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Scenari energetici nel nuovo “green” MENA

Creato il 24 gennaio 2014 da Bloglobal @bloglobal_opi

mena-energia

di Arianna Barilaro

Lo scorso Ottobre a Daegu (Corea del Sud) si è tenuta la 22esima edizione del World Energy Congress, l’importante appuntamento triennale del World Energy Council (WEC), il principale e maggior influente network indipendente di leader e professionisti di settore, impegnati nella promozione e diffusione di un sistema energetico sostenibile, efficiente e stabile. Nel piano di studi che il World Energy Congress ha attuato, con un margine di previsione fino al 2035, si è evidenziato lo spostamento della domanda energetica verso i Paesi non OCSE, sottolineando come il Medio Oriente assuma un ruolo centrale nella domanda di gas naturale e di petrolio (rispettivamente, secondo e terzo consumatore al mondo).

La posizione che il Medio Oriente ricopre nelle future prospettive energetiche mondiali risulta essere di spicco anche nella diffusione dell’energie rinnovabili nell’area MENA: non è un caso che la delegazione degli Emirati Arabi Uniti abbia candidato il Paese per ospitare il World Energy Congress del 2019.

L’approccio degli EAU verso i nuovi settori energetici risulta essere proattivo all’interno e all’esterno del Paese, con un’ingente quantità di capitali investiti: l’impegno del piccolo emirato nei confronti di un moderno sistema energetico si rileva sia dalla sua volontà di diversificazione nell’approvvigionamento – circa 2500 MW deriveranno da fonti rinnovabili e 5,4 MW saranno ottenuti dal programma pacifico per l’energia nucleare – sia dagli investimenti programmati per ridurre il deficit energetico, con progetti di resa e con lo sviluppo di programmi di assistenza ai Paesi in Via di Sviluppo per implementare piani energetici moderni atti a ridurre di circa il 30% il consumo nazionale entro il 2030, portando così in rete oltre 1000 MW di energia solare. Infatti, entro il 2020 il governo si é impegnato a produrre il 7% della sua energia da fonti rinnovabili, nell’adempimento dei diktat dell’Abu Dhabi Economic Vision 2030 attuato principalmente attraverso le iniziative della Masdar, il colosso energetico degli Emirati. Entro il 2014 dovrebbe sorgere Masdar City, la prima città al mondo a zero emissioni di carbonio, completamente alimentata da tecnologie pulite, come solare, eolico e geotermico, con edifici verdi e trasposrti pubblici ecosostenibili, dove sorgeranno soprattutto uffici di aziende della green economy locale ed internazionale. Inoltre, l’area di Sir Bani Yas Island, sulla costa occidentake di Abu Dhabi, é destinata ad ospitare il più grande parco eolico a terra del Medio Oriente. E’ importante ricordare che proprio ad Abu Dhabi ha il suo head quarter l’Agenzia Internazionale dell’Energia Rinnovabile (IRENA), importante organizzazione intergovernativa, l’unica con sede in Medio Oriente, che raccoglie l’adesione di 118 Stati membri e più di 40 richieste formali di adesione; la città ha inoltre ospitato il World Future Energy Summit (20-22 gennaio 2014), la più grande conferenza internazionale mai organizzata sulle green technologies.

A nutrire interesse nei confronti delle fonti energetiche alternative è anche l’altra grande petro-monarchia dell’area, l’Arabia Saudita, la quale ha avviato il progetto più importante per dimensione ed investimenti dell’intera penisola arabica: Riyadh, varando nel 2010 un apposito programma denominato King Abdullah City for Atomic and Renewable Energy, si é prefissata l’ambizioso obiettivo di sviluppare 54.1 GW (l’equivalente di cinquanta centrali atomiche) di impianti rinnovabili entro il 2030, di cui 41 GW grazie allo sfruttamento dell’ energia solare in particolare, 16 GW garantiti dalla tradizionale tecnologia del fotovoltaico e ben 25 GW dal solare termodinamico. I GW restanti saranno assicurati grazie a eolico e geotermico. Le posizioni ufficiali del Regno saudita rispetto alla nuova strategia energetica, si sostanziano nella volontà del Paese di preservare il più a lungo possibile le riserve interne e non nel timore dell’esaurimento delle stesse: infatti, la domanda di energia elettrica interna dovrebbe triplicare nei prossimi 20 anni e per tale ragione si vuole realizzare una transizione verso un mix energetico equilibrato, rafforzando la capacità dell’Arabia Saudita di soddisfare la futura domanda internazionale di petrolio. Le rinnovabili dovrebbero ricoprire entro il 2030, almeno un terzo del fabbisogno energetico locale, rispetto all’attuale 1%: se la monarchia saudita non riuscisse ad attuare l’ambiziosa strategia energetica, é destinata nel 2030 a bruciare 850 milioni di barili l’anno, ben il 30% della sua produzione, sottraendoli cosi all’esportazione ed indebolendo il suo ruolo e peso a livello internazionale. Per sviluppare il piano energetico e i connessi progetti, sono previsti investimenti per oltre 100 miliardi di dollari: le prime gare d’appalto sono state lanciate a metà del 2013, per la costruzione di 1100 MW di fotovoltaico e di 900 MW di solare termico.

