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Se Euromaidan aleggia sul triangolo Bruxelles-Minsk-Mosca

Creato il 18 febbraio 2016 da Alessandroronga @alexronga

Alexander_Lukashenko_2014Com’era prevedibile, i ministri degli Esteri dell’Unione Europea hanno deciso di rendere definitiva la rimozione delle sanzioni politiche ed economiche contro la Bielorussia: a fine mese terminerà il “periodo di prova” di quattro mesi durante i quali i presidente Aleksandr Lukashenko e diversi funzionari hanno visto revocati nei loro confronti gli status di persona non grata in vigore dal 2011, e salvo ripensamenti (improbabili) dell’ultim’ora, il nome del leader bielorusso verrà rimosso dalla black-list di oltre 240 nomi di alti funzionari e organizzazioni economiche, assieme a quello di altri 170 uomini d’apparato e di tre aziende. Non che Lukashenko abbia avviato chissà quali riforme democratiche per meritarsi il plauso dell’Ue: i rapporti tra governo e oppositori non è mutato più di tanto rispetto a cinque anni fa. Ciò che è mutato è invece il ruolo della Bielorussia nello scacchiere euro-orientale. Cinque anni fa non c’era ancora l’Ucraina a dividere Mosca dall’Occidente: oggi queste tensioni fanno la differenza, tanto che nel progetto euroamericano di creare un cordone sanitario intorno a Putin Minsk ora è un tassello strategico. E pazienza se il Lukashenko che ora l’Ue abbraccia è lo stesso che non più di un anno e mezzo fa era tacciato di essere “l’ultimo dittatore d’Europa”.

La crisi tra Mosca e Kiev ha fatto la fortuna della Bielorussia: non solo in campo economico, visto che l’embargo russo in risposta alle sanzioni Ue ha avvantaggiato – e parecchio – il made in Belarus, ma anche dal punto di vista politico, considerando che dall’agosto 2014 la capitale bielorussa, con la benedizione di Bruxelles, è diventata crocevia di trattative diplomatiche tra le parti in lotta. Tanto che lo stesso Lukashenko, fino ad allora soggetto ingombrante e da evitare per l’Ue, ora è un interlocutore privilegiato in ottica anti-russa, nella quale appunto rientra anche la revoca delle sanzioni a Minsk. Da cui Lukashenko ha tutto da guadagnare, almeno per ora. Già, perchè questo gioco al rialzo potrebbe rivelarsi un boomerang.

È alquanto improbabile che il presidente bielorusso decida per una sterzata verso Occidente, anche perchè la Bielorussia e il suo stesso regime non sarebbero in grado di sopravvivere una volta reciso il cordone ombelicale con Mosca. Tuttavia questa distensione inattesa con Bruxelles serve all’uomo di Minsk per ottenere maggiore supporto finanziario dalla Russia, e una volta tanto a condizioni più vantaggiose. È infatti ancora vivo in Bielorussia il ricordo di come i russi, attivando nel 2011 alcune linee di credito per salvare Lukashenko dal rischio- default, fecero un sol boccone della compagnia energetica nazionale Beltransgaz (finita sotto il controllo della Gazprom) e di altri “gioielli di famiglia”. Ora per l’orgoglioso batka sembra giunto il momento di prendersi la rivincita, ma i rischi sono in agguato. Già, perchè Lukashenko sembra essersi collocato su di una posizione molto simile a quella assunta dall’ex presidente ucraino Viktor Yanukovic poco prima di essere deposto dalla rivolta di Piazza Maidan del 2014.

Contrariamente a quanto da due anni a questa parte i media ci propinano, l’ex presidente “filorusso” ucraino era meno filorusso di quel che sembrava, dal momento che egli stesso aveva iniziato a trattare con l’Unione Europea per consentire l’accesso di Kiev all’Area di Libero scambio. Yanukovic, da pragmatico qual era, aveva ben capito che l’Ucraina aveva un peso strategico non da poco, tanto da essere conteso sia da Bruxelles che da Mosca: per questo motivo, nell’autunno 2013 si rese protagonista di uno zigzagare finalizzato a strappare l’offerta migliore. Si ricorderà che già prima di Euromaidan l’Ucraina fu a un passo dal mollare Mosca e la sua Unione Euroasiatica per passare nell’area economica europea. Fino a quando non si trovò di fronte al no definitivo dell’Ue alla richiesta di una linea di credito da 167 miliardi di euro (pari a quanto assegnato alla Polonia in dieci anni di fondi strutturali) per ammodernare l’industria del Donbass e consentire alla regione russofona di sopravvivere alla concorrenza straniera: a quel punto decise di accettare le condizioni russe per l’ingresso nell’Unione Euroasiatica ma ormai il colpo di stato a Kiev era incombente. Il resto è storia nota. E se appunto Lukashenko cammina sulla medesima via, non possiamo escludere che quel che è accaduto a Kiev due anni or sono possa riproporsi anche a Minsk.

La revoca delle sanzioni è solo il primo segnale di una nuova sfida Ue-Russia che stavolta ha appunto come obiettivo l’influenza sulla Bielorussia. Lukashenko si trova giusti nel mezzo di questo tiro alla fune. Resta da capire se è consapevole del fatto che sia l’una che l’altra parte del contendere, in base allo sviluppo degli eventi, potrebbe avere un giorno interesse a sbarazzarsi di lui. Come accaduto in Ucraina.


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