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Scrittori maledetti e il male di vivere

Creato il 17 giugno 2010 da Sulromanzo
Scrittori maledetti e il male di vivere
Di Daniela Nardi
Scrittori maledetti di ieri e di oggi
È sempre molto difficile affrontare l’argomento quanto mai delicato dei maudit gli scrittori maledetti, così come Paul Verlaine appellava i suoi amici artisti che conducevano una vita  al di fuori delle regole. Difficile perché in un’epoca in cui massificazione e omologazione tendono a risucchiare tutto nei vortici dello schematismo, si rischia di far scivolare nell’ordinario della classificazione pensieri e idee che, trascendendo le gabbie ideologiche nelle quali è rinchiusa l’essenza umana, tentano di liberarla.Questo genere di letteratura quindi attraversa varie fasi dell’esperienza umana compiendo inesauribili ed estenuanti giri a vuoto,  passando dal Parnassianesimo al Nichilismo, al Surrealismo, alle avanguardie, senza riuscire tuttavia a trovare collocazione, piegata su se stessa eppure disperatamente protesa verso la vita, l’estrema conoscenza dell’animo umano. Le conseguenze di questa continua ricerca della “verità” intesa come autodeterminazione del proprio essere in una realtà trasfigurante, sono spesso devastanti.Rimbaud, Mallarmé, lo stesso Verlaine hanno guardato il fondo del sentire umano restando lì a fissarlo senza più riuscire a distogliere lo sguardo.Rimbaud parlava di veggenza: Io dico che bisogna esser veggente, farsi veggente. Il Poeta si fa veggente attraverso una lunga, immensa e ragionata sregolatezza di tutti i sensi.” (A. Rimbaud, dalla Lettera del Veggente).Dino Campana concepiva l’animo umano come "la notte dell'uomo di ogni tempo perso in mezzo alle allucinanti apparizioni del sesso e della paura".e Mallarmé a proposito della poesia: “…scavando il verso a tal segno, ho incontrato due abissi che mi fanno disperare. Uno è il nulla, al quale sono pervenuto senza conoscere il Buddismo e sono ancora troppo desolato per poter credere neppure alla mia poesia e per rimettermi al lavoro...”(Lettera a Cazalis, 1866)
Nichilismo dunque, Decadentismo. Forse qualcosa di più. Ciò che caratterizza gli Scrittori Maledetti è proprio il rifiuto di essere incasellati in un genere, accostati a un movimento che costringa la loro produzione negli stretti ambiti di quel pensiero.È soprattutto inadeguatezza nei confronti di una società protesa all’omologazione, adagiata su un conformismo ipocrita che esalta l’apparenza e che vede come estranea e nemica qualunque forma di diversità, che viene così ghettizzata, sottaciuta, segregata nel silenzio.Non è un caso che questi autori facciano parte di un’umanità negata e che le loro vite appaiano così trasgressive e sconvolgenti; in realtà il loro essere fa parte di noi, nascosto tra le pieghe di un perbenismo superficiale pronto a scandalizzarsi ma anche ad essere irresistibilmente attratto dalla voce fuori dal coro. Lo scrittore maudit supera i limiti temporali e filosofici, restituendo al lettore qualcosa di sé, costringendolo a osservare con lui il fondo, accompagnandolo in un viaggio doloroso, utilizzando la parola come un’arma agghiacciante, spesso cinica, violenta, con uso d’iperboli, ellissi, espressioni gergali forti.Difficile restare indifferenti di fronte ad opere di crudo cinismo e brutale ineluttabilità come Viaggio al termine della notte  di Céline (che pure è stato oggetto di critiche per il suo passato collaborazionista e le sue idee razziste espresse nel pamphlet l’école des cadavres) o Post Office e Storie di ordinaria follia di Bukowski o non restare sconcertati di fronte al geniale, evocativo teatro di Antonin Artaud che a proposito del suo modo di concepirlo sosteneva che “se il segno dell'epoca è la confusione, io vedo alla base di tale confusione una rottura tra le cose e le parole, le idee, i segni che le rappresentano... Il teatro, che non risiede in niente di specifico, ma si serve di tutti i linguaggi (gesti, suoni, parole, fuoco, grida) si ritrova esattamente al punto in cui lo spirito ha bisogno di un linguaggio per manifestarsi “ (A.Artaud Prefazione a Il teatro e il suo doppio).Camus tenta di spiegare quanto sia assurda la cieca e caparbia ricerca di un senso della vita, ne La peste e Lo straniero, adattando la forma al momento, distaccata e quasi indifferente, oppure coinvolgente e dolorosamente disincantata.Tutti hanno contribuito, in un modo o nell’altro alla creazione di nuovi linguaggi, cercando di esprimere al meglio l’inesprimibile, la profonda e densa sostanza di cui è fatto l’animo umano.A tutti questo viaggio è costato carissimo.Spesso la follia, l’autolesionismo nell’abuso di alcool e droghe, la segregazione morale dell’incomprensione e della critica, la morte nella solitudine e nell’oblio.Cos’è rimasto di loro nei moderni maudit? Purtroppo ben poco.Se i grandi autori del passato hanno cercato disperatamente di restare fuori dal gioco perverso del consumismo e della massificazione, gli scrittori maledetti di ultima generazione hanno dimostrato di conoscerne fin troppo bene i meccanismi e di saperli maneggiare con disinvoltura.È il caso di Bret Easton Ellis che con il suo Lunar Park ha saputo abilmente mescolare finta letteratura e esigenze di mercato pubblicando su Internet un sito fasullo sulla sua pseudo-autobiografia, che dovrebbe essere il contenuto principale del romanzo. Con scene da macelleria, che hanno caratterizzato anche il romanzo che lo ha lanciato American Psyco,  può essere ritenuto erede di Stephen King, non certo maudit.Stesso discorso per Houellebecq. Il suo ultimo romanzo La possibilità di un’isola , tocca il fondo di un nichilismo di maniera, cercando di sorprendere il lettore con tesi oltranziste da Santa Inquisizione.In entrambi i casi siamo lontani anni luce dal malessere profondo che giustifica l’essere fuori dagli schemi. Anzi. Il non allinearsi di questi scrittori è il frutto malriuscito di ciò che offre una modernità incapace di esprimersi altrimenti se non attraverso “effetti speciali” conditi di violenza e sesso gratuito. Se è questo il risultato per essere al di sopra della media e farsi definire “maledetti”condivido in pieno l’ironia di Bukowski  che parlando degli scrittori sosteneva: “Tutti gli scrittori sono dei poveri idioti. È per questo che scrivono”.

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