Magazine Cinema

Semplicemente cineasta! Intervista a Alberto de Martino: Gli anni settanta e ottanta

Creato il 13 dicembre 2013 da Fascinationcinema

pvlcsnap77487Nel ’73 con Ci risiamo vero provvidenza? lei saluta definitivamente il western. Come nasce questo film e, poi, com’è stato il suo rapporto con Tomas Milian, con cui ha fatto anche il precedente Il consigliori (1972)?

Ottimo. Il rapporto con Tomas è stato buonissimo, ci siamo voluti molto bene. Recentemente ha detto a Marco (Giusti n.d.r) che io non gli ho restituito dei dischi che lui mi aveva prestato. (ride) Ho fatto una smentita su Facebook: non solo non ho mai ricevuto dischi da Tomas, ma non mi sono mai fatto prestare dischi da nessuno! Comunque, tornando alla sua domanda. Prima di fare Il consigliori non ci conoscevamo, per niente. Mai neanche presentati e, poi, su quel film è nata una stima reciproca molto forte. Non ho avuto nessun tipo di problema con lui.

Molti registi che lo hanno diretto lo descrivono come una sorta di “insicuro egocentrico”…

In un certo senso si… Sai che c’è? John (Cassavetes n.d.r) era uno di quegli attori che per poter lavorare doveva essere sempre su di giri, sempre pompato, forse perché aveva paura che, se no, diventava invisibile. Tomas era un vero animale da palcoscenico, un attore di cinema vero. Come faceva, faceva bene. Si, era insicuro, ma alla fine tutti gli attori lo sono. A Tomas piaceva molto camuffarsi, mettersi il trucco, nascondersi. Hai visto, no, come è conciato in Provvidenza? Questa è una sua particolarità. Non è come nel caso del fratello di Connery, che pareva un ciclista olandese: lì ci siamo adoperati per salvarlo in un certo senso. Comunque, facciamo Il consigliori, che andò molto bene, e poi Provvidenza. Fu lui a chiamarmi per farlo. Non so se ero stata la prima scelta, ma fatto sta che Milian mi raccomandò ai produttori. Il primo film andò piuttosto bene (La vita a volte è molto dura, vero Provvidenza?-Giulio Petroni 1972), e anche quello mio, devo dire. Ebbe anche belle critiche. Ho avuto un’avventura con Gianluigi Rondi con quel film. (sorride dietro alla sua mano). Lui scrisse una recensione del film parlandone benissimo, come di un film fantastico, tutto meraviglioso…e così via. Allora io dissi al mio capo-ufficio stampa: “telefonagli e ringrazialo”. Lui risponde invitandomi in radio, per una sua rubrica di cinema. “Meno male!” faccio io, finalmente un critico che parla bene di me. “De Martino, questo è il primo film…!” “Ma io ne ho fatti altri venti prima.” “Non importa! Questo è il primo!” Vabbè, va bene così. Mi intervista e ci salutiamo. Il mio film successivo è L’anticristo (1974). Dico, sempre all’ufficio stampa: “Avvisa Rondi che abbiamo fatto ‘sto film e che gli famo una proiezione privata”. Al terzo rullo s’è alzato e se ne è andato via e ha scritto un pezzo che peggio di così non la poteva fare. Non criticava la regia, ma proprio il contenuto: il diavolo, il padreterno, il papa…e m’ha distrutto con quella cosa.

Proprio in questo periodo il suo direttore della fotografia è Aristide Massaccesi.

E come no! Abbiamo fatto, come primo film, I famigliari delle vittime non saranno avvertiti (1972). Era bravissimo. Con tre lampadine ti metteva su una fotografia perfetta. Eccellente con la macchina a mano. Faceva tutto. Ma ho sempre avuto grandi operatori. Quello prima di Aristide…eh… non mi ricordo il nome. Questo è il pre-alzheimer…vabbè, lui faceva cose stupende. Sai come si fa la macchina a mano andando all’indietro? Sincronizzando i passi. Semplice, ma lo sanno in pochi questo trucco. Comunque, con Arsitide ho fatto oltre a Il consigliori, I famigliari delle vittime non saranno avvertiti e L’anticristo; anche L’assassino è al telefono e Una Magnum speciale per Tony Saitta.

