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“Segreta” di Daniela Cattani Rusich

Da Viadellebelledonne

 “Segreta” di Daniela Cattani RusichUna poesia che avvolge, coinvolge, ferisce e accarezza: anzitutto per il ritmo, l’armonia intrinseca dei versi, la forza del lessico, l’uso sapiente dell’allitterazione, delle metafore, dei registri linguistici alterni e complementari, la sintassi fluida o franta. Poi, per le tematiche: varie, ampie, profonde.

Se ne deduce la passione di vivere, che nemmeno le esperienze più dolorose hanno potuto abbattere, rendendola semmai  più consapevole e matura, come nella bellissima lirica dedicata alla figlia, Mia viandante senza tempo:

Eppure ho il tuo sorriso sulla pelle/come un destino ricamato a mano,/l’istinto a vivere –languida carezza -/unica arma che possiedo, in pace e in guerra.

La tentazione di vivere, sebbene, albeggia anche nell’incipit sofferto di Invano amata, variante dello stesso tema:

Risuona dentro le ferite/l’incanto della vita in controluce,/arrampicato al senso/quando il senso è nuvola che passa,/e l’eterno istante già trascorso.

La sensibilità di Daniela non si ferma al dramma personale, varca coraggioso la soglia di quello collettivo, per farsene carico, aldilà del tempo e dello spazio. Così, nella prosa poetica a quattro mani scritta con Miriam Miresol, e dedicata a Minerva Jones, un personaggio dell’Antologia di Spoon River.

Minerva era la poetessa sbeffeggiata del villaggio, violentata da Butch Weldy e poi vittima d’aborto: Daniela e Miriam le fanno innalzare, oltre la morte, un dolente canto di condanna e di riscatto:

Io adesso ho occhi per vedere e ricordare/occhi nitidi che mai sguardo d’uomo potrà più violare./Sono la bolla d’aria in cui è racchiuso l’urlo femmina,/la roccia immobile che riposa sul prato il proprio pianto,/l’incompiuto grido di dolore. E di salvezza.

Ma la denuncia della sopraffazione ancestrale sulle donne si carica d’altro odio immondo, quello etnico, in particolare contro gli zingari, che è raramente condannato, almeno a voce alta e chiara, come la Cattani sa ben fare nella poesia Porrajmos (Divoramento) in  cui immagina un dialogo tra vittima e carnefice sullo sfondo degli atroci esperimenti del medico nazista Joseph Mengele allo zineuger di Auschwitz:

Siamo zingari e abbiamo le ali/scorre la vita nei nostri capelli/brucia l’inferno sotto la terra/l’inverno gela nel vostro cuore

Di bastardi non ne vogliamo/la razza va salvaguardata/cuciamo la morte sull’uniforme/abbiamo ghiacciai al posto degli occhi

E allora dimmi, soldato,dimmi/perché sollevi la mia sottana?/Perché mi frughi tra i vestiti/spingendo la lama dentro ai miei sogni?

L’attenzione al dolore femminile, morale e fisico, si colora di pathos nella rievocazione del dramma ancora attualissimo dell’infibulazione:

Uomo/ che sei padrone di niente/tiranno-schiavo di un’idea/che non ti onora:/apri e richiudi la ferita,/spargici anche il fiele/ché mai saprai il sentire/l’anima, il segreto/e i miei pensieri non potrai cucire/come fai con la mia carne.

Mentre nell’oscillazione sempre cadenzata tra piano individuale e piano corale, l’autrice trova comunque il modo di sottolineare la sua predilezione per la socialità: così, in Figli diversi della stessa luna:

L’assolo è un canto che non mi appartiene/voglio dividerlo con te il mio pane scuro/e camminare ancora incontro al giorno/con sguardo fiero e puro d’incertezze.

Sì, perché, questa oscena meraviglia che è la vita, merita d’essere attraversata almeno in due:

Non è la vita in fondo una puttana/che quando ti è vicina s’allontana?/Come rapirti nei miei sguardi inversi/di arcobaleni e labbra da nutrire?/Senza parole resta un’emozione/il tempo è sempre uguale…e noi diversi.

Del resto l’eros occupa un posto importante nella raccolta, soffuso spesso, e come sospeso tra i versi:

Ma hai il sapore/di altopiani nella nebbia,/rapide d’ambra/sono le tue dita;/attraversano il silenzio/in fondo ai sogni:/vacillanti…/sul limite inviolato.

Ma talvolta esso erompe con la forza del mare:

S’allenta, riprende, s’acquieta/divampa –insaziata amante-/del succo agrodolce prendimi/la terra ebbra/e infine il fuoco/-tra lacrime e miele-/Tocca il pensiero: è vento…/sibila la sera, mi bacia sulla bocca/ricuce le ferite.

E non potrebbe essere altrimenti, in una poetessa in cui si amalgamano ed esprimono culture e sensibilità diverse: la greca, l’italiana, la slava, la turca, l’armena, ognuna delle quali ha regalato a  Daniela la migliore spremitura della propria essenza, tanto da farci avvertire naturali, per lei, questi versi:

Non fidarti di me: io sono la Dea../che brucia la terra sotto i tuoi piedi/per restituirle inviolata l’arcana Magia.

 Maria Gisella Catuogno

  



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COMMENTI (1)

Da Angi
Inviato il 31 agosto a 15:01
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Ottima recensione quella della Catuogno, complimenti. Segreta è una silloge bellissima. Ho avuto il piacere di leggerla e di ascoltare Daniela recitare: spettacolo! Un libro che consiglio vivamente a tutti per la varietà di tematiche e di registri linguistici.

Angi