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Se la polizia impara da Genova

Creato il 03 maggio 2015 da Retrò Online Magazine @retr_online

Se la polizia imparasse da Genova? E’ una domanda che molti si sono sicuramente posti dopo i tragici fatti di Luglio 2001 del G8 di Genova.

Photo credit: obbino / Source / CC BY

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Una delle peggiori pagine nere della Repubblica italiana, luogo comune di verità nascoste e dimenticanze ingiustificate, che si prenda posizione a favore o contro le forze dell’ordine. Il primo mito che dovrebbe essere sfatato è proprio questo: cari ‘protettori delle forze dell’ordine’, lo vogliamo urlare a voce alta. Lo vogliamo manifestare senza se e senza ma: siamo tutti dalla parte delle forze dell’ordine. Perché chi serve uno stato mettendo a repentaglio la propria incolumità, come successo ieri a Milano, non può essere nemico del sistema democratico. Nemmeno di chi esercita il diritto di manifestare liberamente la propria opinione in maniera onesta e pacifica. Metterne in discussione l’operato (chiaramente quando opportuno) è tuttavia un diritto. Di più. E’ dovere. Civico, morale e di recupero del senso critico, della consapevolezza di non poter tacere dinanzi alle violazioni dello stato di diritto. E’ un diritto ma anche un dovere citare Amnesty International che definì l’irruzione alla scuola Diaz «la più grave sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale». E’ un diritto ma anche un dovere non ignorare chi in quella scuola purtroppo era presente non solo fisicamente, subendo soprusi e sopraffazioni di ogni genere, ma continua a restarvi ancora oggi con la mente ripercorrendo quotidianamente l’orrore di una ingiustificata vendetta causata da quello che in realtà fu un colossale fallimento del sistema di sicurezza italiano.

Gente come Mark Covell, giornalista freelance inglese, picchiato brutalmente con la sola colpa di trovarsi nel posto sbagliato, nella scuola che cambiò per sempre negativamente la vita di 93 persone (quella stessa scuola nella quale secondo le brillanti analisi del nostro sistema di sicurezza vi era la presenza di anarco- insurrezionalisti meglio conosciuti come Black Bloc).

E’ un diritto ma anche un dovere raccontare che ancora oggi Covell non ha avuto la possibilità di citare in giudizio i responsabili del suo pestaggio ( perché non hanno ancora oggi un nome) e ha dovuto accontentarsi di un risarcimento economico, come se questo potesse bastare a cancellare le ferite psicologiche e mentali di chi in quel momento, stava semplicemente esercitando la propria professione.

Impossibile giungere a capo della verità, nonostante anni di indagini. Impossibile perché se l’omertà mette i bastoni tra le ruote, i nodi intricati appaiono ardui da sciogliere. «Vivo con la paura di incontrare uno dei poliziotti della Diaz e che le minacce di quella notte diventino realtà» aveva dichiarato circa un anno fa. Difficile dargli torto. 14 anni circa sono trascorsi da quei fatti, dalla tragica morte di Carlo Giuliani, alla vergogna della Diaz e della caserma di Bolzaneto. Le responsabilità delle forze dell’ordine non sono mai state limpidamente accertate ed in alcuni casi (la maggior parte) sono persino state premiate con riconoscimenti e promozioni professionali.

Le responsabilità della politica, invece, mai pervenute. Allora, aveva un senso chiedere le dimissioni del Ministro dell’Interno, Claudio Scajola, proprio lo stesso Scajola che avrebbe dato l’ordine di sparare se i manifestanti avessero sfondato la zona rossa. Come se un ministro potesse arbitrariamente prendere una decisione di questo genere. Lo stesso ministro del caso Biagi e di quello Matacena. Aveva un senso contestare al vicepresidente del Consiglio, Gianfranco Fini, una eccessiva campagna di solidarietà preventiva nei confronti delle forze dell’ordine ed il suo misterioso ruolo all’interno della vicenda. Ed aveva e ha invece ancora un senso ricordare, per evitare pretestuose macchie di ingiustificato revisionismo storico, che quei ragazzi presenti all’interno della scuola Diaz avevano persino cercato di scongiurare che gli stessi black bloc potessero entrare nella scuola prevedendo una sorta di sistema di sicurezza. Erano manifestanti pacifici e giornalisti, soggiornavano regolarmente per riposare e poi ripartire dopo giornate concitate e convulse. Sono improvvisamente diventati, a loro insaputa (per citare l’ex Ministro Scajola) Black Bloc e sono stati puniti in luogo dei veri responsabili, che intanto avevano messo a ferro e fuoco un’intera città, devastando l’immagine pubblica di Genova e quella mondiale dell’Italia.

Oggi, dopo i fatti No Expo di Milano, non possiamo certo negare la grande prova di dedizione e impegno delle forze dell’ordine a servizio dello Stato, grazie ad una operazione vincente ed intelligente, che ha preferito non attaccare i Black Bloc evitando guerriglie e pericolosi confronti, che avrebbero messo a repentaglio chi stava esercitando legittimamente e pacificamente i propri diritti e le proprie libertà ed il resto dei cittadini, ai quali va uno speciale plauso per il magnifico attaccamento alla propria città ed il servizio offerto (gratuitamente) nelle ultime ore.

Si è preferito non cercare lo scontro e proteggere zone delicatissime della città (si intenda Piazza Duomo e Piazza della Scala) ed evitare che potesse spargersi del sangue. E allora questa volta, con altrettanta onestà, è giusto riconoscere i benefici che l’azione quasi pacifica di ieri, ha portato all’immagine del nostro Paese e alle forze dell’ordine, capace di isolare gli estremismi e di abbandonarli alla loro perdente follia, come se distruggere macchine e vetrine potesse essere reale motivo di vittoria e di boicottaggio di una esposizione universale, che seppur criticabile, andrebbe aggredita democraticamente e con i giusti contenuti, rendendo così la protesta ben più credibile ed efficace.

E’ giusto riconoscere l’ottimo operato della coordinata operazione tra le istituzioni. E piace pensare che tutto questo possa essere anche merito di aver finalmente aperto gli occhi sugli errori di Genova, perché la sete di vendetta e di violenza è sempre sconfitta e mai vittoria. La vera battaglia è saper coltivare le radici democratiche. E’ stata data una grande risposta, persino ad altri fatti internazionali come quelli di Baltimora, lì dove teoricamente è presente la culla della democrazia. Dicevo, allora aveva un senso chiedere spiegazioni sulle falle, sui silenzi e sulle vergogne di quel Luglio 2001. Oggi, viene da chiedersi quali siano le ragioni di Lega e M5S che portano alla richiesta di dimissioni nei confronti del Ministro dell’Interno, Angelino Alfano. E viene da chiedersi quando queste continue speculazioni possano tramutarsi in valide proposte. Perché la proposta politica non può essere scambiata per qualche slogan su blog o social network. Agli slogan può pensarci qualcun altro.

Tags:angelino alfano,black bloc,forze dell'ordine,Genova G8,Lega Nord,m5s,milano expo 2015,No expo

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