A proposito di direttori della fotografia, lei ha lavorato anche con il grande Gabor Pagony su L’uomo dagli occhi di ghiaccio (1971)…

Si, su quel film che girammo ad Albuquerque, e lavoravamo con una troupe ridotta. Quattordici persone in tutto, manco il carello c’avevamo. Un suo elettricista, mi ricordo, si arrampicava sui lampioni per prendere corrente. Un cacciavite, saliva e bam! pronti per girare.

EnnioMorricone08

Ennio Morricone

Continuando a parlare di grosse collaborazioni, torniamo al suo sodalizio con Ennio Morricone. Come si svolgeva il lavoro con lui?

Vedeva il film e capiva al volo quello che c’era da fare. Prendeva e componeva. Anche se io, dopo qualche film che avevamo fatto insieme, mi ero organizzato con un’orchestrina di prova. Per poter, appunto, provare immediatamente l’efficacia del pezzo. Successe su un film, non ricordo quale, che la musica non andava bene…eh…ci vai tu a dirlo a Morricone? Cioè, protestare Morricone è difficile, il più grosso musicista vivente, per quanto mi riguarda. Per cui, ecco, avevamo questa orchestrina, così se c’era qualcosa da cambiare si poteva fare subito. Un aneddoto che ricordo bene fu sul primo film che feci con lui, 100.000 dollari per Ringo. Andai a casa, non ricordo più se di Morricone o di Nicolai (Bruno n.d.r), per ascoltare quello che avevano fatto. Morricone disse: “Suonala tu.” L’altro gli rispose: “No, suonala tu.” Presi e la suonai io. (ride) Rimasero un po’ così…

Ecco, ma lei essendo anche un pianista, musicista, non ha mai avuto la voglia di comporre qualcosa per i suoi film.

Una volta sola. Su 100.000 dollari c’è uno slow che è mio, ma non lo volli neanche suonare io. La suonò un certo Preziosi. Hai presente chi è? Quello che ha ammazzato la moglie…lui.

Parliamo delle sue attrici. Abbiamo menzionato molti attori: Milian, Stafford, Connery, ma…

Rosella Falk. Mi stavi per chiedere quale attrice preferisco? Rosella Falk.

Con cui ha fatto L’assassino è al telefono…

Brava, bravissima. E poi elegante…metteva in conto alla produzione dei vestiti che costavano più di lei. Al di là delle grandi dive nostre, diciamo tra quelle meno famose, lei era la migliore. Sul palcoscenico era sempre perfetta. Poi, anche con Daniela Bianchi avevo un bel rapporto. L’ho anche rivista in un programma di Marco (Giusti n.d.r) ed è ancora una bellissima donna.

Consigliori_LPF022
Torniamo ai suoi film. Mi parla de Il consigliori?

Eh, questa l’ho già raccontata più volte, ma vale la pena ripeterla. Io portai il copione ad Amati, gli piacque. ma voleva farla revisionare da un suo contatto americano, che vengo a sapere essere Michael Gazzo, quello che ha scritto l’opera Capello pieno di pioggia. Penso: “Bene!” Gazzo era anche un attore all’Actors Studio. Mi arriva il copione revisionato. Prima scena: il personaggio di Martin Balsam parla con un attaccapanni. Vabbè… devo aver letto male, per cui lo faccio tradurre e scopriamo che non solo l’aveva riscritto tutto, ma aveva fatto un casino tremendo. Lo cacciamo via, ma Amati comunque l’aveva già pagato.

Mi diceva che non era molto contento neanche della Dagmar Lassander su quel film.

Eeehhh (respiro profondo). Quando la scegliemmo e firmò il contratto aveva appena partorito. “Dagmar devi dimagrire almeno tre chili nel prossimo mese.” “Nessun problema Alberto.” Quando la rividi non era dimagrita manco un po’. Se fossimo stati a Roma, l’avrei protestata subito, ma, stando in America, avrei dovuto fermare la lavorazione. Per cui tentai di metterla meno in evidenza diciamo…ma c’era lei. Brava ragazza eh, ma non posso dire di avere un bel ricordo.

