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Se 5 secoli vi sembran pochi

Creato il 12 agosto 2010 da Zfrantziscu
Con rude schiettezza, l'architetto Franco Laner, scrive che meglio sarebbe, a proposito di Monti Prama, confessare di non saperne nulla piuttosto che datare le statue (o telamoni, a sua idea) in un tempo che varia fra l'XI e il VI secolo avanti Cristo. È, fatte tutte le tare che volete, come essere incerti se Leonardo Alagon fu assolto dalle Cortes di Aragona nel 1518 o nel 2010 dalla Corte d'appello di Cagliari. Conosco le obiezioni al paradosso: del processo alle Cortes c'è traccia scritta, di Monti Prama no.
Certo non ci sono verbali, ma siamo proprio convinti che la vicenda delle statue non sia in qualche modo scritta? Chi ci legge la data del VI secolo e quanti quella del VII secolo, lo fanno perché sanno leggere e interpretare quella particolare scrittura lasciata sulle pietre dalle stratigrafia; altrettanto sanno leggere coloro che, invece, le datano del X-XI secolo. Ma mentre dei primi ci sono saggi e pubblicazioni, dei secondi esiste una sintetica informazione nel sito montiprama.it (“...un’altra [ipotesi] che si spinge fino alla fine del primo millennio a.C.”) e qualche indiscrezione lasciata andare a qualche giornalista.
C'è poi un'altra datazione più antica non legata alle statue ma di cose lì trovate. È quella che Gigi Sanna fa delle tavolette di Tzricotu, dal nome del nuraghe nei pressi di Monti Prama, dintorni che non sono stati scavati e ai quali scavi si pensa di procedere in un futuro indefinito. Su tutto aleggia una confidenza, fatta a Leo Melis e da lui riportata su questo blog, secondo la quale ci sarebbero “colleghi terrorizzati” da una datazione alta. Una datazione, come si può comprendere, non è uguale ad un'altra; non è indifferente alla conoscenza della storia del Mediterraneo (e alla sua possibile conferma o riscrittura) datare le statue al VII-VI secolo o all'XI-X secolo.
Quattro o cinquecento anni di differenza non aggiungono né tolgono qualcosa alla grandiosità del tempio che ospitò le statue o i telamoni, la differenza sta nel considerare chi ispirò chi e nel sapere se i nuragici furono importatori, comprimari o anche esportatori. Il professor Marco Rendeli smentisce di aver mai detto che furono artigiani assiri a costruire le statue, come Mauro Peppino Zedda asserisce di aver sentito. Di entrambi non è lecito mettere in discussione la buona fede, ma le cose non tornano. E invece tutti vorremmo che tornassero.
Altrimenti quella rude schiettezza dell'amico Franco Laner, da forte battuta rischia di trasformarsi in una sconsolata e desolante constatazione che nella archeologia sarda qualcosa di grave sta capitando.

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