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Senza memoria e senza dignità

Creato il 27 giugno 2010 da Silvanascricci @silvanascricci

Senza memoria e senza dignità

Non so perchè Ustica mi interessa tanto, non so quali oscure corde abbia toccato.

Ma le ha toccate.

Sarò anche da ricovero psichiatrico ma io mi sono letta tutti gli atti dell’inchiesta ed un’idea piuttosto precisa me la sono fatta.

E, come ogni anno, scrivo un post su questo argomento; forse sarà uguale a quello dello scorso anno e dell’anno ancora prima, probabilmente sarà uguale a quello dell’anno prossimo.

Non mi importa niente, in questo paese senza memoria e senza dignità è necessario continuare a gridare, fosse anche gridare al vento.

Il 27 giugno 1980 il veivolo DC9 I-TIGI della compagnia Itavia decolla dall’aeroporto Guglielmo Marconi di Bologna.

Il DC 9 ha a bordo 81 passeggeri, tra cui 64 adulti, 11 bambibni tra i due ed i dodici anni, 2 bambini di età inferiore ai 24 mesi, oltre ai 4 uomini dell’equipaggio.

Il volo, con nominativo IH870, è diretto a Palermo e parte alle ore 20.08, con due ore di ritardo. L’atteraggio è previsto per le 21.13.

Il volo si svolge regolarmente fino all’ultimo normale contatto radio tra il veivolo e “Roma Controllo”, avvenuto alle ore 20.58; alle ore 21.04, chiamato per autorizzare l’avvio della fase di atterraggio su Palermo, il DC9 non risponde.

Alle 21.15 si avviano le operazioni di ricerca.

Durante la notte, diversi aerei, elicotteri e navi percorrono invano il tratto di mare sul quale si sono perse le tracce del DC9, soltanto all’alba un elicottero avvista una chiazza oleosa tra Ustica e Ponza, segue il rinvenimento di oggetti e di corpi umani.

Di questi ne sono recuperati soltanto trentotto.

Le indagini, che furono avviate dalle Procure di Palerno, Roma e dal Ministero dei Trasporti, considerarono le ipotesi di cedimento strutturale, di un attentato con una bomba a bordo, di una collisione in volo, oppure di un missile.

La prima ipotesi sarebbe presto caduta, la commissione ministeriale chiuse i propri lavori escludendo il cedimento strutturale, ma il sospetto che si era diffuso circa la cattiva manutenzione del DC9 aveva portato, nel gennaio 1981, alla chiusura della compagnia aerea Itavia.

Dal 1981 indagò solo la magistratura.

Sulla vicenda scese il silenzio fino al 1986, quando, dopo un’inchiesta giornalistica che indicava il DC9 quale vittima di una azione militare, un gruppo di politici ed intellettuali si rivolgeva con un appello al Presidente della Repubblica perchè “qualsisasi dubbio anche minimo sull’eventualità di un’azione militare lesiva di vite umane e di interessi pubblici primari fosse affrontato”.

Nel 1988 nacquel l’Associazione dei Parenti delle Vittime della Strage di Ustica per iniziativa di Daria Bonfietti – sorella di una delle vittime – che ricorda: “appariva sempre più chiaro che coloro che lottavano contro la verità esistevano, erano esistiti sin dagli istanti successivi il disastro e operavano a vari livelli, nelle nostre istituzioni democratiche, per tenere lontana, consapevolmente, la verità”.

Si mobilitò l’opinione pubblica, scossa da una mancata verità che assumeva la dimensione dello scandalo.

Ne seguirono due importanti effetti: con due campagne di recupero complesse nel 1987 e nel 1991, fu acquisito il 96% del relitto del DC9; la vicenda divenne oggetto, dal 1989, d’indagine della Commissione Parlamentare Stragi, presieduta dal senatori Libero Gualtieri.

Quest’ultima arrivò a segnalare comportamenti militari italiani in servizio presso alcuni centri radar volti ad occultare ciò che era avvenuto quella sera nei cieli del Tirreno.

Come la commissione, anche la magistratura ritenne che la mancata ricostruzione delle cause del disastro fosse stata orchestrata per mezzo di depistaggi ed inquinamenti delle prove ad opera di esponenti della aeronautica militare.

Nel 1992 i vertici dell’aeronautica all’epoca dei fatti vennero incriminati per alto tradimento “perchè, dopo aver omesso di riferire alle autorità politiche e a quella giudiziaria le informazioni concernenti la possibile presenza di traffico militare [...], l’ipotesi di una esplosione coinvolgente il veivolo e i risultati dei tracciati radar, abusando del proprio ufficio, fornivano alle autorità politiche informazioni errate”.

Gli imputati furono poi prosciolti per prescrizione nel 2004, e all’inizio del 2006 assolti dalla cassazione.

Nel 1999 la sentenza istruttoria del giudice Rosario Priore affermò che “l’incidente al DC9 era occorso a seguito di azione militare di intercettamento”.

Il DC9 era stato coinvolto in un’azione militare nel corso della quale un missile ne aveva causato la caduta.

L’ipotesi di bomba collocata a bordo, per lungo tempo contrapposta all’abbattimento nel corso di una operazione militare, si è rivelata un tentativo di sviare tanto le indagine quanto la consapevolezza dell’opinione pubblica, in una parola: depistaggio.

Alla tragedia umana di 81 persone, si è sommata la tragedia civile di uno stato che non ha potuto nè saputo fornire una spiegazione-

Ma, parallelamente, la vicenda merita di essere collocata nella dimensione storica.

Nel 1980 era ancora in atto la guerra fredda tra blocchi contrapposti, in quegli anni si affacciavano, inoltre, nuovi soggetti sulla scena mondiale, protagonisti terzi degli equilibri politico-militari internazionali, come la Libia che fu indirettamente coinvolta nella tragedia di Ustica, tanto che si ipotizzò che il missile che abbattè il DC9 fosse destinato ad un aereo libico.

All’epoca la Libia era accusata di essere il motore del terrorismo arabo, ma era anche un nuovo interlocutore in campo economico, in particolare per l’Italia, in anni di crisi.

Una crisi nella quale proprio i paesi arabi avevano acquisito un ruolo di protagonisti sulla scena mondiale, dopo gli shock petroliferi del 1973 e 1979, che avevano disegnato il nuovo scenario di un mondo non più diviso soltanto dalla contrapposizione tra democrazie capitaliste e regimi socialisti, ma anche dal confronto con i paese arabi produttori di petrolio.

In tale contesto, un episodio di guerra guerreggiata e occultata, nell’ambito della guerra fredda e del confronto con la Libia ha causato la perdita con DC9 Itavia delle 81 vite che trasportava, e ha motivato i vertici dell’aeronautica militare, e di parte dello stato, a preferire i vincoli delle alleanze militari internazionali piuttosto che la lealtà verso il proprio stato e le sue istituzioni democratiche.

Essi hanno ritenuto di dover essere fedeli al patto militare prima che al loro paese.



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