Magazine Cucina

"Scapece da taberna"

Da Patiba @patiba1


Ricetta per 6 persone

800 g – 1 kg di pesce (naselli, merluzzetti, sgombri ecc.), 3 cipolle da agricoltura biologica, 1 litro di vino (rosso o bianco, a seconda del colore che si vuole ottenere), ¼ di litro di aceto di vino, 6-7 stigmi di zafferano, ½ cucchiaino di grani di cumino, ½ cucchiaino di pepe nero in polvere, sale.
Mescoliamo il vino all’aceto, aggiungiamo il sale e portiamo ad ebollizione. Mettiamo il pesce in questa miscela acetosa e cuociamo solo per 6-7 minuti, mantenendo il liquido al limite dell’ebollizione. Togliamo il pesce dall’acqua con la schiumarola e mettiamolo in un recipiente fondo, preferibilmente di terracotta. Rimettiamo sul fuoco il liquido, aggiungiamo le cipolle tagliate a rondelle e facciamo restringere a fuoco lento per circa mezz’ora. Togliamo dal fuoco e aggiungiamo le spezie (cumino, pepe e zafferano) al liquido. Versiamo sul pesce e facciamo raffreddare: si rapprenderà in gelatina. Serviamo freddo.

***

Questa ricetta si trovava quasi sempre nei “menù” delle taverne che erano luoghi in cui si dovevano proporre piatti da realizzarsi velocemente o addirittura già pronti. Ciò vale anche per lo scapece che è, nello stesso momento, un modo per cucinare ma anche un metodo di conservazione del pesce. Questo procedimento constava, in genere, di pesce azzurro, verdure o anche carni fritte cui venivano applicate alcune spezie (in particolare lo zafferano), le cipolle e una salsa o gelatina dal sapore acido. Tale salsa è probabilmente originaria della cucina araba e il suo nome deriva dal termine sikbaj; troviamo attestazioni di questa preparazione già nel "De re coquinaria" di APICIO  o in alcuni ricettari della corte di Federico II di Svevia che ne era particolarmente ghiotto. Nell’Italia meridionale e in Spagna si servono ancora oggi gli scapece. Fonte: Il libro della cucina del secolo XIV


Alici in scapece (leggi)

*La scapece e’ una preparazione gastronomica dell’Italia meridionale, in Puglia, ad esempio, sono famose le scapece di Lesina e di Gallipoli. La procedura varia da zona a zona, e, sostanzialmente prevede nella ricetta l’utilizzo di verdure o ortaggi tassativamente fritti (melanzane, pomodori, carote, fagiolini ecc.) e pesce azzurro o anche le une e l’altro, ma fritti separatamente. Si avvicina grosso modo, anche alla tipica preparazione del nord Italia carpioneche prende nome da un pesce d’acqua dolce (Salmo tutta carpio) il quale, previa frittura, viene cosparso con cipolle fatte appassire in olio d’oliva con una marinata d’aceto, aglio e altre spezie, e, al venetosaòr” che deriva dal medievale italiano savoredal latinosapor, mentre con il termine Scabeccio si fa riferimento ad una identica preparazione in uso in Liguria e in Piemonte.
Etimologicamente deriva dal latino Escha Apicii, e cioe salsa di APICIO, autore del De coquinaria, il piu antico manuale di gastronomia, per fare in modo che pisces fricti diu durent (per conservare pesci fritti) consiglia: eodem momento, quo friguntur et levantur, ab aceto calido, perfunduntur (nello stesso momento in cui escono dall’olio cospargili di aceto caldo).
Dell’Imperatore Federico II di Svevia si racconta che ne era talmente ghiotto che difatti se la faceva venir dal Lago Lesina (Resina ut ab eis faciat ascaperiam). Nel marzo del 1240 in vista del Colloquium generale previsto a Foggia, chiese al cuoco Berardo di preparare askipeciam et gelatinam usando appunto il pesce che proveniva da quel lago.
Alcuni studiosi affermano invece il termine deriva dall’arabo As-sikbāj che designava una preparazione molto apprezzata di quella cucina che seguiva una procedura abbastanza simile alla scapece, ma solitamente utilizzata per le carni bollite e che sarebbe pervenuta a noi attraverso lo spagnolo escabeche. nella gastronomia iberica, infatti, figurano molte preparazioni di escabeche: Patatas en escabeche con tenca (tinca) a la cacerena (alla maniera di Caceres), Escabeche de berenjenas (melanzane) con hinojo (finocchio), Perdices (pernici) escabechadas.
Può considerarsi una sorta di scapece il siviero di Ippolito Cavalcanti (Capetone in siviero, Puorco sarvateco (cinghiale) ‘nseviero).
Altri percorsi etimologici ci indirizzano invece al francese aspic una pietanza in gelatina ormai celebre portata della cucina internazionale. In questo caso va fatta un’osservazione chimica che ci puo’ aiutare a comprendere l’analogia filologica, e cioe’ che in assenza di grassi aggiunti, la cartilagine del pesce una volta disciolta nell’acqua per effetto dell’aceto si solidifica trasformandosi così in gelatina che del resto era all’epoca considerata un “trattamento” per la conservazione degli alimenti, ed esiste una preparazione simile nella cucina ebraica di tradizione askenazita che si chiama “gefillte fisch” . Fonte:guide.supereva.it

