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Scheda di Paolo Ferrario sul libro: Massimo L. Salvadori, ITALIA DIVISA, La conoscenza tormentata di una nazione, Donzelli editore, 2007

Creato il 30 agosto 2014 da Paolo Ferrario @PFerrario

Questo libro è diviso in due parti. La prima prende in considerazione il tema della “coscienza divisa” della nostra nazione (i cui studi fondamentali restano quelli di Carlo Tullio Altan); la seconda parte è centrata sui percorsi di intellettuali italiani che hanno tentato in modo diverso di creare una identità condivisa: Salvemini, Einaudi, Dorso, Bobbio, Galante Garrone, Abbagnano e Fenoglio. Il punto di partenza è questa affermazione:

“Il raggiungimento dell’unità nel 1860-61 è rimasta prevalentemente istituzionale e burocratica e non è mai riuscita a dar luogo a quel “desiderio di vivere insieme ” che Renan aveva indicato come caratteristica sostanziale di una nazione, per cui le singole parti si sentono legate, al di là di tutte le differenze, da un unico destino sulla base del condiviso “possesso di una ricca eredità di ricordi” e della “volontà di continuare a far vivere l’eredità ricevuta indivisa”

Un capitolo di grande interesse è quello dedicato alla “dialettica amico-nemico” nella storia italiana. Il riferimento delle successive argomentazioni di Salvadori è la tesi di Carl Schmitt sul “concetto di politico”. In tale paradigma è centrale la tesi che “la specifica distinzione politica alla quale è possibile ricondurre le azioni e i motivi politici, è la distinzione di amico (Freund) e nemico (Feind). (p. 3) “

Da tale distinzione, ritenuta da Schmitt strutturale, discendono tutte le altre contrapposizioni:

- buono e cattivo per la morale

- bello e brutto per l’estetica

- il nemico politico è semplicemente l’altro, lo straniero (der Fremde).

- il nemico è trattato come cattivo e brutto

Salvadori prende spunto dallo stimolo di Schmitt, senza accogliere la sua idea che la dialettica amico-nemico costituisca il fondamento della politica tout court. Per Salvadori:

“il contrasto tra amico e nemico può cessare solo se, quando e dove si dia un consenso generale o quanto meno prevalente ai criteri da porre alla base del vivere comune, così che non abbia motivo di esistere il nemico: colui con cui non si può sedere alla stessa tavola e non si possono accettare compromessi (p. 4)”

Gli esempi storici che vengono ricordati sono i seguenti:

- il concetto di “barbaro”nella storia della Grecia e della Roma antica

- il concetto di ortodossia e di eresia (e la lotta per la vera fede che si nutre dell’odio per le false fedi) nello sviluppo del Cristianesimo

- la Riforma e la Controriforma alla fine del Medioevo e nei decenni della nascita dell’età moderna. Da questo contrasto sono derivate selvagge e crudeli guerre civili e religiose

- il tendenziale fallimento degli ideali dell’Illuminismo quando sono andati incontro al neocesarismo napoleonico e alla Restaurazione. “In quest’epoca più che mai il nemico interno fu visto insieme come amico e strumento del nemico esterno … sorse allora la concezione di una politica caricata della missione salvifica di rigenerare essa, l’umanità … lo scopo di rovesciare un mondo e di farne prevalere un altro non poteva che dare alla dialettica amico-nemico il carattere di uno scontro totale fra le parti in lotta (p. 7)”.

- con la Rivoluzione francese cominciano le successive grandi coppie dell’antitesi amico-nemico: giacobini e antigiacobini; fautori dell Restaurazione monarchica e suoi oppositori; socialisti e comunisti rivoluzionari contro coloro che intendono sbarrare loro il passo; clericali e anticlericali; fascisti e antifascisti; nazionalisti e antinazionalisti; democratici e antidemocratici; oggi fondamentalisti islamici e loro oppositori.

Un punto chiave della argomentazione di Salvadori è il seguente:

“la dialettica amico-nemico poggia su un presupposto permanente: che le parti in conflitto non si riconoscano l’un l’altra e agiscano in vista dell’esclusione reciproca, essendo animate da uno spirito di incompatibilità” (p. 7).

