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Santa Muerte Patrona recensita su @lavoroculturale

Creato il 30 settembre 2014 da Vfabris @FabrizioLorusso

SantaMuertePatrona_copertinamezzaSanta Muerte meticcia, libertaria e clandestina (dal blog Il Lavoro Culturale) – Di 15 settembre 2014 – Recensione al libro di Fabrizio Lorusso, “Santa Muerte Patrona dell’Umanità“, (Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2013).

Sono carne e spirito delle Americhe, sono meticcia, sono figlia di una figlia di una figlia nata dallo stupro dei guerrieri avidi d’oro, perché i Conquistatori non si portarono donne al seguito e violando la carne delle indigene diedero origine a ciò che siamo: non fu vittoria, non fu sconfitta, fu la dolorosa nascita della civiltà meticcia, fusione inestricabile di passato che non passa, memoria che non si spegne, vita che nasce dalla morte e morte che dà la vita…
(P. Cacucci, Viva la vida!, Feltrinelli, 2010, p. 48)

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Santa Muerte Patrona dell’Umanità è un libro meticcio come il culto che indaga. Un’opera impregnata di sincretismo nei contenuti e nelle forme. Racconta la violenza dell’amplesso inferto dai santi cristiani contro Mictecacíhuatl, regina dell’inframundoazteco, e dell’orgia che ne seguì a cui presero parte madonne cristiane e divinità africane yoruba. Con la croce e con la spada s’impose dall’alto la con-fusione dei corpi e degli spiriti, ma ben presto con il meticciato e l’autonomia dei quilombos si reinterpretarono, in chiave resistenziale e dal basso, le violenze subite.

Il culto della Santa Muerte si inserisce a pieno titolo nella babylon di credenze nate in territorio americano a seguito di tali violenze. Per secoli relegata sulle montagne e tra le mura domestiche, la devozione alla Santa, è riemersa come un fiume carsico in piena agli inizi degli anni duemila. Il 31 ottobre 2001 segna la definitiva uscita dalla clandestinità del culto, quando tra le bancarelle del barrio mercato di Tepito (Città del Messico), una donna di cinquantasei anni espone pubblicamente una statua a dimensioni naturali della Santa Muerte. Si chiama Enriqueta Romero Romero, ma tutti la conoscono come Doña Queta, guardiana dell’altare e inconsapevole autrice di un gesto rivoluzionario che ha fatto uscire dall’ombra migliaia di devoti.

Si stima ci siano dai tre ai dieci milioni di fedeli sparsi per il mondo tra Messico, Stati Uniti, Salvador, Guatemala, Honduras, Colombia, Argentina e Giappone. È risaputo infatti che la Santa Muerte non conosce confini, o meglio: non li riconosce. Se ammettesse la loro esistenza, tollerasse le dogane, i metal detector e i visti sul passaporto, la sua libertà verrebbe continuamente condizionata dalle interminabili file per il permesso di soggiorno, dalle ore d’attesa nei gate degli aeroporti e dalle perquisizioni. Che di certo bloccherebbero l’imbarco di quella sacca da hockey, dal contenuto registrato come attrezzo sportivo, in cui si nasconde la fedelissima falce.

Pensate poi cosa dovrebbe inventarsi se, dopo aver fatto visita a un anti-castrista cubano di Miami, volesse recarsi in tutta fretta dal cugino, rimasto a Cuba e fedele al regime. I voli per l’isola dal suolo a stelle e strisce sono vietati e il giro della morte a cui sarebbe costretta la porterebbe a far scalo in Centro America o in Canada prima di approdare nel paese dellaRevolución.

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Una volta atterrata, esausta dalla tanta fatica che gli interessi di governo le impongono, non ci penserebbe due volte a godersi, in un qualche secaderos di Viñales, un puro in compagnia di sua cugina Yemayá, la regina dei mari e degli dei. Tutto ciò contribuirebbe a minare la sua maniera di lavorare che si fonda su principi democratici e libertari che non contemplano distinzioni di classe, genere o nazionalità.

La clandestinità per la Santa rappresenta infatti una scelta politica che garantisce l’abolizione del privilegio e l’orizzontalità della decisione. Per i suoi devoti invece è una costrizione imposta dall’alto. Molti di loro, alcune migliaia di messicani, hanno varcato frontiere illegalmente e esportato il culto negli Stati Uniti. Altri sono caduti sotto i colpi di fucile dei pistoleros texani. Altri ancora sono stati costretti per secoli dalle autorità statali ed ecclesiastiche a mantenere il culto segreto e a non praticare pubblicamente la propria devozione. Sempre per necessità e non per scelta.

Fabrizio Lorusso racconta questo e molto altro con uno stile semplice e un linguaggio orizzontale che abbraccia più voci: la sua, quella dei devoti incontrati nel quartiere di Tepito e in giro per il Messico, quella dei media che manipolano la realtà in modo sensazionalistico e quella sotterranea della Santa, che si può solo credere d’intuire tra le righe del testo. Ma il grande merito dell’autore sta nel forzare la mano del genere, ibridare la scrittura e creare quel sincretismo letterario che dà profondità all’opera e allo stesso tempo la rende perfettamente fruibile.

Santa Muerte Patrona dell’Umanità è, infatti, un saggio, perché rappresenta uno degli studi sul campo più approfonditi sul culto messicano della Santa Muerte; ma è anche un diario di viaggio, perché l’autore è abile a dare testimonianza orale e visiva del percorso che l’ha portato ad avvicinarsi al barrio bravo di Tepito, alla sua gente e alla santa; ed è ancora un testo di denuncia sociale dal basso, perché prende posizione contro l’autoritarismo e la smania centralizzatrice di Chiesa cattolica e governo messicano, sintesi estreme del dogma religioso e della cultura istituzionalizzata. Non c’è dubbio che il culto della Santa Muerte, che si fonda su pratiche democratiche e libertarie – fuggendo personalismi e commercializzazioni – abbia trovato nella scrittura critica di Fabrizio Lorusso una voce complice per raccontare la sua storia.

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GHOST TRACK

Santa Muerte in Valle d’Aosta – Espace Populaire, 10 gennaio 2014

Da Tepito, el barrio bravo di Città del Messico, alle montagne innevate dell’ovattata Aosta. La Santa Muerte rossa è arrivata in visita nella regione a statuto speciale per portare un po’ di passione. Qualcuno ha provato a spiegargli la bufala del francese e la differenza tra l’UV-Union Valdôtaine e UVP-Union Valdôtaine Progressiste ma era poco interessata ai partiti e ai giochi di potere intorno alla lingua d’oltralpe. Non ha detto quasi nulla per tutta la serata, ma si è informata sulle condizioni dei nordafricani che lavorano tra le vacche e la neve in alpeggio. In chiusura d’incontro ha borbottato una frase in spagnolo, che molti non hanno sentito e i più non hanno capito: «ver crecer las flores desde abajo no es tan malo como todo el mundo cree»[1].

[Questo testo è già apparso pubblicato sul "l’Unità" del 5 febbraio 2014]

[1] Traduzione: «vedere crescere i fiori dal basso non è poi così male come tutti credono». In A. Prunetti, Il Fioraio di Perón, Stampa Alternativa/Nuovi Equilibri, 2010, p. 113, Oreste minaccia di morte Alfredo con una frase, scritta su un foglio con lettere ritagliate dai giornali, che recita: «El nieto del florista verá crecer las flores desde abajo», trad. «il nipote del fioraio vedrà crescere i fiori dal basso», ovvero sdraiato in un fosso.


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