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Santi, martiri e diritti umani.

Creato il 07 settembre 2012 da Enricobo2

Santi, martiri e diritti umani.

La grande pagoda - Yangoon - Myanmar


Difficile vivere in un mondo dove le certezze sono merce rara, dove anche le cose più evidenti e conclamate, se vai a vedere da vicino, se scavi anche solo un attimo, sotto sotto si incrinano e lasciano intravedere gli orrori che non credevi possibili, dove non riesci più a distinguere buoni e cattivi, tutti riuniti in una cattiva melassa inacidita da cui non ci si riesce a tirar fuori.  Eppure ci sono cose così chiare nella mente di tutti, su cui non si può avere dubbi. Insomma chi fino a ieri mattina era sottoposto a orribili vessazioni e privato anche delle libertà più elementari, almeno quello deve essere al di fuori di ogni sospetto. Dai, non venitemela a contare, una cosa sono le religioni fondamentaliste, quelle che antepongono la loro verità al resto, un resto per definizione malvagio e da combattere senza pietà, un altro sono quelle dell’amore e della compassione che tutto accettano, che non cercano proseliti, che si fanno carico delle proteste del mondo oppresso, che addirittura arrivano al supremo sacrificio, immolandosi col fuoco, in nome della difesa della libertà e contro le dittature più ottuse. A volte queste azioni, accompagnate giustamente dall’aiuto dell’opinione pubblica internazionale, che sposa quelle cause con vigore, hanno anche, se pur con fatica, un definitivo successo. 
E’ il caso dell’odiosa giunta birmana che per decenni, appoggiata da quegli altri furbacchioni di cinesi, ha mantenuto in quel paese di mansueta povertà un regime davvero infame, eliminando con ogni mezzo anche la più mite opposizione, con torture e uccisioni. Schiere di monaci inermi si sono sacrificati (come in Tibet del resto) per far sentire la loro voce al mondo, fino a che finalmente ha trionfato la giustizia, cacciati i militari furfanti, liberata finalmente il simbolo della protesta Aung San Suu Kyi e assegnata ad una giusta posizione di potere, messo al vertice un nuovo e onesto presidente, Thein Sein. Finalmente il paese comincia la sua lenta marcia verso la redenzione e chissà forse anche verso una economia vivace che avvicinerà la Birmania alle vicine tigri asiatiche. Ma niente è semplice e facile al mondo. In Birmania o Myanmar come vuol essere chiamata adesso, vive da circa 500 anni vicino al confine indiano, una minoranza di quasi un milione di persone, i Rohingya, che sicuramente non avrete mai sentito nominare. Da sempre, anche sotto la vecchia giunta sono stati sottoposti a vessazioni e discriminazioni, anzi diversamente dagli altri 135 gruppi etnici riconosciuti nel paese, non è loro concessa neppure la nazionalità birmana. 
Sono non persone, disprezzate e neglette, tali da far battere il cuore a qualunque movimento per la salvezza degli oppressi nel mondo, se solo sapessero della loro esistenza. Sotto i militari, erano ai margini della società sopportati a fatica; ma adesso c’è finalmente libertà, in particolar modo quella di dare addosso per davvero a questi disgraziati, che tanto per prima cosa sono mussulmani di lontana origine bengalese. I bravi e miti buddisti, diciamo la verità, non ne possono proprio più di questa invadente e fastidiosa presenza (tra l’altro si moltiplicano come i conigli) , così si sono cominciate a bruciare piccole moschee (ai buddisti piace molto questa cosa del fuoco purificatore e anche agli induisti per la verità). I Rohingya non sono stati con le mani in mano e a loro volta hanno dato fuoco ad un po’ di tempietti buddisti, con una serie di vendette incrociate che hanno provocato nell’ultimo mese un centinaio di vittime. 
I media finalmente liberi hanno potuto dare con dovizia di particolari queste notizie (in verità solo quelle delle ritorsioni Rohingya, ma questo è un particolare trascurabile in un paese dove la libertà di stampa è appena neonata), rendendo furiose le schiere di miti benpensanti che prima protestavano contro il regime e che ora reclamano a gran voce una “soluzione finale” contro questi “immigrati”per alcuni, “animali o terroristi” per altri a sentire quanto gira sul web. Tutti uniti attorno al nuovo presidente che, tanto per rimanere sul pezzo,  ha proposto una espulsione di massa verso altri paesi, non si sa bene quali. La nazione è finalmente unita.  Win Tin, che si è fatto 19 anni di galera dura perché riteneva che il vecchio regime eludesse completamente i più elementari diritti umani, anche lui finalmente libero di parlare, ha proposto per costoro, campi di concentramento dove rinchiudere la marmaglia; la “santa” Aung San Suu Kyi, rilascia dichiarazioni ambigue dando via libera al laissez faire
Non solo, ma le forze che chiedevano un disperato aiuto alle organizzazioni internazionali perché intervenissero con la loro pressione sul sistema birmano, adesso guardano con malevolenza a qualunque intervento straniero sul problema, mentre nel Rakhine, il territorio in questione al confine con l’India, si parla di vera e propria pulizia etnica. Da qualche giorno migliaia di  monaci, gli stessi che cinque anni fa chiedevano il rispetto delle libertà civili, seguiti dalla popolazione urlante, sfilano per le strade chiedendo la cacciata dei Rohingya. Non c’è niente da fare, i “santi”, basta ricordare quelli della cristianità militante, quando possono prendere il bastone in mano si comportano tutti allo stesso modo.
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