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Salgari e i guadagni di uno scrittore

Creato il 04 novembre 2010 da Mirco
Salgari e i guadagni di uno scrittoreLeggevo sul blog di Loredana Lipperini la lunga discussione su quanto guadagnano gli scrittori e mi è venuto in mente subito Emilio Salgari.
Non è esatto dire che Salgari non veniva pagato per il suo lavoro di scrittore. L'errore che fece, non rendendosi conto di quanto poteva guadagnare, è stato quello di non pattuire un compenso a percentuale ma forfettario. A quei tempi era più popolare di ogni altro intellettuale dell'epoca: più di Verga, D'Annunzio, De Amicis e tanti altri; lui che in due settimane vendeva anche 80-100.000 copie dei suoi libri, cosa quasi impensabile anche adesso a pensarci bene, sarebbe stato più che ricco e avrebbe potuto vivere una vita agiata.
Le varie case editrici con cui ha lavorato potevano certamente trattarlo meglio. Parlo della famosa Bemporad, della Treves, la maggior casa editrice di quel tempo e Paravia. Inizialmente gni romanzo, stando a quanto ha affermato suo figlio Omar, veniva pagato 300 lire. Difficile dire a quanto corrispondono, ma non erano certamente uno stipendio.
L'editore Donath successivamente gli offrì 4.000 lire annue per tre libri l'anno e la direzione di una rivista. Mentre Carducci nello stesso periodo ne prendeva 5.000 con Zanichelli.
Quando stipulò un contratto con la Bemporad arrivò a guadagnare 8.000 lire per tre libri l'anno. Lo stipendio di un alto funzionario della Torino di allora era di 7.500 lire. Veniva pagato bene, è vero, ma pensate a quanto possa essere difficile scrivere tre libri l'anno e doversi allo stesso tempo documentare su ogni particolare per rendere la storia credibile.
Dopo il suo suicidio la Bemporad stessa poté dimostrare di fronte a una commissione di indagine (parlo del 1928 e i fascisti stavano impadronendosi del nostro scrittore) che la povertà del "capitano" non era dovuta a mancate retribuzioni o a retribuzioni troppo basse, ma a una totale incapacità di amministrare il denaro. E' anche vero che una quota percentuale sulle vendite potevano anche concedergliela, ma il capitano era troppo ingenuo per poterla contrattare.
Questa incapacità, o forse ingenuità, costrinse Salgari a scrivere tanto e forse troppo, sommerso da debiti, fumo di sigarette (ne fumava cento al giorno) e marsala. Così scrisse a Giuseppe Gamba, illustratore delle sue opere:
« La professione dello scrittore dovrebbe essere piena di soddisfazioni morali e materiali. Io invece sono inchiodato al mio tavolo per molte ore al giorno ed alcune delle notte, e quando riposo sono in biblioteca per documentarmi. Debbo scrivere a tutto vapore cartelle su cartelle, e subito spedire agli editori, senza aver avuto il tempo di rileggere e correggere. »
 Tutto questo comportò un decadimento fisico e un lento tracollo psicologico che lo indusse a tentare il suicidio la prima volta gettandosi su una lama, e la seconda, riuscendoci,  tagliandosi gola e pancia.
Questa è la famosa lettera lasciata agli editori:

« A voi che vi siete arricchiti con la mia pelle, mantenendo me e la mia famiglia in una continua semi-miseria od anche di più, chiedo solo che per compenso dei guadagni che vi ho dati pensiate ai miei funerali. Vi saluto spezzando la penna. »


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