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Secondo: non nominare invano l’Unione bancaria

Creato il 20 dicembre 2013 da Albertocapece

banca_fullgallery“Io sono la Banca dio tuo e non avrai altra Banca al di fuori di me”. L’Unione europea salita definitivamente sul Sinai della finanza ne torna con le tavole della legge, impresse in una materia che qualcuno vuol fare credere sia marmo, ma molto più probabilmente è il compost derivato dalle deiezioni di un’epoca di liberismo e di imperialismo finanziario. L’accordo di massima sull’unione bancaria faticosamente e tuttavia inaspettatamente raggiunto dall’ecofin ha due volti: il nulla assoluto per la vita concreta e quotidiana dell’economia e dei cittadini, ma un macigno colossale dal punto di vista della “privatizzazione” dei profitti e la socializzazione delle perdite.

Con il pretesto di una supervisione comune viene infatti stabilito il principio che le perdite fino all’8% delle attività di bilancio verranno sostenute dagli azionisti, dai creditori e dai correntisti con più di 100 mila euro di deposito (ma si sa che quando viene introdotto un criterio monetario, la sua quantizzazione è soggetta ad ogni variazione) . Tutte le perdite superiori saranno a carico del denaro pubblico e se le risorse non dovessero bastare attraverso l’intervento dell Mes o di un apposito fondo salvabanche che comunque sarà finanziato dagli stati. Si parla di una raccolta di 55 miliardi a fronte di sofferenze per circa 3000 miliardi, confermando che qui si sta decidendo di una dottrina più che di cose concrete. Tutto questo rende molto chiaro che dietro il paravento delle “armonizzazioni” continentali si cela il progetto di trasformare le prassi come i salvataggi bancari in principi generali e in pietre angolari della Ue e della sua ideologia. Ma anche un’altra cosa: che il mercato come unico regolatore e killer dell’idea stessa di diritti, si ferma di fronte al panteon che esso stesso ha creato, ossia i poteri finanziari, come se essi esprimessero una volontà generale.

Chi parla di risultato storico, come Draghi e Saccomanni, per fare solo qualche nome conosciuto, non ha tutti i torti, perché da una parte si fa tesoro dell’esperienza di Cipro chiamando i depositanti alla compartecipazione di errori sui quali non hanno alcuna parte, dall’altra si stabilisce il principio che sbagli e abbagli, volontari o involontari che siano, pratiche opache o quant’altro non potranno pesare che per una minima percentuale sui responsabili, ma verranno messi in conto a tutta la cittadinanza. E non è un caso che gli squilli di tromba che vengono dai soliti noti tendono a nascondere questa evidente verità per confondere l’opinione pubblica e sostenere con proterva sfacciataggine che in questo modo verranno tutelati i contribuenti, quando invece è l’esatto contrario.

D’altronde l’autorità che dovrebbe decidere un salvataggio – se mai questo accordo passerà - sarà formata dai rappresentanti delle banche centrali (ormai partecipate dalle banche private) e dai rappresentanti degli stati: quindi non c’è traccia di quel riequilibrio di cui parla il governo in cattività di Letta and Brothers e che spaccia tutto questo come una vittoria sulla Germania, anzi i forti saranno sempre più forti e nel tempo finiranno per assorbire le attività creditizie di una perferia sempre più privata di sovranità formale e sostanziale. Se Schauble, riconfermato alla Finanze, dice che “Wir haben eine gute Basis, um weiter zu arbeiten in den nächsten.”, abbiamo una buona base per lavorare nel prossimo futuro, qualcosa vorrà pur dire. E’ lui che tira i fili, che magari finge di non volere qualcosa, per permettere ai suoi complici periferici di fare ciò la finanza decide vantandosi per di più di averla avuta vinta su Berlino.

 


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