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Scrivere per l’immortalità: guida semiseria al successo letterario

Creato il 27 aprile 2015 da Scrid
Posted on 27 aprile 2015 by in Autori | Leave a comment

HJ Jackson, professoressa di inglese presso l’Università di Toronto, ha scritto un libro sulle ingiustizie del successo. Si chiama “Those Who Write for Immortality: Romantic Reputations and the Dream of Lasting Fame”, è una riflessione sottilmente umoristica sulle circostanze specifiche che consentono alla fama letteraria di prosperare nel lungo termine. Jackson non nega l’eccellenza di poeti come Wordsworth, o quella dei romanzi di Jane Austen, ma mostra in modo convincente che un certo numero di altri fattori, alcuni dei quali piuttosto bizzarri, influirono sulla loro reputazione.

Prendete William Wordsworth, in molti supposero che poesie come “L’escursione” gli avrebbero assicurato la fama, poiché ai suoi contemporanei piaceva leggere lunghi poemi filosofici. Più tardi, però, quando i gusti cambiarono, furono le poesie più brevi in “Lyrical Ballads”, che gli evitarono la perdita dei lettori. E’ stato un colpo di fortuna che gli ha permesso invece di guadagnare nuove generazioni di fan. Inoltre, per le tante immagini vivide sulla natura, presto è stato collegato con il Lake District, di conseguenza, per centinaia di anni, guide turistiche, scrittori di viaggio e altre persone interessate alla causa del Lake District, lo hanno tenuto in ampia circolazione.

Quindi, scrive la Jackson, una carriera letteraria di lungo termine dipende dalla “reinterpretazione regolare” e affinché questa avvenga, la scrittura deve essere ricca e multi-dimensionale. Ciò non significa, però, che non influiscano anche altri fattori.

Dagli esempi di Wordsworth e pochi altri scrittori – Austen, Keats e i loro contemporanei quasi dimenticati, Mary Brunton e Barry Cornwall – Jackson trae una lista di caratteristiche che contribuiscono ad accrescere la fama letteraria.

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Il primo passo, naturalmente, è quello di essere uno scrittore di talento, anche se non c’è bisogno di essere trascendentali. Una volta sulla buona strada, aiuta andare d’accordo con la propria famiglia, in quanto, dopo la morte, sarà un lontano nipote ad assemblare le vostre raccolte di scritti.

E’ una buona idea anche lasciare qualcosa artatamente incompiuto o inedito – lettere, un diario, parte di un romanzo – in modo che i discendenti possano, pubblicandoli, rinnovare l’interesse in voi.
La fama letteraria, Jackson scrive, non è un processo disincarnato, è creato da persone che, a volte senza saperlo, collaborano attraverso il tempo ad una vasta impresa. Descrivendo queste persone, lei spera di fornire un’alternativa al solito modo di parlare di fama, con le sue metafore circa l’immortalità e l’aldilà.

Eppure, per quanto sia possibile demistificare i processi che stanno dietro la fama letteraria, la stessa professoressa deve ammettere che l’atto della lettura rimane un po’ mistico: “Se le opere continuano ad essere lette, non importa quanto meritorie, continuano a lasciare un segno nei loro lettori… C’è una ragione, insomma, se siamo attratti dall’idea della letteratura immortale”.

Perciò, trovatevi un santuario, un posto abbastanza carino in cui vivere (o morire) – spiega – e morite giovani; tutti questi eventi contribuiscono a creare un’avvincente mito personale, che vale almeno un centinaio di recensioni positive.

Se, alla fine, la vostra vita non segue questo modello, se l’immortalità è ancora troppo lontana dalla vostra quotidianità di scrittori, in cui è già abbastanza sopravvivere un’altra settimana mettendo una frase dopo l’altra, non tormentatevi troppo. Meglio riconoscere, con Marco Aurelio, che la ricerca della fama è “totalmente vanità.”

FONTE: The New Yorker


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