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Salute materna: meglio una gravidanza indesiderata che l’aborto

Creato il 27 agosto 2013 da Uccronline

Donna incintaDopo il crollo del mito secondo il quale sarebbe medicalmente necessario abortire per salvare la vita della madre, i ricercatori italiani Carlo V. Bellieni e Giuseppe Buonocore ne hanno fatto crollare un altro che veniva usato per giustificare questa silenziosa pratica della morte. È infatti idea degli abortisti che la gravidanza indesiderata provocherebbe disturbi psichici quali ansia, depressione, nonché abuso di sostanze; per cui l’aborto sarebbe l’unica soluzione per tutelare la sanità mentale delle madri.

Tuttavia, la relazione pubblicata nel numero di luglio 2013 della rivista Psychiatry and Clinical Neurosciences, mostra un panorama diverso se non addirittura opposto. Bellieni e Buoncore hanno rivisto trentasei studi pubblicati sul tema in riviste scientifiche tra il 1995 e il 2011. Sei sono stati scartati per ragioni metodologiche, gli altri trenta affrontano in primo luogo l’incidenza dell’aborto con la depressione, gli disturbi d’ansia (come lo stress postraumatico) e l’abuso di sostanze. L’aborto volontario è stato poi messo a confronto con altre situazioni: la nascita per mezzo di una normale gravidanza, il parto in caso di gravidanze indesiderate e gli aborti spontanei.

Confrontando le conseguenze dopo l’aborto e dopo il parto, tredici studi (il 68%) hanno mostrato un rischio notevole di problemi mentali come conseguenza dell’aborto. Cinque non hanno mostrato alcuna differenza, in particolare se le donne non considerano che la loro esperienza di perdita fetale sia difficile. Solo uno studio ha mostrato una maggiore incidenza di disturbi a causa della nascita.

Mettendo invece a confronto l’aborto con la gravidanza indesiderata, quattro studi (il 57%) hanno mostrato un aumento del rischio di problemi per la salute materna in seguito all’aborto, tre studi non hanno mostrato alcuna differenza con le gravidanze indesiderate e nessuno (0%) ha portato alla conclusione che conservare il feto è meno rischioso che ucciderlo. Questo è un confronto di vitale importanza, dal momento che molte leggi stabiliscono il “rischio per la salute mentale della madre” come causa oggettiva di aborto. Eppure, come si è visto, gli studi suggeriscono che il “rischio” è maggiore con l’aborto, piuttosto che con la regolare nascita, anche se indesiderata.

Paragonando infine gli studi sulle conseguenze dopo l’aborto volontario e quello spontaneo, si è notato che tre di essihanno mostrato un aumento del rischio di disturbi mentali in seguito ad aborto volontario, quattro non hanno registrato alcuna differenza e due hanno rilevato che a breve termine l’ansia e la depressione erano più alti nel gruppo di aborto spontaneo, ma che a lungo termine è stato esattamente l’opposto: “Ansia e depressione a lungo termine erano presenti solo nel gruppo di aborto volontario”. In questo caso, cinque studi su nove (56%) hanno rilevato un aumento del rischio di disturbi nell’aborto volontario e nessuno (0%) nell’aborto spontaneo.

Bellieni e Buoncore concludono la loro relazione precisando che “la perdita fetale sembra esporre le donne a un rischio più alto di disturbi mentali che il parto; gli studi mostrano pure che l’aborto ha un fattore di rischio più considerevole dell’aborto spontaneo; sono necessarie ulteriori ricerche in questo campo”. Alla luce di tutto ciò, diventa sempre più difficile giustificare l’aborto e restare in buonafede; non ci si riferisce tanto alle giovani adolescenti in preda al panico, ma piuttosto a coloro che per ideologia o pensiero politico promuovono la morte con viscerale freddezza, senza però tener conto che se le loro madri avessero ragionato allo stesso modo, essi oggi non esisterebbero.

Michele Blum


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