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“Sense8″, serie Tv diretta da Lana e Andy Wachowski: l’umanissima mente alveare

Creato il 30 giugno 2015 da Alessiamocci

Sense8 – serie TV uscita a inizio giugno per la Netflix  diretta da Lana e Andy Wachowski– non si fa mancare nulla. Azione (dalle risse di strada al tripudio delle arti marziali), dramma (quello in grande di un mondo malato e quello in piccolo dei lacerati cuori umani), fantascienza (che, in Sense8, è di quella tipologia che sussurra: «E se fosse più reale di quanto pensi?»), amore (in tutte le salse più o meno mainstream), ironia (quella che ti fa ridere e quella che ti fa sorridere amaramente), e varietà, tanta varietà, per una serie che proprio sulla varietà umana si basa.

Ma procediamo per passi più brevi.

Pianeta terra, oggi. Le telecamere si accendono in otto luoghi diversi, all’altezza degli occhi di otto personaggi diversi – in rigoroso ordine alfabetico per nome, perché tanto, per fortuna, sono tutti equamente interessanti, piccoli-grandi vasi di Pandora da scoprire.

A Nairobi c’è Capheus, che nella vita sa fare una cosa: guidare. Guida uno sgangherato pullman le cui fiancate inneggiano al suo eroe: Van Damn, storpiatura di (Jean Claude) Van Damme. È al fianco di Capheus che si dipana il dramma di un mondo malato, che prende corpo in sua madre, affetta da AIDS e troppo povera per permettersi le necessarie medicine. Ma Capheus, anche se ancora non lo sa, non è solo. E soprattutto, anche se ancora non lo sa, può combattere molto meglio di Van Damme.

A Mumbai, davanti a una statua di Ganesha, c’è Kala, giovane e promettente farmacologa. Siamo in un’India di transizione, in cui vecchio e nuovo coesistono promiscuamente, al punto che smette di aver senso chiamarli “vecchio” e “nuovo”. Ed è da questo marasma che uscirà la tagliola su misura per la caviglia di Kala, che si trova a dover sposare un uomo che non ama perché tutti sono convinti che si tratti invece proprio di un matrimonio d’amore. E riuscirebbe persino ad arrendersi a questo scherzo del destino, Kala, se poi non si trovasse a sognare a occhi aperti un biondo con tutti i muscoli al posto giusto. E, forse, non è proprio un sogno…

Lito, messicano, vive di sogni altrui. Quelli più beceri e kitsch, adatti a film d’azione-amore della peggior specie, qualcosa a metà tra la telenovela lacrimevole e l’action movie machista, il tutto condito da chili e chili di effetti speciali inverosimili. Lito è, insomma, un attore, uno di quelli che diventano status symbol. Una vita perfetta se, quando torna a casa, Lito non trovasse tra le proprie lenzuola…

… Qualcosa che Nomi capirebbe molto bene, dal suo appartamento a San Francisco. Nomi, hacktivista impegnata nella causa LGBT. La vita non deve essere stata gentile con lei, considerando quanto rischi per la causa, ma oggi sembra una persona serena e fortunata, che vive con l’irresistibile compagna nell’appartamento da cui opera come blogger. La vita sembra sorriderle, insomma, come si sorride al San Francisco Pride a cui Nomi quest’anno partecipa. Ѐ in sella a una moto guidata dall’amata Amanita, quando tutto, improvvisamente, diventa nero.

Riley, invece, incede con la malinconia dei feriti in una Londra in cui i colori si riflettono sulle fredde pozzanghere di pioggia. Ѐ una DJ, Riley, che vaga nell’europea metropoli di tutti e nessuno alla ricerca di un angolo minore di Paradiso, ma tutto quel che trova è un paradiso artificiale: una droga capace, si dice, di aprire a percezioni superiori. Non che lei ne abbia bisogno, a quanto pare: le basta chiudere gli occhi per trovarsi dall’altra parte del mondo, letteralmente. Ma intanto l’Inferno la aspetta, a Londra, pronto a travolgerla non appena Riley li riaprirà.