Oltre ai due grandi colossi energetici degli Emirati e dell’Arabia Saudita, anche la Giordania e il Marocco sono due Paesi particolarmente impegnati nello sviluppo del settore delle rinnovabili all’interno dei loro piani energetici. Con l’aiuto di investimenti esteri (Consiglio di Cooperazione del Golfo ed Unione Europea), le due monarchie hanno avviato, con relative riforme legislative e regolamentari, piani strategici per lo sviluppo delle energie rinnovabili.

La Giordania importa ben il 96% del suo fabbisogno energetico, e la crescita demografica, dovuta principalmente all’enorme afflusso di profughi siriani negli ultimi due anni, incrementa i bisogni energetici del Regno e il conseguente aumento di spesa a carico del Governo. L’emergenza “energetica” nelle voci del bilancio statale giordano dell’ultimo trienno ha però radici profonde, risalenti al 2007 e all’impennata mondiale dei prezzi di importazione petrolifera: benchè la Giordania goda di agevolazioni sul prezzo concesse dalla vicina Arabia Saudita, ciò non ha evitato che il bilancio del Regno ne risentisse profondamente, costringendo il Governo ad avviare nel 2007 la riforma del proprio Piano Energetico. Il nuovo Energy Strategy Plan mira ad una diversa distribuzione del mix energetico, ponendosi come principale obiettivo quello della sempre minore dipendenza da importazioni di petrolio e gas naturale a favore dell’utilizzo delle rinnovabili, del petrolio di scisto e del nucleare. Il piano strategico messo a punto per le rinnovabili prevede che il contributo delle energie non convenzionali nel mix energetico giordano passi dall’1% del 2007 al 7% entro il 2015 e al 10% entro il 2020: la generazione di energia elettrica da fonti rinnovabili sarà composta da 600–1000 MW  proveniente dall’energia eolica,  300–600 MW dall’energia solare e 30–50 MW dalla combustione di rifiuti.

A partire dal 2008 il governo giordano, attraverso la partnership con aziende leaders del settore privato, ha creato l’iniziativa EDAMA, supportata da USAID, al fine di sviluppare soluzioni innovative per guidare lo sviluppo nella ricerca, per la creazione di imprese e fondi di investimento in grado di rendere la Giordania leader nel settore delle rinnovabili in Medio Oriente. Il Master Plan del regno hascemita ha previsto anche la riforma legislativa in materia e nell’Aprile 2012 é stata adottata la Renewable Energy and Energy Efficiency Law (REEL), un corpus di nome finalizzato alla regolamentazione della Commissione Nazionale competente nella gestione ed attuazione del piano strategico, nella scelta degli investitori privati nazionali ed esteri e delle relative modalità di gare pubbliche per l’assegnazione dei progetti. Attualmente sono in corso di esecuzione ben 10 progetti, di cui 7 alimentati ad energia solare e 3 ad energia eolica. Questa strategia globale per il settore richiede un investimento stimato tra i quattordici e i diciotto miliardi di dollari per il periodo 2007-2020.

Il Marocco, invece, sebbene non sia stato toccato dalle rivolte, per sopperire alla totale dipendenza dagli idrocarburi importati – circa il 95% del fabbisogno energetico nazionale – e per ridurre la sua domanda interna di elettricità, ha investito ingenti risorse in progetti di energia rinnovabile, soprattutto nell’eolico e nel solare, come dimostrano i progetti nelle città di Salè e Ouarzazate. Il governo in questi anni ha infatti stornato numerosi finanziamenti per implementare la realizzazione del piano nazionale marocchino dell’energia, con l’ambizioso obiettivo di arrivare a coprire entro il 2020 il 42% del suo fabbisogno attraverso le rinnovabili. Una menzione a parte merita, infine, Desertec – piano nel quale il Marocco è fortemente coinvolto con numerosi impianti solari ed eolici – che entro il 2050 dovrebbe soddisfare circa il 15-20% del fabbisogno europeo di energia elettrica e una porzione significativa della domanda di elettricità locale: il programma, però, ha subito un forte rallentamento a causa sia delle turbolenze politiche dell’area, sia della lievitazione dei costi di realizzazione, la quale ha portato all’abbandono dal consorzio da parte di Siemens e Bosch, due tra i principali finanziatori, e poi della Spagna, che a fine 2012 – per ragioni tecniche ed economiche – ha rinviato la firma del protocollo attuativo. Ulteriori colpi al sogno Desertec sono giunti dall’UE, che ha tagliato il budget previsto per il finanziamento delle infrastrutture di rete, e, infine, dalla Fondazione Desertec (l’anima civile del progetto) cha ha abbandonato il consorzio DII (Desertec Industrial Initiative), che raggruppa diverse società industriali, tra cui E.ON, Rwe, Deutsche Bank, Saint Gobain e le italiane Enel e Terna.

Come sempre, il potere politico dell’ energia sarà destinato a svolgere un ruolo chiave negli sviluppi economici, sociali e politici dell’area MENA.

*Arianna Barilaro è Dottoressa in Giurisprudenza (Università La Sapienza – Roma)

Photo credits: Masdar/Clement Tardiff

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