Magazine Cultura

Seconda Parte: Iron Maiden, dal sogno seventies agli incubi anni ’80

Creato il 08 dicembre 2011 da Postscriptum

Seconda Parte: Iron Maiden, dal sogno seventies agli incubi anni ’80

Mi rendo conto che molti saranno rimasti delusi dal fattaccio: i Maiden non hanno nulla di originale… pazienza, cari amici metallari! Le passioni più genuine e intelligenti si fondano sulle delusioni. Se può servire a qualcosa posso dirvi che il quarto brano in scaletta su Iron Maiden è Phanton Of The Opera [link] – ispirato da una novella di Gaston Leroux – vero e proprio capolavoro di questo album (se non forse in assoluto nella discografia dei Maiden).


Un momento di alta qualità che anche i Thin Lizzy forse hanno raggiunto di rado. È il progressive in chiave horror di cui vi dicevo all’inizio. Una suite epica con tanti rimandi agli Yes o ai Genesis di Rutherford (di cui Harris era estimatore). Il riff di introduzione è complicato, classicheggiante, magnifico! Le chitarre sono in costante attacco doppio ma Di’Anno nelle poche parti cantate riesce comunque a tenergli testa. A 2.06 c’è il primo mutamento in corsa, poi quando cambia nuovamente a 2.49 assume l’andamento ballad e così si introduce una lunga parte strumentale, fortemente influenzata da concezioni classiche wagneriane. È un ambiente colto eppure non si può far a meno di andare su e giù col capo, seguendo il ritmo incalzante di questa galoppata. Questo potrebbe essere anche il pezzo della vita per molti fruitori di musica. Da 4.36 comincia la gloriosa fase conclusiva e più che all’Opera sembra di esser catapultati nel medioevo anglosassone, tra alte torri e castelli grigi, normanni, sassoni e angli… Da un momento all’altro le Valchirie arriveranno, c’è poco da dubitarne. L’unica pecca per un brano del genere – perfetto in ogni suo microsecondo – è far parte di una storia – quella metallara – che non gli consentirà mai di arrivare dove avrebbe meritato.

Diretta conseguenza e continuazione di quest’ultimo brano è la terrificante Transylvania (link), che originariamente doveva essere cantata ma poi fortunatamente fu preferita strumentale. Il brano è una tipica cavalcata maideniana, è fa parte della mia storia personale essendo una delle prime cose che imparai a suonare sulla sei corde (siamo tutti stati metallari al liceo, finitela di fare gli schifati alla Carla Bruni).

La potenza di questo pezzo è stemperata solo per un attimo da Strange World, non il miglior pezzo del disco, intendiamoci. Charlotte The Harlot invece è un pezzo basato sulla reale, materiale e fisica conoscenza avvenuta tra Murray ed una dolce signorina operatrice socialmente utile

Il disco si conclude ufficialmente con Iron Maiden (link) – pezzo storico di chiusura in molti concerti -  un altro riff monolitico in stile Prowler, per un brano dalle tendenze punkettare. La Vergine di Norimberga è comunque un brano fortemente ironico: Won’t you come into my room, I wanna show you all my wares. I just want to see your blood, I just want to stand and stare. See the blood begin to flow as it falls upon the floor. Iron Maiden can’t be fought, Iron Maiden can’t be sought… il testo gioca su un doppio senso possibile tra lo strumento di tortura medievale ed i modi di fare, le avances, di una smaliziata signorina. Inoltre, essendo la traduzione letterale Vergine di Ferro, esiste un altro rimando sicuro alla lady di ferro per antonomasia, l’ex primo ministro britannico Margaret Hilda Thatcher. Tanto che quest’ultima comparirà spesso in chiave parodica in alcune cosette maideniane, come ad esempio nella copertina del singolo Women in Uniform.  Il ritornello – per musicalità – non sfigurerebbe in un pezzo pop ed è sicuramente un classico assoluto della band.

Nel bonus disc sono tuttavia presenti altri quattro brani: Sanctuary (spesso suonata live anche con Dickinson) contenente anche questa dei riferimenti alla Thatcher (un’ossessione per gli artisti dell’epoca); un piacevole pezzo degli esordi di Harris, Burning Ambition [link] (ca n’fatti nun para mancu na canzuni re Maiden e ci si chiede che ci faccia in questo disco) con un magistrale assolo di chitarra; Drifter in versione dal vivo, che apparirà sul secondo album in studio; e poi una vera e propria chicca, una infuocata cover dei Montrose di Sammy Hagar: I’ve Got The Fire (link).

E qui avrei concluso la mia recensione…ma – visto che comunque mi sono dilungato anche più del dovuto – tanto vale che vi dica tutto. Cari lettori, vi consiglio vivamente di rivalutare questa meravigliosa band, magari partendo con cronologico intento da:

Killers (1981): vi segnalo Ides Of March (link); Wrathchild, l’epica e grandiosa Gengis Khan, un vero must; e Prodigal Son.

Number Of The Beast (con il nuovo elegante cantante Bruce Dickinson, proveniente dai Samson) del 1982: Children of The Damned (link), la spettacolare The Prisoner (link), e la storica Hallowed Be Thy Name (link);

Da rivalutare integralmente è Piece of Mind (1983) album raffinatissimo (e decisamente progressiveggiante), assolutamente da escludere dal novero delle cose metallare, masterpiece assoluto della band: Purtroppo Burr comincia ad aver problemi di salute e viene sostituito da Nicko McBrain, sempre ben più che all’altezza della situazione. I brani che vi segnalo fortemente sono: Where Eagles Dare (link) (questa come tante altre, è ispirata da un film. In questo caso “dove osano le aquile”); straordinaria è Revelations (link) (tra i miei pezzi preferiti) e sullo stesso livello la poetica ma potente Flight Of Icarus (link). Infine Still Life (link) è un altro pezzo di gran classe. In questo disco Dickinson da il meglio di sé, e resterà per sempre il punto più alto mai raggiunto nell’intera discografia dei Maiden.

Powerslave del 1984: 2 minutes to midnight (link) è un pezzo bellissimo, anche se del tutto simile a Flash Rockin’ Man (link) degli Accept e vagamente uguale all’intro di Riding With The Angels (link) dei Samson (in cui cantava precedentemente Dickinson, ai tempi del brano citato). E nun si capìu cchiù cu fu ca cupiau all’autru! Pazienza, cari metallari!

Ma sono da ascoltare anche la potente Aces High (link) e la splendida strumentale Losfer Words (link), i Dream Theater (link) faranno tesoro di cose del genere. Altro momento di alta classe è The Rime Of The Ancient Mariner (link), rievocante l’esoterico scritto di Coleridge, ma non mi dilungo perchè avrei bisogno di scrivere un altro post (e non è detto che ciò non si possa verificare in futuro).

Poi, dopo questi dischi, comincia il declino, tra alti e bassi, in uncontinuo decrescendo altalenante…dunque se volete proseguire fate da soli.

Saluti e Baci.

Babar da Celestropoli


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :