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“Se il diavolo porta il cappello” di Fabrizio Silei, Salani

Da Federicapizzi @LibriMarmellata

cappellocop“Quelli non erano più zingari, (…) erano la mia gente, bastardi come me, misconosciuti e maltrattati. Se dovevo scegliere tra i miei paesani pasciuti e maligni e quella genia di uomini liberi e perseguitati, io sceglievo gli zingari!”

Se io invece dovessi scegliere un aggettivo per il nuovo romanzo di Fabrizio Silei, edito da Salani, “Se il diavolo porta il cappello” probabilmente mi soffermerei a celebrare la sua intensità.

Intenso quindi, ma una sola parola non basta per renderne tante, vibranti e appassionate, a comporre una storia che emoziona e dà da pensare, ma che insieme coinvolge e tiene il lettore con una trama complessa e magistralmente costruita, abilmente tessuta in tutti i suoi nodi e snodi fino a quello che è indubbiamente il miglior risultato per un buon narratore: una bella storia.

Fabrizio Silei, col suo animo sensibile, sceglie ancora una volta di raccontare gli ultimi.
Che prendano le forme di un ragazzino figlio del passaggio del fronte della Liberazione, biondo come un padre americano che non ha conosciuto, e povero come una madre che per quell’amore è stata emarginata, ripudiata dalla famiglia ed etichettata come poco di buono, costretta ai lavori più umili a dispetto delle sue origini benestanti.
Oppure che si manifestino come zingari, tribù nomade e sempre odiata, perfino dai poveracci e da chi non ha nulla che possa essere rubato.
Ma, a dispettto di tutto, gente fiera, e colorata, sfaccettata oltre tutti i luoghi comuni che li vorrebbe tutti uguali, tutti sporchi, tutti ladri. E soprattutto popolo perseguitato e decimato da una storia che, poco equa anch’essa, tende a dimenticarli perfino tra le pagine del suo più doloroso capitolo.

Tra gli ultimi – come spesso accade e non c’è retorica – ci sono i buoni. Uomini e donne che contro le apparenze hanno un cuore grande e sono pronti a dividere quel poco che hanno con chi ha meno ancora. O con chi ha un sogno e una speranza da realizzare.

Dalla parte opposta, invece, ci sono i vili, che vanno a braccetto con i malvagi. Là dove viltà e malvagità portano il segno dell’avarizia, della cupidigia, della bramosia di chi non si fa scrupolo di calpestare gli altri per i propri interessi e il proprio tornaconto.
Ma anche dove la cattiveria si tinge di colori ancora più foschi e sconfina nel fanatismo, nella follia e rende l’uomo non più meritevole di questo nome ma più prossimo alle belve e ai demoni.

Ciro ha tredici anni ed è nato dall’amore rapido e divampante di sua madre per un soldato americano durante le battaglie del 1945. Un padre scomparso il giorno dopo e mai più tornato, sul perché le fantasie del ragazzo hanno un bel galoppare.

Ciro, oltre che orfano di un genitore, lo è anche di un fratello. Un gemello per l’esattezza, morto di malattia e seppellito nel corpo ma non nello spirito, che continua a vivere nel superstite, come un compagno inseparabile, più pacato, meno ribelle, più mite.

Ciro e Dario vivono in un solo ragazzino che porta il peso di troppe perdite.
E anche quello dell’emarginazione, del vituperio, della continua sassaiola gettatagli addosso da coetanei ed adulti, che lo chiamano bastardo e accusano lui e la madre di immoralità.
Solo la buona Nandina, vedova e anziana, ha il coraggio e il cuore di ospitarli in casa sua, con la gentilezza e la ruvida bonarietà di una nonna, figura anch’essa negata a Ciro perché il suo legittimo, di nonno, di loro non vuol sapere nulla, e vive solo, altero e arcigno, in una gran villa, gonfio dei suoi soldi e della sua aridità.

Il ragazzo, con un presente e un passato così pesanti, è incattivito, selvatico, irrequieto, scontroso. Voglioso di vendetta – contro chi bene non sa – si accontenta di dispetti e piccole vandalerie, che finiscono per renderlo ancora più reietto, vittima di paesani ignoranti, bigotti ed ottusi.

Fin quando un incontro nel bosco non cambierà la sua vita, gettandolo in una spirale di eventi terribili e pericolosi ma destinati, fortunatamente, ad un esito salvifico e benefico.
Sarà Salem – zingaro di etnia rom – e la sua carovana acquisita di sinti – nomadi onesti e lavoratori –, nella quale si celerà anche il miraggio dell’amore, a iniziare il suo processo di liberazione e di maturazione, di crescita e di acquisizione, dolorosa, di consapevolezza.
Rivelandosi “quanto di più vicino ad un padre il ragazzo abbia mai avuto” Salem sarà per lui guida e protezione, specchio e coscienza, portandolo anche a conoscenza di una storia drammatica e lacerante, quella dello sterminio degli zingari ad opera dei nazisti, degli esperimenti folli e aberranti del dottor Mengele (qui ribattezzato Moller) sui gemelli e della rivolta, disperata e ardita, dei prigionieri nomadi ad Aushwitz.

Anche il lettore sarà indotto, da una narrazione tesa e accorata, a commuoversi ed indignarsi insieme a Ciro, perché ci sono pagine della storia talmente scure che ogni rievocazione, fosse anche nelle pagine di un romanzo, è fonte di rinnovato dolore.

E quando il passato e il presente, per Ciro e i suoi amici, si mescoleranno in un precipitare di accadimenti che metteranno a rischio la stessa vita, non si potrà che rimanere ancorati alle pagine fino al tuffo liberatorio in un lieto fine decisamente generoso.

Un romanzo ricco, costruito con maestria tassello dopo tassello, dove piani temporali diversi, tra presente narrato, ricordi e fantasie, si intrecciano armoniosamente in una prosa elevata e ricercata, che non perde un buon livello di scorrevolezza.

Un racconto dove l’immaginazione incontra i fatti storici, li inquadra e da’ loro la giusta rilevanza, senza che questi perdano la loro forza e la loro significanza nell’irrealtà dell’invenzione letteraria.

Un libro che quindi che spinge a ricordare, che muove le emozioni, che invita a osservare gli altri da punti di vista che non siano stereotipati o forniti già pronti dal comune pregiudizio.

Procedere oltre le apparenze, maturare, domandarsi, capire, non dimenticare, accettare le sfide, riconoscere gli errori, non rinunciare al passato ma avere la forza di superarlo per cambiare il presente (la giusta evoluzione della sete di vendetta è la sete di giustizia).
Come cresce Ciro – che infine ha il coraggio di lasciare andare il fratello Dario, simbolo di un’infanzia dura da abbandonare – così si spera vada un po’ oltre il lettore, giovane o meno giovane che sia, e che una volta chiuso il libro, accanto al piacere di una bella storia, resti la sensazione di qualche tassello andato al giusto posto nel mosaico delle categorie con cui guardare al mondo.

(età consigliata: dai 13 anni)

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