*Nell'antica Roma la taberna (al plurale tabernae) era una sorta di ristorante o trattoria, tipicamente dotata di una sola stanza con volta a botte. La taberna nacque inizialmente come deposito ed era, in genere, la bottega degli artigiani, aperta verso la strada; si passò poi alle tabernae vinarie e a quelle che si specializzarono nella consumazione del vino e del pasto.Le tabernae avevano un bancone di pietra, con cinque o sei contenitori murati, rivolti verso la strada; accanto al banco vi era un fornello con una casseruola piena di acqua calda; nel retro c'erano la cucina e le sale per la consumazione. Avevano una finestra in alto che dava luce al soffitto in legno del deposito ed un grande vano di apertura sulla strada. Un famoso esempio si trova nei mercati di Traiano, costruiti da Apollodoro  di Damasco.Secondo la "Cambridge Ancient History", la taberna era un'unità per la vendita al dettaglio all'interno dell' Impero Romano, in più era il luogo dove venivano offerte numerose attività commerciali e terziarie, comprese la vendita di cibi cotti, vino e pane. Fonte: Wikipedia

La taverna nel Medioevo è un luogo di ritrovo per bere, mangiare, incontrarsi, giocare.
La documentazione principale sulla presenza della Taverna nella vita sociale del Tardo Medioevo ci è fornita dagli Statuti delle città. Le Taverne erano ubicate sia nei centri urbani che nei piccoli borghi nelle campagne, ma soprattutto nei luoghi di mercato, lungo i fiumi in prossimità di ponti e traghetti e le strade, nei porti; tutti posti nei quali vi era molta gente di passaggio o stanziale. Erano sorvegliate dalle autorità. La Taverna medievale era caratterizzata da un’insegna e da dei lunghi sporgenti pali per la birra che però spesso recavano fastidio alla circolazione, e a Londra nel 1375 vi fu un provvedimento che ne limitava a 7 piedi la misura massima di sporgenza dalla facciata. Lo statuto della città di Verona del 1327 ci trasmette la possibile esistenza di un cortivum o di un porticus: ne è facile dedurre che durante la buona stagione i vini, la birra e l’idromele venivano consumati all’esterno in quello che è altrove definito “circuito della taverna”. Fonte: lamescaligere.it

Cucuzielle a la scapece (leggi)

***


Codex Buranus:: L'imperatore Federico II

I Carmina Burana

sono testi poetici contenuti in un importante manoscritto del XIII secolo, il Codex Latinus Monacensis o Codex Buranus, proveniente dal convento di Benediktbeuern (l'antica Bura Sancti Benedicti fondata attorno al 740 da San Bonifacio nei pressi di Bad Tölz in Baviera) e attualmente custodito nella Biblioteca Nazionale di Monaco di Baviera..