E’ nel Novecento che la dialettica amico-nemico raggiunge il suo apice nei regimi totalitari:

“il totalitarismo rappresenta un progetto che ha come presupposti prima la disgregazione di un ordine e poi la costituzione di un altro ordine avente quale scopo ultimo l’integrazione politica autoritaria – passando attraverso l’eliminazione del nemico – dell’intero corpo sociale (p. 8)”.

Nella storia dell’Italia unitaria la dialettica amico-nemico è stata costantemente presente:

- lo Stato liberale nasce sulla base di profonde lacerazioni. Nel periodo della Destra lo Stato dovette fare i conti con tre opposizioni: quella cattolica che accusava lo Stato liberale di essere un usurpatore che aveva distrutto la chiesa; quella repubblicana intransigente che respingeva il processo statuale in atto; l’opposizione reazionario-plebea del Mezzogiorno, che promosse una ribellione armata di grandi dimensioni contro lo Stato sabaudo piemontese

- le successive fratture politiche e culturali: la repressione dell’esercito del Mezzogiorno; i moti anarchici; i fasci siciliani; gli eventi sanguinosi di Milano del 1898;l lo sciopero generale del 1904; gli scontri causati dalla guerra libica; la settimana rossa del 1914; l’acuto conflitto tra socialisti neutralisti e interventisti del 1915; i disordini di Torino del 1917; il biennio rosso e il biennio nero.

Ricorda Salvadori che:

” l’unico consistente progetto di integrazione messo in atto durante la vita dello Stato liberale, quello tentato da Giolitti prima del conflitto mondiale, si era rivelato debole giungendo ad infrangersi allorchè la grande guerra aprì il vaso di Pandora degli incomponibili contrasti nazionali che tra il 1919 e il 1922 avrebbero fatto divampare in maniera ampia e violenta la dialettica amico-nemico (p. 12)”

La dittatura fascista italiana tentò di identificare se stessa con l’idea di un’unità nazionale considerata come finalità primaria da conseguire. Tuttavia questo avveniva in un quadro culturale centrato sui nemici disgregatori, gli stranieri in patria, , gli antifascisti da reprimere con la violenza di Stato. La sconfitta dell’Italia fascista della guerra mondiale, la caduta del regime e la dissoluzione dello Stato unitario riaccesero fortemente la dialettica amico-nemico, soprattutto nel 1943-45 con l’espressione più tragica della guerra civile tra i neofascisti di Salò e i partigiani:

“allora più che mai il nemico interno venne visto dalle parti opposte come bieco strumento del nemico esterno, che è dire della Germania nazista o delle potenze alleate (p. 13)”.

E’ vero che fra il 1946-47 ci fu un patto costituzionale. Ma l’unità allora raggiunta non fu capace di reggere il confronto con il sorgere della guerra fredda a  livello internazionale. Aggiunge Salvadori:

“la Resistenza stessa aveva avuto il carattere di un’unità più “contro che per”. La lotta contro il nemico comune era stata infatti profondamente venata da acute divergenze tra comunisti, socialisti, azionisti, democristiani e liberali circa il futuro politico e sociale dell’Italia (p. 13)”.

Il referendum istituzionale del 1946 mostrò un’Italia spaccata in due. La fine dei governi antifascisti del 1947 e le elezioni del 1948 mostrarono i segni della fragilità della ritrovata unità e la debolezza nella costruzione di una democrazia condivisa.

Purtroppo anche lo Stato democratico sorse minato da profondi contrasti civili e politici. Lo schema del nemico, interno ed esterno, fu il protagonista dello scontro ideologico e politico:

- da un lato i socialcomunisti, “servi dell’Unione Sovietica, nemici della patria, negatori della religione e nemici della chiesa”

- dall’altro i democristiani e i loro alleati “nemici del progresso sociale, amici dei padroni, manutengoli dei capitalisti americani”

Scrive Salvadori:

“credo che sia proprio parlare di una guerra civile, ideologica e politica, la quale ebbe tra le sue principali conseguenze quella di delegittimare l’avvento al governo delle forze di opposizione e di portare alla formazione di coalizioni di governo basate su partiti di alleanza anti-socialcomunista (p. 14)”


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