Quanto duravano le riprese dei suoi film?

Dipendeva da film a film. Cinque, sei settimane in su. Anche nove qualche volta.

Il film dalla realizzazione più breve?

Penso Il trionfo di Ercole. Ah, di quel film ti ho raccontato della scimmietta con il pugnale?

No.

Allora…c’era questa scimmietta che doveva estrarre il pugnale che era magico, per cui succedevano cose incredibili, apparivano i sette uomini d’oro che menavano a tutti. Appena la metteva a posto scomparivano. Fargliela tirar fuori era semplice, gli avevamo legato una zampetta con un filo di nylon che tiravamo al momento giusto. Ma poi per fargliela rimettere a posto? Mandando al contrario il filmato. Semplice, ma nessuno c’ha pensato. Sono molto orgoglioso di questa trovata.

01

Torniamo agli anni settanta. Una Magnum speciale per Tony Saitta, di questo periodo, non è uno dei suoi film più menzionati, ma gode di grande considerazione tra gli appassionati.

Guarda, l’ho rivisto di recente e mi è piaciuto abbastanza. L’ho girato a Montreal, in Canada, che poi è il motivo per cui fece il film Stuart Whitman. Aveva bisogno di fuggire da Hollywood perché un marito lo voleva uccidere (ride). Grande donnaiolo e beveva moltissimo, ma alla fine come quasi tutti.

Il film è piuttosto violento. Qual è il suo rapporto con la violenza filmica?

Io sostengo che meno vedi e più immagini. Questa è anche la mia cifra estetica. Mi piace che la violenza lo spettatore se la immagini. Per questo non posso fare ‘sti film con i vermi, con gli animali che strappano…’ste robe tremende. Non è nel mio animo, non mi appartiene. Questa è l’unica regola che ho seguito da regista: meno vedi, più immagini. Altre regole non ne ho.

Lei, comunque, mi sembra che si trovi più a suo agio con le tematiche forti o anche violente che con l’erotismo.

Si si, assolutamente. Per esempio una cosa che non ho detto è che quando facemmo Femmine insaziabili, appena finito scoppiò il fenomeno del cinema erotico, si poteva mostrare di più. Il produttore mi chiese di girare delle scene di nudo, più forti per il Giappone. Lo feci eh, ma con malavoglia. Non è roba per me. Sono cose quelle che preferisco fare da protagonista che da spettatore o da regista. (ride) Anzi, una volta…adesso sono solo ricordi.

Tornando a Tony Saitta, ci sono lunghe sequenze d’azione e una lunghissima scena di inseguimento in macchina. Usava gli story-board?

No, perché non so disegnare e odio chi sa disegnare, è più forte di me. Io sono un pianista.

Si potrebbe dire che lei dirige quasi da jazzista.

Bravissimo! Improvvisando. Parto, come ti dicevo, dallo sfondo e improvviso…come un jazzista.

antichrist_poster_06
È il momento di parlare di quello che forse è il suo film più noto: L’anticristo (1974). Aveva visto, prima, L’esorcista?

Si, lo vidi a New York. Mi chiamò Edmondo Amati che mi disse che c’era un film che faceva un sacco di soldi. “Andiamo a vedere perché. Porta uno sceneggiatore.” Mi portai Vincenzo Mannino, con cui tra l’altro avevo fatto le superiori. Capimmo che il diavolo era tornato di moda. Io, però, non volevo fare un film solo sul diavolo, e soprattutto non volevo fare un film pervaso dall’elemento della religione. Infatti, tutto, nel mio film, scaturisce da una frustrazione sessuale da cui deriva il fenomeno della possessione. Ma non è vera possessione! Succedevano le stesse cose, ma nel mio caso tutto partiva dal cervello. Perché io sostengo questo, e l’ho detto tante volte nell’intervista, e lo ripeto prima che l’alzheimer prenda il sopravvento su di me. Io credo che tutti i fenomeni, anche quelli delle apparizioni degli extraterrestri, il diavolo e il padreterno sono racchiusi nella parte inesplorata del cervello e la scienza, così come sta capendo tante altre cose, un giorno, capirà perché pensiamo e vediamo certe cose. Perché diamo vita a Dio. Sono stato chiaro? Boh.