 Il testo in Latino è quello di “In taberna quando sumus”, il carme 196 dei “Carmina Burana

In taberna                                                                                                                    All'osteria


Carmina Burana: "In taberna quando sumus" 196
Testo ©2001 Saltatio Mortis
Traduzione ©2008 Daniele Benedetti

  In taberna quando sumus
Non curamus quid sit humus
Sed ad ludum properamus
Cui semper insudamus
Quid agatur in taberna
Ubi nummus est pincerna
Hoc est opus ut queratur
Si quid loquar, audiatur
Quidam ludunt, quidam bibunt
Quidam indiscrete vivunt
Sed in ludo qui morantur
Ex his quidam denudantur
Quidam ibi vestiuntur
Quidam saccis induuntur
Ibi nullus timet mortem
Sed pro Baccho mittunt sortem:
Hier ein Spiel, ein Trunk daneben
Dort ein wahres Heidenleben
Wo des Spieles wird gepflogen
Sieht sich mancher ausgezogen
Klopft ein anderer stolz die Tasche
Liegt der Dritt in Sack und Asche
Wer wird um den Tod sich scheren?
Losung ist: Zu Bacchus Ehren!   Quando siamo all'osteria
Non ci curiamo più del mondo
Ma ci affrettiamo al gioco
Al quale sempre ci accaniamo
Che si faccia all'osteria
Dove il soldo fa da coppiere
Questa è cosa da chiedere
Si dia ascolto a ciò che dico
C'è chi gioca, c'è chi beve
C'è chi vive senza decenza
Ma tra coloro che attendono al gioco
C'è chi viene denudato
Chi al contrario si riveste
Chi di sacchi si ricopre
Qui nessuno teme la morte
Ma per Bacco tentano la sorte:
Qui un gioco, insieme a una bevuta
Là una vera vita da miscredente
Dove c'è l'abitudine del gioco
Si vedono alcuni che si spogliano
Un altro batte orgogliosamente la tasca
Il terzo giace tra sacchi e cenere
Chi si curerà della morte?
La parola d'ordine è: onore a Bacco

 Fonte: metalgermania.it/


Ricetta per 6 persone

800 g – 1 kg di pesce (naselli, merluzzetti, sgombri ecc.), 3 cipolle da agricoltura biologica, 1 litro di vino (rosso o bianco, a seconda del colore che si vuole ottenere), ¼ di litro di aceto di vino, 6-7 stigmi di zafferano, ½ cucchiaino di grani di cumino, ½ cucchiaino di pepe nero in polvere, sale.
Mescoliamo il vino all’aceto, aggiungiamo il sale e portiamo ad ebollizione. Mettiamo il pesce in questa miscela acetosa e cuociamo solo per 6-7 minuti, mantenendo il liquido al limite dell’ebollizione. Togliamo il pesce dall’acqua con la schiumarola e mettiamolo in un recipiente fondo, preferibilmente di terracotta. Rimettiamo sul fuoco il liquido, aggiungiamo le cipolle tagliate a rondelle e facciamo restringere a fuoco lento per circa mezz’ora. Togliamo dal fuoco e aggiungiamo le spezie (cumino, pepe e zafferano) al liquido. Versiamo sul pesce e facciamo raffreddare: si rapprenderà in gelatina. Serviamo freddo.

***

Questa ricetta si trovava quasi sempre nei “menù” delle taverne che erano luoghi in cui si dovevano proporre piatti da realizzarsi velocemente o addirittura già pronti. Ciò vale anche per lo scapece che è, nello stesso momento, un modo per cucinare ma anche un metodo di conservazione del pesce. Questo procedimento constava, in genere, di pesce azzurro, verdure o anche carni fritte cui venivano applicate alcune spezie (in particolare lo zafferano), le cipolle e una salsa o gelatina dal sapore acido. Tale salsa è probabilmente originaria della cucina araba e il suo nome deriva dal termine sikbaj; troviamo attestazioni di questa preparazione già nel "De re coquinaria" di APICIO  o in alcuni ricettari della corte di Federico II di Svevia che ne era particolarmente ghiotto. Nell’Italia meridionale e in Spagna si servono ancora oggi gli scapece. Fonte: Il libro della cucina del secolo XIV


