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Se la vecchia Inghilterra scompare

Creato il 16 settembre 2015 da Rosebudgiornalismo @RosebudGiornali
Queen_Elizabeth_II_March_2015di Michele Marsonet. Capita agli italiani in età matura di guardarsi intorno e di sfregarsi gli occhi, col dubbio che il Paese che ora vedono sia proprio quello in cui sono nati e cresciuti. Poi, se uno allarga lo sguardo, capisce che la stessa sensazione di smarrimento lo accomuna, con ogni probabilità, ai cittadini di tante altre nazioni.

Il fatto è che, limitandosi soltanto al panorama politico, si percepiscono terremoti quasi ovunque. Prendiamo per esempio gli Stati Uniti. Chi prevedeva che un personaggio come Donald Trump avrebbe preso il largo nelle primarie repubblicane, sbaragliando – non solo nei sondaggi – concorrenti dell’establishment GOP ben più quotati di lui, sino a prefigurare una sua possibile vittoria nella corsa alla Casa Bianca?

Molti sostengono che si tratta di un’eventualità remota, e che l’elettorato USA, alla fine, premierà candidati più in linea con l’immagine tradizionale dell’America. Personalmente non ne sarei così certo, dal momento che la sua battaglia contro il “politically correct” sembra fornirgli una spinta che altri non possiedono, soprattutto dopo i due consecutivi mandati di Obama.
C’è però un caso forse ancora più eclatante, dal momento che ad essere coinvolto è, questa volta, il  Regno Unito, da sempre presente nell’immaginario collettivo come tempio della stabilità, del pragmatismo e della moderazione.

Anche qui, chi prevedeva che un radicale di sinistra come Jeremy Corbyn si sarebbe imposto come leader del Labour, e addirittura con una maggioranza del 60%? Gli analisti politici e gli esperti di sondaggi certamente no, e infatti la sorpresa è stata grande. Per capirci, Corbyn è favorevole non solo all’uscita britannica dalla UE, ma anche all’abbandono della NATO, all’abolizione della monarchia per trasformare il Regno Unito in repubblica, e allo smantellamento del deterrente nucleare inglese.

In politica estera è nettamente anti-israeliano, definisce “amici” Hamas e Hezbollah, e non considera l’Isis come un vero pericolo. Intende inoltre proibire qualunque invio di truppe britanniche al di fuori dei confini. Per quanto riguarda la politica interna vuole che elettricità e ferrovie siano di nuovo nazionalizzate, punta all’abolizione delle tasse universitarie e ritiene che la crescita economica si possa ottenere stampando moneta.

Non è certo la prima volta che la sinistra laburista conquista la maggioranza nel partito. Talvolta, anche se di rado, è riuscita a imporsi pure nelle elezioni nazionali. Mai, tuttavia, con un programma così radicale e così lontano da quello che – forse erroneamente – continuiamo a pensare sia il “sentire comune” britannico.

E altri segnali fanno capire che la più antica democrazia del mondo occidentale sta letteralmente cambiando pelle. Sadiq  Khan, musulmano e figlio di immigrati pakistani, ha vinto (lui pure con quasi il 60% dei voti) le primarie Labour per il sindaco di Londra, e sfiderà quindi il candidato Tory nelle prossime elezioni municipali.

Qualcuno potrebbe con ragione osservare che Donald Trump, Jeremy Corbyn e Sadiq Khan non possono essere accostati. Soprattutto il primo agli altri due, giacché il tycoon americano nulla ha a che fare con il marxista Corbyn e il musulmano che tenterà di strappare Londra ai conservatori.

Eppure i tre casi indicano che le categorie tradizionali non servono più (o, almeno, sono diventate assai relative) per valutare la realtà politica che ci circonda. Chi in Italia ancora si stupisce per i successi di Lega e M5S, dovrebbe riflettere sul fatto che i venti del cambiamento soffiano impetuosi anche nelle nazioni che vantano una tradizione liberaldemocratica ben più antica e solida della nostra. E nessuno sa dove i suddetti venti ci condurranno.


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