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Senza sapere = senza futuro, l’equazione italiana

Creato il 31 luglio 2014 da Libera E Forte @liberaeforte

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La carenza in termini di competenze, causata da istruzione e formazione inadeguate, di ragazzi e adulti italiani rispetto a quelli di altri paesi evidenziata dai dati delle indagini Ocse è un tema che abbiamo già affrontato. La media degli italiani con almeno un diploma di scuola secondaria superiore è nettamente inferiore a quella europea, così come quella dell’istruzione universitaria, che sta scendendo ulteriormente a causa della difficoltà di utilizzare la laurea per trovare un impiego. La qualità dei ricercatori italiani – che sono in cima alla classifica per l’ottenimento dei finanziamenti europei – è ampiamente dimostrata ma, purtroppo, non costituisce un fattore di sviluppo per il nostro paese: i progetti più importanti vengono infatti realizzati all’estero perché l’Italia non è in grado di ospitarli. Una situazione che si ripercuote anche sul settore dei beni culturali e, di conseguenza, sul turismo: Gli Uffizi risultano al ventiduesimo posto nella classifica mondiale dei musei più visitati.

Da questi dati nasce il grido d’allarme di Giovanni Solimine, che con il libro “Senza sapere” ci descrive “un paese privo di conoscenze e competenze”, al punto “da non comprendere perfino quanto sia grave e pericoloso il nostro livello di ignoranza, e da non correre ai ripari”. Sì perché il livello culturale non incide in maniera indiretta nello sviluppo di un paese; al contrario, la nostra è una economia fondata soprattutto sulla conoscenza, e ciò è dimostrato dal fatto che gli Stati che investono maggiormente in istruzione e cultura sono proprio quelli che “trainano” gli altri: mentre in Italia gli investimenti nell’istruzione vengono progressivamente diminuiti, altri paesi, come Germania, Svezia e Norvegia, li aumentano in larga misura. E i risultati si vedono.

Nella recensione al libro di Solimine sulle pagine del Corriere (Pochi fondi alla cultura. Un destino di povertà), Paolo Di Stefano scrive che “i costi dell’ignoranza si traducono in cifre in rosso dell’economia in un Paese il cui livello di istruzione delle élite si rivela del tutto inadeguato allo sviluppo culturale e tecnologico”. E il nodo della questione sta proprio qui: se la spesa della cultura incide solo per lo 0,6% sulla spesa pubblica ed equivale a meno dell’1% del Pil il motivo risiede nel fatto che chi non ha una adeguata preparazione culturale non può comprenderne i vantaggi. “Come potrebbero mai dei politici incolti – conclude Di Stefano, e noi con lui – e dunque poco lungimiranti capire l’utilità della cultura e dell’educazione?”

MC


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