Chiarissimo. Ma cosa mi può dire del dopo? Ci sono state cause o accuse di plagio?

Si, c’è stata una causa, ma il giudice mi ha dato ragione. Sostenevano che io non potessi avere la scena dell’esorcismo. Il monsignor Balducci mi fece una perizia di parte, in cui illustrava come si fa un esorcismo, e dice non solo che un regista ha il diritto di mostrare, di mettere in scena un esorcismo, ma anche che come l’ho fatto io è la maniera corretta secondo i canoni e le regole del caso. Ho vinto io alla fine, ma la causa, si, c’è stata anche se…vabbè…diciamo che tutto nasce da una cattiveria personale fatta nei miei confronti…non è il caso di parlarne. Andiamo avanti… L’esorcista è un film, aggiungo, tutto camera e cucina, un film di trucchi diciamo. L’anticristo è un film dall’ampio respiro, ci sta dentro il Vaticano, le chiese, le messe, i cardinali. C’ha tante cose in più, no? È più cinematografico.

Come si è trovato con Carla Gravina e Arthur Kennedy?

La Gravina è bravissima e ruba la scena a tutti. Anche lei ha avuto qualche difficoltà con l’inglese e, infatti, le ho fatto fare solo le prime due scene in inglese così i distributori esteri vedevano i primi dieci minuti e si convincevano. Gli americani sono tremendi con il discorso del labiale. Kennedy era un ottimo attore e faceva tutto. In una scena doveva cadere a terra e gli ho chiesto se voleva lo stunt. Lui mi ha risposto: “Non ti preoccupare, è tutta la vita che casco.” Un professionista vero.

Mel Ferrer?

Simpatico, diciamo. Ogni tanto aveva delle uscite un po’ così. Ad esempio, eravamo in ritardo un giorno a causa di un effetto speciale che non funzionava; mi venne accanto e disse: “What a shame! What a shame!” Pigliava per il culo. Di lui altro non ricordo.

holocaust-2000-2v231g
Come è stato il suo rapporto con Kirk Douglas su Holocaust 2000 invece? Ci sono state prevaricazioni sul set? Problemi di qualche genere?

Guarda, il primo incontro con Kirk è avvenuto quando ci convocò dopo aver letto la sceneggiatura, a me e a Sergio Donati, perché voleva rivedere delle cose, dei dialoghi. C’erano delle cose che non gli piacevano. Andammo a casa sua e disse delle cose giuste. Nelle battute riusciva a togliere tre parole e a migliorarle. “Stronger. Simpler. Shorter. Stronger,” faceva. (ride) C’aveva ragione su tutto. Tant’è che, quando ci siamo alzati, io ho fatto a Donati: “Alla prossima cosa che dice diciamogli di no, anche se c’ha ragione. Oh, a questo non gli possiamo di’ de si a tutto.” Con Kirk non c’è stato nessun problema. Siamo andati d’accordissimo su tutta la linea e sono contento di aver lavorato con lui. Mi stimava molto. Faceva sempre ad Amati, il produttore: “You have a good director!”. O quando magari stavo spiegando la scena ad un attore e lui stava andando via, passando diceva: “He’s right.” (ride). Ogni tanto protestava un po’, ma si faceva guidare.

Cosa ricordi di Agostina Belli?