Alici in scapece (leggi)

*La scapece e’ una preparazione gastronomica dell’Italia meridionale, in Puglia, ad esempio, sono famose le scapece di Lesina e di Gallipoli. La procedura varia da zona a zona, e, sostanzialmente prevede nella ricetta l’utilizzo di verdure o ortaggi tassativamente fritti (melanzane, pomodori, carote, fagiolini ecc.) e pesce azzurro o anche le une e l’altro, ma fritti separatamente. Si avvicina grosso modo, anche alla tipica preparazione del nord Italia carpioneche prende nome da un pesce d’acqua dolce (Salmo tutta carpio) il quale, previa frittura, viene cosparso con cipolle fatte appassire in olio d’oliva con una marinata d’aceto, aglio e altre spezie, e, al veneto “saòr” che deriva dal medievale italiano savoredal latinosapor, mentre con il termine Scabeccio si fa riferimento ad una identica preparazione in uso in Liguria e in Piemonte.
Etimologicamente deriva dal latino Escha Apicii, e cioe salsa di APICIO, autore del De coquinaria, il piu antico manuale di gastronomia, per fare in modo che pisces fricti diu durent (per conservare pesci fritti) consiglia: eodem momento, quo friguntur et levantur, ab aceto calido, perfunduntur (nello stesso momento in cui escono dall’olio cospargili di aceto caldo).
Dell’Imperatore Federico II di Svevia si racconta che ne era talmente ghiotto che difatti se la faceva venir dal Lago Lesina (Resina ut ab eis faciat ascaperiam). Nel marzo del 1240 in vista del Colloquium generale previsto a Foggia, chiese al cuoco Berardo di preparare askipeciam et gelatinam usando appunto il pesce che proveniva da quel lago.
Alcuni studiosi affermano invece il termine deriva dall’arabo As-sikbāj che designava una preparazione molto apprezzata di quella cucina che seguiva una procedura abbastanza simile alla scapece, ma solitamente utilizzata per le carni bollite e che sarebbe pervenuta a noi attraverso lo spagnolo escabeche. nella gastronomia iberica, infatti, figurano molte preparazioni di escabeche: Patatas en escabeche con tenca (tinca) a la cacerena (alla maniera di Caceres), Escabeche de berenjenas (melanzane) con hinojo (finocchio), Perdices (pernici) escabechadas.
Può considerarsi una sorta di scapece il siviero di Ippolito Cavalcanti (Capetone in siviero, Puorco sarvateco (cinghiale) ‘nseviero).
Altri percorsi etimologici ci indirizzano invece al francese aspic una pietanza in gelatina ormai celebre portata della cucina internazionale. In questo caso va fatta un’osservazione chimica che ci puo’ aiutare a comprendere l’analogia filologica, e cioe’ che in assenza di grassi aggiunti, la cartilagine del pesce una volta disciolta nell’acqua per effetto dell’aceto si solidifica trasformandosi così in gelatina che del resto era all’epoca considerata un “trattamento” per la conservazione degli alimenti, ed esiste una preparazione simile nella cucina ebraica di tradizione askenazita che si chiama “gefillte fisch” . Fonte:guide.supereva.it

*Nell'antica Roma la taberna (al plurale tabernae) era una sorta di ristorante o trattoria, tipicamente dotata di una sola stanza con volta a botte. La taberna nacque inizialmente come deposito ed era, in genere, la bottega degli artigiani, aperta verso la strada; si passò poi alle tabernae vinarie e a quelle che si specializzarono nella consumazione del vino e del pasto.Le tabernae avevano un bancone di pietra, con cinque o sei contenitori murati, rivolti verso la strada; accanto al banco vi era un fornello con una casseruola piena di acqua calda; nel retro c'erano la cucina e le sale per la consumazione. Avevano una finestra in alto che dava luce al soffitto in legno del deposito ed un grande vano di apertura sulla strada. Un famoso esempio si trova nei mercati di Traiano, costruiti da Apollodoro  di Damasco.Secondo la "Cambridge Ancient History", la taberna era un'unità per la vendita al dettaglio all'interno dell' Impero Romano, in più era il luogo dove venivano offerte numerose attività commerciali e terziarie, comprese la vendita di cibi cotti, vino e pane. Fonte: Wikipedia

