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Selma. La strada per la libertà – Ava DuVernay, 2014

Creato il 13 febbraio 2015 da Paolo_ottomano @cinemastino

selma-locandinaOgni epoca deve fare i conti con le sue battaglie, i suoi terrorismi. Ogni decennio, per non uscire dai confini del solo Novecento. Adesso è il fondamentalismo islamico a farla da padrone, in maniera più esplicita e spettacolare, ma in passato (e anche nel presente, a voler fare i puntigliosi) discriminare categorie considerate più deboli come le donne, i gay, gli atei o gli “infedeli” era (è) routine. Deboli perché discriminati o viceversa? Non c’è una risposta precisa, anche se l’immagine più esplicativa assomiglierebbe a un Ouroboros, il drago cinese che si morde la coda e rappresenta la ciclicità della vita. Non mi piaci quindi ti discrimino e se tutti ti discriminano mi convinco che magari c’è un pretesto oggettivo per emarginarti, perché sei inferiore, e quindi continui a non piacermi. Fino agli anni ’60 (’70, ’80, ’90…) i neri americani sono stati tra le categorie che più hanno subito un simile apartheid, e la continuità con cui tutto ciò è successo dovrebbe darci la misura della crudeltà dell’uomo verso se stesso. E pazienza se continuiamo a scrivere, girare, recensire e criticare film che ci raccontano ogni volta tragedie diverse e ogni volta la stessa tragedia: quella crudeltà è ancora lì. Non importa quanto sia coinvolgente la storia, quanto somiglianti ai loro referenti realmente esistiti siano i personaggi, quanto in profondità riescano a pizzicarci i dialoghi. Nemmeno Selma riuscirà a insegnarci nulla, anche se ci prova nel miglior modo possibile: raccontare senza spiegare, mostrare senza annoiare, ritrarre l’idolo di una e più generazioni e coglierlo nella sua umanità. “Umanità” non come aggettivo tautologico o fantozziano abusato da chicchessia ma come attributo di una persona che, pur nella statura morale enorme, ha i difetti e le debolezze che tutti abbiamo. Se non fosse evidente, la sceneggiatura è quello che di Selma ci ha entusiasmati di più: Martin Luther King, interpretato senza una sbavatura da David Oyelowo (abbiamo un pregiudizio: l’espressività dei suoi occhi e dei suoi gesti deve corrispondere a quella della sua voce, che immaginiamo oltre il doppiaggio) è un pastore dal carisma inarrivabile, eppure litiga con sua moglie e non ha abbastanza tempo da dedicare ai suoi figli. Ha paura per sé e per gli attivisti che lo accompagnano, compie scelte contrastanti e incomprensibili a una prima occhiata, ma che poi si rivelano coerenti e rendono il suo carattere tridimensionale. Ma King non è solo, nella vita come nel film: i suoi nemici e quelli che poi cedono alla giustizia delle sue richieste, come il governatore dell’Alabama Wallace (Tim Roth) e il Presidente Lyndon B. Johnson (Tom Wilkinson) sono tratteggiati con altrettanta profondità, al di là della caratterizzazione che il doppiaggio rende sempre più bozzettistica di quanto non sia in realtà. I suoi compagni e sua moglie soffrono con lui e la loro presenza, proprio in termini di minutaggio o scene-chiave, giova al film perchè scongiura il rischio di un’agiografia, sempre più difficile da giudicare quanto più bene ha fatto la figura che si vuol ritrarre. Lo sguardo di King/Oyelowo piange libertà e anche i nostri occhi lo fanno, quella libertà che anche quando l’hai ottenuta ti uccide, qualche tempo dopo. Pazienza se alcune scelte fotografiche non ci sembrano giustificate dalla narrazione: non sono così gravi da pregiudicare la bontà di Selma – La strada per la libertà.

Ecco la recensione su Cinema4Stelle.


Archiviato in:Cinema Americano, Recensioni Film Tagged: ava duvernay, selma la strada per la libertà

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