Hai presente Roma come Chicago, la scena del colpo a Piazza Navona? La ragazza che urla dalla finestra è lei! Lei nasce come protetta di Lizzani e fu lui a infilarla nel mio film. Su Holocaust 2000 ci sono stati dei piccoli problemi con Kirk. Lui ci teneva che fosse tutto girato in inglese, giustamente, perché aveva una percentuale sulle vendite estere. Delle volte, però, lei non aveva studiato, per cui nascevano degli attriti diciamo. Comunque intervenivo io per calmare gli animi. Niente di grave eh. Una brava ragazza alla fine.

imdirect
L’uomo puma (1980) è l’inizio di una nuova fase nella sua carriera, oltre che di un nuovo decennio.

L’uomo puma mi ha abbastanza demolito. Ricordo che al cinema non ci andò nessuno a vederlo. Ormai la televisione stava prendendo piede. Prima sulla RAI c’era un film con un’interruzione; quando uscì L’uomo puma iniziava l’invasione. Io, vedendo l’insuccesso, mi posi anche delle domande. Mi sono rimbambito io. Ho fatto un film che non dovevo fare. Poi cos’è successo…è andato bene all’estero ed è riuscito ad arrivare al minimo garantito, se no me dovevo vendere casa. In Italia non arrivò neanche a mezzo miliardo. All’estero avevo, come minimo, garantito un miliardo e lo superò. Poi di questo film ancora se ne parla. Non si capisce perché. È diventato un cult. In America hanno cercato per mari e monti il protagonista, che non era un attore vero; non penso abbia fatto altro nella sua carriera.

Cosa ricorda del protagonista di Extrasensorial (1982), Michael Moriarty?

Un rompicoglioni. Era partito così tranquillo ed entusiasta, ma poi. poco prima delle riprese, è cambiato. Anche lui si drogava. Voleva rivedere i copioni, faceva richieste assurde. Grazie al cielo il film l’abbiamo finito, ma mi ha dato un po’ di problemi. Non è che quel film abbia un gran cast. Anche Penelope Milford un’attricetta, niente di speciale.

7 Hyden Park-la casa maledetta(1985)?

Non ricordo molto di quel film. Ricordo che c’era Rossano Brazzi. Mi sa che è stato il suo ultimo film.

Miami golem (1986) è un film che lei non ama, dico bene?

Non lo dovevo firmare io Miami golem. Io ho lasciato il film, non l’ho terminato. Ho fatto le riprese, ma il montaggio e tutto il resto non è mio. Io avevo un contratto in base al quale avrei dovuto approvare tutti i tecnici. Il produttore non voleva farmi avere il mio montatore, forse per risparmiare, e io me ne sono andato. Non ho avuto esitazioni. Ho anche perso l’ultima rata che mi spettava. Il film non l’ho mai neanche visto, e manco lo voglio vedere. Non me ne frega niente. Dovevo togliere il nome, ma alla fine ho lasciato stare.

book3

(da sinistra) Tonino Valerii, Sergio Stivaletti e Alberto de Martino

In questi giorni si parla molto di questo progetto corale intitolato The book- The Italian masters return a cui partecipano grossi nomi, tra cui il suo.

Si, io ho scritto questo soggettino che si chiama Efebus. Deve durare venti minuti. Una storiella curiosa, divertente. Il mio episodio parte quando una sensitiva tocca una maschera. Maschera che viene dal Brasile ed è legata ad una maledizione. C’è un travestito che si vuole vendicare dell’uccisione della sua ragazza, che muore in un incidente, finendo sotto una macchina. Chi guidava è innocente. Succedono cose pazzesche. Lui si vendica usando questa maschera. Il cattivo è un travestito, penso che sia la prima volta che c’è un assassino…ah, no, ci sono i travestiti anche in Tony Saitta. Boh, chissà che vuol dire! Mio figlio me lo ha chiesto: ma perché un travestito cattivo? Così. Il nome Efebus, invece, perché all’inizio sembra che la maschera sia di Efebo, cioè protettore dell’amore, della giovinezza, e, invece, è Ermafroditus! C’è dentro anche un esorcismo.

Ma lo sceneggiatore di questi episodi non è Dardano Sacchetti?

Chi è? Comunque no, non so neanche chi sia ‘sto Dardano Sacchetti. Ah, forse si, una volta. Ma lui per caso è quello che ha scritto il film con il nanetto prodotto da Fabrizio de Angelis?