La taverna nel Medioevo è un luogo di ritrovo per bere, mangiare, incontrarsi, giocare.
La documentazione principale sulla presenza della Taverna nella vita sociale del Tardo Medioevo ci è fornita dagli Statuti delle città. Le Taverne erano ubicate sia nei centri urbani che nei piccoli borghi nelle campagne, ma soprattutto nei luoghi di mercato, lungo i fiumi in prossimità di ponti e traghetti e le strade, nei porti; tutti posti nei quali vi era molta gente di passaggio o stanziale. Erano sorvegliate dalle autorità. La Taverna medievale era caratterizzata da un’insegna e da dei lunghi sporgenti pali per la birra che però spesso recavano fastidio alla circolazione, e a Londra nel 1375 vi fu un provvedimento che ne limitava a 7 piedi la misura massima di sporgenza dalla facciata. Lo statuto della città di Verona del 1327 ci trasmette la possibile esistenza di un cortivum o di un porticus: ne è facile dedurre che durante la buona stagione i vini, la birra e l’idromele venivano consumati all’esterno in quello che è altrove definito “circuito della taverna”. Fonte: lamescaligere.it

Cucuzielle a la scapece (leggi)

***


Codex Buranus:: L'imperatore Federico II

I Carmina Burana

sono testi poetici contenuti in un importante manoscritto del XIII secolo, il Codex Latinus Monacensis o Codex Buranus, proveniente dal convento di Benediktbeuern (l'antica Bura Sancti Benedicti fondata attorno al 740 da San Bonifacio nei pressi di Bad Tölz in Baviera) e attualmente custodito nella Biblioteca Nazionale di Monaco di Baviera..

 Il testo in Latino è quello di “In taberna quando sumus”, il carme 196 dei “Carmina Burana

In taberna                                                                                                                    All'osteria


Carmina Burana: "In taberna quando sumus" 196
Testo ©2001 Saltatio Mortis
Traduzione ©2008 Daniele Benedetti

  In taberna quando sumus
Non curamus quid sit humus
Sed ad ludum properamus
Cui semper insudamus
Quid agatur in taberna
Ubi nummus est pincerna
Hoc est opus ut queratur
Si quid loquar, audiatur
Quidam ludunt, quidam bibunt
Quidam indiscrete vivunt
Sed in ludo qui morantur
Ex his quidam denudantur
Quidam ibi vestiuntur
Quidam saccis induuntur
Ibi nullus timet mortem
Sed pro Baccho mittunt sortem:
Hier ein Spiel, ein Trunk daneben
Dort ein wahres Heidenleben
Wo des Spieles wird gepflogen
Sieht sich mancher ausgezogen
Klopft ein anderer stolz die Tasche
Liegt der Dritt in Sack und Asche
Wer wird um den Tod sich scheren?
Losung ist: Zu Bacchus Ehren!   Quando siamo all'osteria
Non ci curiamo più del mondo
Ma ci affrettiamo al gioco
Al quale sempre ci accaniamo
Che si faccia all'osteria
Dove il soldo fa da coppiere
Questa è cosa da chiedere
Si dia ascolto a ciò che dico
C'è chi gioca, c'è chi beve
C'è chi vive senza decenza
Ma tra coloro che attendono al gioco
C'è chi viene denudato
Chi al contrario si riveste
Chi di sacchi si ricopre
Qui nessuno teme la morte
Ma per Bacco tentano la sorte:
Qui un gioco, insieme a una bevuta
Là una vera vita da miscredente
Dove c'è l'abitudine del gioco
Si vedono alcuni che si spogliano
Un altro batte orgogliosamente la tasca
Il terzo giace tra sacchi e cenere
Chi si curerà della morte?
La parola d'ordine è: onore a Bacco

 Fonte: metalgermania.it/


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