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Sacrifici, ma con giudizio

Creato il 21 novembre 2011 da Ppcaserta

Il nuovo governo presieduto da Mario Monti ha ottenuto la fiducia del Senato. Su 306 senatori votanti, 281 hanno votato a favore. Oggi (18 novembre 2011), dovrebbe ottenere la fiducia anche da parte della Camera dei deputati. Così sarà nella pienezza dei suoi poteri.

Penso che, nelle attuali drammatiche circostanze determinate dalle dinamiche dei mercati finanziari, quanti hanno responsabilità istituzionali (quindi, anche deputati e senatori) facciano bene a sostenere il governo Monti. Si tratta di un voto che non è esagerato definire patriottico. Aggettivo che va usato con misura, tanto più se si attribuisce un alto valore al concetto di Patria, al netto di ogni retorica.

Per mia fortuna, non ho responsabilità istituzionali. Scrivo “per mia fortuna”, perché non è certo invidiabile la condizione di chi, operando con onestà di intenti, si trovi a fronteggiare una situazione tanto difficile. Il rischio oggi è troppo alto perché si possano volere incarichi di governo per semplice vanità personale. Ci vuole autentico coraggio morale. Serve una genuina volontà di servire il Paese, le sue istituzioni, i suoi cittadini. Per queste considerazioni ritengo doveroso ringraziare il senatore prof. Monti e tutti i suoi ministri per il fardello che si sono caricati sulle spalle.

Mentre quanti hanno responsabilità istituzionali fanno il loro mestiere — e speriamo che lo facciano bene — i liberi intellettuali, ossia coloro che sono abituati a pensare in pubblico e non sono a servizio di alcun partito politico, devono anche loro fare il proprio mestiere, che è completamente diverso.

Il politico responsabile opera nel mondo qual è, ne accetta le logiche, cerca di fare il meglio possibile, ma nei limiti delle compatibilità date. Il libero intellettuale, invece, mette in discussione il mondo qual è; mette in luce le cose che non gli sembrano razionali, s’interroga su possibili soluzioni organizzative anche radicalmente differenti rispetto all’esistente.

Faccio l’esempio del funzionamento dei mercati finanziari, scusandomi in partenza per il linguaggio elementare che mi sforzerò di adoperare. Siamo stati educati a pensare che risparmiare fosse una virtù. Gradualmente, ci hanno imposto di non tenere somme rilevanti nei conti correnti bancari, o nei libretti di risparmio. Ma come? Obiettavamo noi. Con i soldi dei risparmiatori, gli istituti di credito accumulano capitali che poi possono dare in prestito alle imprese ed alle famiglie. Così l’economia gira e quindi è giusto che il denaro dei risparmiatori abbia un minimo di remunerazione. Niente affatto, ci hanno risposto. Tenere i soldi nei conti correnti o nei libretti di risparmio è improduttivo: il denaro va investito. Il denaro può avere una buona remunerazione soltanto se investito in azioni, obbligazioni, titoli del debito pubblico. Poiché i risparmiatori fanno parte del popolo bue, le decisioni di investimento non spettano loro, ma devono necessariamente essere demandate ad operatori professionali, che gli istituti di credito, graziosamente, mettono a disposizione della propria clientela. Non voglio rischiare, afferma il risparmiatore, quindi niente azioni. Va bene, risponde a denti stretti l’operatore finanziario. Ho qui delle obbligazioni “sicure”, degli Stati Uniti. Meglio ancora, delle obbligazioni bancarie proprio del nostro istituto di credito.

Per farla breve, i privati cittadini che, in tutto il mondo, forniscono il denaro contano meno di zero. Nei mercati finanziari operano quanti hanno raccolto il denaro: istituti di credito, compagnie di assicurazioni, fondi pensioni. C’è qualcosa di razionale nel fatto che un fondo pensioni di un qualunque Paese europeo decida di investire — magari, mettendo a rischio le risorse che dovrebbero servire domani ad elargire pensioni — nel mercato asiatico, perché al momento quello è il rendimento più alto che si può ottenere?

Se io, privato cittadino, potessi dire la mia, preferirei che i soldi che ho messo a disposizione dell’istituto di credito, servissero per concedere un mutuo al signor Rossi che vorrebbe formare una nuova famiglia ed ha bisogno di acquistare una casa; o che fossero dati all’impresa Bianchi, che vuole espandere la propria attività, e così facendo potrà assumere nuovi dipendenti proprio nella stessa città dove io abito. Non mi importa un accidente, invece, di azioni, obbligazioni, titoli sovrani, degli Stati Uniti, della Cina, o del Paese di vattelappesca.