Quella villa in fondo al parco di Giuliano Carnimeo?

Ecco si, quello. È sceneggiato da lui, giusto? E ha quel nanetto?

Si.

Allora, io sistemavo e facevo la supervisione dei progetti per conto di Fabrizio de Angelis. Questo negli anni ottanta. Spesso rimontavo le sceneggiature, stravolgevo le storie. Questo anche per quanto riguarda la post-produzione. Mi capitò per le mani questo film su ‘sto nanetto cattivo e dissi: “fermi tutti!” C’era un errore, non di sceneggiatura, ma di partenza, nel soggetto. Allora chiamai ‘sto Sacchetti, adesso me lo ricordo, e gli spiegai. Vado per esempi che è più semplice. Se tu vedi la pinna dello squalo hai paura perché sotto sai che c’è lo squalo. Qui c’è solo la pinna. Perché ‘sto nanetto mette paura? Gli dai un calcio e lo appiccichi al muro. Quindi mi inventai che era infetto, che ti contagiava, ora non mi ricordo. La critica disse che l’unica cosa che funzionava del film era questo (ride). Mi hanno anche chiesto di dirigere un sequel, ma ho detto di no. Che scherziamo? De Angelis era un caro amico e gli sistemavo tutti i film

Come la vive tornare sul set dopo tanti anni?

Non lo so, non è che sia esaltato dall’idea. Sai che c’è: è che non ho più il polso del pubblico in mano. Non so cosa piace adesso alla gente, cosa va a vedere, cosa vuole. Una volta ce l’avevo. Poi, io sul set, una volta, stavo sempre in piedi: mi muovevo di continuo, davo le indicazioni agli attori. Adesso vedo che i registi stanno sempre davanti al monitor, dovrò fare così anch’io. Mah, staremo a vedere. Mio figlio è preoccupato, ha paura che mi prenda un coccolone sul set. Io dico, ma che morte migliore? Morire in scena, come Steno, che se ne andò mentre lavorava al teatro…

 

Eugenio Ercolani (Roma-2013)

 

Prima parte: Gli inizi

Seconda parte: Gli anni sessanta

 
aanticris

L’ANTICRISTO (1974)

Costretta ad una sedia a rotelle, a causa di un trauma infantile mai superato, l’affascinante e ricca Ippolita Oderisi, interpretata da Carla Gravina, affronta il dramma della possessione demoniaca che la porterà ad imbattersi in un santuario in Ciociaria, conforto di persone socialmente considerate vittime del demonio. Prima di accettare l’idea del maligno, Ippolita tenterà la via dell’ipnosi che riporterà alla luce non solo il suo tragico shock ma la farà entrare in contatto con una sua antenata, condannata dall’Inquisizione per stregoneria e portata al rogo.

Con L’anticristo Alberto De Martino è stato tra i primi registi italiani ad ispirarsi a L’esorcista (The exorcist 1973) di William Friedkin; dove la protagonista non è più un’adolescente ma una donna, vittima della propria frustrazione sessuale: istanza tematica che apre la narrazione dando un taglio realistico alla pellicola. Il germe della perversione contribuisce a dare il giusto impatto estetico alla pellicola di De Martino dove rapporti incestuosi, esorcismi, messe nere e raffigurazioni blasfeme rendono questa fondamentale tessera del cinema di genere una prova ben riuscita. Interpreti di questa pellicola vittima della censura sono il giovanissimo Remo Girone (fratello di Ippolita), Mel Ferrer (nel ruolo del padre di Ippolita), Arthur Kennedy, Umberto Orsini, Alida Valli e, nelle vesti del bizzarro esorcista, il bravo Mario Scaccia. Infine, ad alto impatto visivo, il film si avvale della fotografia di Aristide Massaccesi che fornisce al lavoro di De Martino il giusto compromesso tra tensione lirica e ricerca documentaristica, come la suggestiva colonna sonora diretta da Ennio Morricone e Bruno Nicolai.

Daniela Nativio

 


Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :