto e un’intervista) deve limitar drasticamente il proprio vocabolario, escludendo nomi propri di politici o evitando di menzionar particolari vicende. Note, stra-note e ri-note, per la verità.

E dunque, com’è questa cosa che altrui persona (me ne guarderò bene dall’affibbiargli l’epiteto di scribacchino: tale, evidentemente, non è) può bellamente scrivere il falso su carta, tra l’altro offendendo personcina tanto ammodo e garbata qual è la Sabina Guzzanti?

In preda a tali ragionari, improvviso un moto d’orgoglio rosa s’impadronì di Scribacchina. Proprio quando, di fronte allo specchio prima d’uscir per lo spettacolo, era in atteggiamento di restauro. Decise che, sì, era d’uopo un segno tangibile di solidarietà con la brava Sabina.
Ebbene, se qualcuno aveva osato dire che s’era rifatta le labbra, allora pure Scribacchina si sarebbe rifatta le labbra. Color Rosso fuoco.

Scribacchina con… rossetto rosso fuoco? Sì, avete capito bene, soliti lettori. Il solito color marron-carne sostituito da un esplosivo rosso fuoco. Mai portato prima. Abbinato, per l’occasione, a 2 kg di eyeliner nero ed altrettanti di mascara, con un curioso risultato bambola cinese (senza formaldeide, però, questo va detto).

Per rincarar la dose, ho chiesto alla Scribacchina seria di proporvi una cronaca come si deve, politically uncorrect, della serata. Solo per questo blog (che poi, voglio dire, il politically uncorrect della Scribacchina è un qualcosa di molto, molto, molto corretto e garbato: ne avete la prova qui sotto).
Su carta, chissà dove, troverete invece la cronaca
politically correct. Forse la vedrete anche qui, tra qualche anno. Non prima.

***

Sì sì sì... oh, sì! - Sabina Guzzanti

«… E se vi prendono un teatro, voi occupatelo: è una delle cose più belle da fare nella vita». Con queste parole Sabina Guzzanti ha salutato il numeroso pubblico dal palco del PalaCreberg di Bergamo, la sera di venerdì 2 dicembre, dopo uno spettacolo fiammeggiante e una continua, inarrestabile serie di battute sparate, come proiettili, ad alzo zero.

Protagonisti della serata, i personaggi che la Guzzanti ha fatto conoscere ed amare al suo pubblico: Moana Pozzi («forse la idealizzo, ma credo che oggi, se fosse ancora qui, si sarebbe rifiutata di diventare ministro»), Lucia Annunziata, Maria De Filippi (con l’imperdibile inserimento del dramma di Edipo in una surreale – benché tristemente vera – puntata di Uomini e Donne, completa di caratterizzazione del pubblico), Pierluigi Bersani, Massimo D’Alema, Bruno Vespa, Clarissa Burt e l’immancabile ex premier Silvio Berlusconi. Che lei, Sabina Guzzanti, ha avuto la ventura di conoscere in tempi non sospetti, quando ancora le Arcore Nights erano cosa fuori dall’umana immaginazione.
Lei, giovane attrice agli esordi, già inquadrata come sbagliata, da rifare, da instradare, da rendere simile a tanti altri televenditori, mentre – attonita – guarda il suo datore di lavoro versarsi una tazza di the. Che osserva, divertito: «Sono diventato il cameriere di me stesso».

Guzzanti sul palco è un fiume in piena: i sentimenti sono di rabbia, di incredulità, di stupore per la storia surreale (benché vera, e vissuta da tutti) di un ventennio lungo un’eternità. Cita Machiavelli, la Guzzanti; cita il suo concetto di tumulto, da riconsiderare in parallelo con la rivolta studentesca del dicembre 2010. Tumulto visto come cosa necessaria, cosa buona, cosa giusta.

Parlando di ventennio, il paragone con altro ventennio e con il periodo del secondo dopoguerra è quasi naturale; e Sabina Guzzanti, pur nell’amarezza della situazione, sa rendere la similitudine meno indigesta. Sa far sorridere, anche quando il dito è puntato sugli intrecci tra mafia e politica. O quando snocciola, una dietro l’altra, la quantità di situazioni-imposizioni calate dall’alto; al di là delle leggi ad personam e dei tentativi più eclatanti di cambiare le carte in tavola a proprio uso e consumo, il riferimento è a manovre più subdole come il cercare di far passare per anormale una reazione che normale è: come l’indignarsi, il rifiutare l’energia nucleare («e ci accusavano di essere troppo emotivi, dopo il disastro di Fukushima…»), il fischiare un politico di destra ospite ad una festa di sinistra, il gridare forte ‘io non ci sto’. In una parola, l’esprimersi ad alta voce, come generalmente si fa in una democrazia. Cosa, questa, che nell’ultimo ventennio è stata bollata come sbagliata, da non fare, vietata. A favore del tacere sempre, dell’adeguarsi, dell’accettare tutto.

Inspiegabilmente, in questo clima di apatia, cominciano ad alzarsi voci contrarie. Voci che dicono ‘no’. Voci dal basso, che non ci stanno; che, quando si tratta di trasformare un ex-cinema teatro (il cinema Palazzo di Roma, storica sala del quartiere San Lorenzo, dove – tra gli altri – aveva recitato anche Petrolini) in sala giochi con slot machine e quant’altro, si indignano e prendono la decisione di occupare l’ex cinema, per ridarlo alla comunità nella sua funzione originaria. Funzione culturale.

«E’ stato incredibile. Fino al giorno prima, mi sentivo come un’aliena, un extraterrestre nella mia città. Sola. Dopo l’occupazione, ho scoperto che c’erano altre persone come me. Persone stanche di soprusi. Fratelli uniti sotto un’unica bandiera: quella della cultura. Mi sono sempre chiesta il significato della parola Fraternità nel motto della Repubblica Francese: ora l’ho scoperto».

Cultura, fratellanza, unione. Orgoglio di una nazione fatta di persone. E i quattro del titolo dello spettacolo si riferiscono a quell’evento straordinario, il referendum di giugno 2011, che ha finalmente ridato voce alla popolazione. Démos che ha sfoderato il proprio orgoglio umano e nazionale dicendo al rifiuto dell’energia nucleare, all’acqua pubblica, all’uguaglianza di tutti i cittadini (che siano semplici operai o presidenti operai). Il referendum di giugno, un evento che ha ridato forza ad una voce che rischiava di tacere per sempre, e che invece – grazie a quello straordinario mezzo di informazione/controinformazione chiamato internet – è oggi più sicura di sé. Un po’ più di prima.


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