Sun, invece, sembra vivere al di là di Paradiso e Inferno. La Seul in cui la conosciamo è quella dei grattacieli lucenti e asettici, dove il tempo sembra seguire il respiro – pacato e consapevole – di Sun. Che è figlia di un potente uomo d’affari, di cui non è primogenita, e il primogenito è tutto. Lei, con grazia ed eleganza, si limita a portare avanti il ruolo datole dalla società che l’ha cresciuta: lo scudo che deve, quando necessario, tutelare la famiglia. Niente di nuovo sul fronte orientale, se al contempo non fosse capace di mettere al tappeto otto persone nel tempo di un sospiro.

Will è un altro tipo di picchiatore: quello che indossa la divisa to protect and to serve. Ma non siamo nella Los Angeles che ha dato origine a quel motto, bensì a Chicago, dove il nostro eroe metropolitano – come da cliché, un po’ – non riesce a staccarsi da un caso irrisolto. Un caso personale, in questa storia, ma torniamo al presente, in cui Will si trova in una chiesa abbandonata nel cuore di Chicago. Non una chiesa qualunque: la chiesa che ha sognato quella notte stessa, e forse neanche il suo era proprio un sogno…

Concludiamo con il terzo dei nostri picchiatori, l’ultimo dei nostri sensates. Dopo Sun l’artista del combattimento e Will il poliziotto c’è, a Berlino, il re delle risse: Wolfgang. Ma grattate sotto la scorza ruvida e grezza e troverete un fine artista della truffa, capace di aprire una cassaforte grazie a un raro e raffinato orecchio musicale.

Sense8 è, almeno fino alla fine della prima stagione, primariamente due cose: 1) un insieme di personaggi interessanti che 2) sono collegati gli uni agli altri grazie a una sorta di empatia wi-fi potenziata.

Non è semplicemente empatia, perché agisce anche a distanza e va ben oltre la com-passione. Immaginate che le emozioni, sensazioni e abilità di ognuno dei personaggi sopra elencati siano messi in una cartella condivisa a cui tutti gli altri possono accedere. O si trovano ad accedere.

Così, quando Capheus soffre le umiliazioni e i colpi subiti per tenersi stretto le medicine per la madre, Sun – a Seul, durante un combattimento – perde concentrazione, abbassa la guardia e viene colpita dall’avversario. Ma Sun, che mantiene la propria individualità, reagisce come Sun reagirebbe: con rabbia e determinazione, e con rabbia e determinazione “entra” nel corpo di Capheus trasformandolo nel Van Damme di Nairobi mentre combatte sul ring sudcoreano.

Il passo per arrivare all’americanata – trita e ritrita scena dell’eroe/ina che fa una spettacolare strage dei nemici cattivi – è breve e talvolta Sense8 non resiste e lo compie, ma l’idea in sé rimane affascinante.

Dopo tanta fiction fantascientifica che ha visto contrapposte l’umanissima individualità versus l’inumana mente alveare, Sense8 si emancipa da quest’illusoria contrapposizione e ci parla di esseri umani ancor più umani proprio perché connessi gli uni agli altri. Uccidere è facile quando non percepisci quello che sta provando la persona che stai uccidendo, ci dice il misterico e profetico Jonas, personaggio-vate dai risvolti minacciosi che guiderà gli otto sensates alla scoperta della loro natura.

Sense8 ha lasciato molte porte aperte. Potrebbe creare un precedente, se riuscisse a sfruttare l’idea che ne sta alla base, o potrebbe sfruttarla nel senso peggiore: per realizzare un prodotto che ricalchi i soliti apprezzati cliché e con essi affondi ogni innovativo potenziale.

Rischierà o non rischierà?

Intanto, la prima stagione è e rimane godibilissima.

Written by Serena Bertogliatti


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