Il potere dei mercati finanziari è assoluto e non limitabile? Ipotizziamo che alcuni Stati sovrani, di concerto fra loro, pongano dei limiti alla libera circolazione dei capitali e stabiliscano, ad esempio, la regola che almeno il settantacinque per cento del denaro proveniente dal risparmio che viene raccolto all’interno del territorio nazionale debba necessariamente essere investito nel territorio medesimo: per le famiglie, per le imprese locali, per le imprese anche multinazionali a condizione che abbiano stabilimenti e dipendenti in loco, per finanziare opere pubbliche regionali e nazionali con il metodo del project financing, per acquistare titoli del debito pubblico dello Stato. Funzionari dello Stato che ha stabilito queste restrizioni alla libera circolazione dei capitali, vigilerebbero costantemente perché la regola fosse rispettata. Amministratori delegati di banche piccole e grandi, operatori finanziari di ogni livello, che non ottemperassero, finirebbero sistematicamente in galera. Con il massimo di pubblicità da parte degli organi di informazione. Se fosse provato che hanno trasferito altrove capitali, risponderebbero con i propri beni immobili, che sarebbero sistematicamente sequestrati e poi confiscati.

Perché Stati sovrani dovrebbero andare contro la logica, finora imperante, del libero mercato? Per restare, appunto, sovrani. Quando si parla delle tempeste nei mercati finanziari, si evocano sempre gli speculatori. Probabilmente si esagera, perché la tempesta è data dal sommarsi delle scelte di una pluralità di attori che si condizionano reciprocamente, ma che si muovono indipendentemente gli uni dagli altri. Cosa succederebbe però il giorno in cui si potesse dimostrare e documentare che uno Stato potente, non direttamente, ma tramite soggetti finanziari che controlla (imprese, istituti di credito, compagnie di assicurazioni, eccetera), ha deliberatamente operato per destabilizzare le economie di altri Stati? Non penso di essere l’unico a sospettare che nei mercati finanziari si combattano, periodicamente, delle vere e proprie guerre. Da cui derivano disastri per le popolazioni dei Paesi colpiti, paragonabili ai disastri delle vere guerre guerreggiate.

Ci sono tantissimi altri interventi che si potrebbero porre in essere. A che servono le Borse? Se servono a comprare e vendere denaro per investimenti di rilevanza internazionale, chi ha stabilito che le Borse debbano restare aperte ogni giorno e, non ad esempio, soltanto alcuni giorni appositamente “dedicati” nel corso di un mese? Perché non adottare misure per raffreddare i mercati, quando siano troppo vivaci? Perché non separare nettamente le banche d’investimento, da quelle che prevalentemente raccolgono risparmio e per statuto devono rispettare e tutelare i soldi dei risparmiatori?

Se un certo numero di Stati cominciassero ad adottare normative e pratiche di questo tipo, i mercati finanziari, quali li abbiamo finora conosciuti, sarebbero distrutti. Il loro potere sarebbe non soltanto ridimensionato, ma quasi azzerato. Viceversa, ancora oggi si discute se consentire o meno vendite “allo scoperto”. La realtà attuale contraddice la logica ed il buon senso. Quanto finora fatto per “disciplinare” i mercati finanziari, fino a Basilea-3, è ridicolmente insufficiente.

Per tornare alla situazione italiana, tenere in ordine i conti pubblici è cosa buona e giusta. Eliminare gli sprechi di denaro pubblico è cosa buona e giusta. Accettare la logica che, costi quello che costi, bisogna sempre e prontamente soddisfare i creditori (soprattutto se esteri), invece è sbagliato. Non è accettabile per noi, come non è accettabile per la Grecia, per la Spagna, o per qualsiasi altro Paese. Sacrifici sì, ma con giudizio.

Aggiungo che l’Unione Europea, quale finora è stata realizzata, non va bene, perché è figlia della stessa logica della globalizzazione dei mercati finanziari, finora descritta. Ad esempio, è sbagliato pensare che, per reggere la concorrenza della Cina, si debbano aumentare i tempi di lavoro, pagare meno i lavoratori e ridurre le loro garanzie. Ad esempio, per difendere l’euro ci vorrebbe una Banca Centrale Europea che non pensasse soltanto a combattere l’inflazione, ma immettesse nuova moneta in circolazione quando c’è necessità di farlo. Un buon europeo, contento di essere tale ed orgoglioso delle proprie radici culturali, può trovare non razionali ed insufficienti le attuali Istituzioni europee. Posso molto amare Kant e Madame de Staël, Beethoven, Dickens e Dostoevskij, e non essere d’accordo con tutti i contenuti della lettera che Trichet e Draghi, a nome della BCE, hanno inviato al Presidente del Consiglio italiano il 5 agosto del 2011. Le due cose non sono in contraddizione fra loro. L’argomento merita specifico approfondimento ed i liberi intellettuali, se ne esistono, avrebbero tanto da dire in questa materia.

Livio Ghersi, 18-11-2011


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