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"Senza vergogna" di Marco Belpoliti

Creato il 11 giugno 2010 da Sulromanzo
Di Geraldine Meyer
Marco Belpoliti e il suo nuovo libro "Senza Vergogna" (Guanda)
Ecco un altro libro di cui bisognerebbe parlare tanto, che andrebbe proposto nei circoli di lettura e di cui mi piacerebbe leggere recensioni in tutte le pagine culturali dei giornali. Il condizionale è d'obbligo e ben si adatta a un mio personale pessimismo riguardo al fatto che tutto ciò accada. Ed è un pessimismo fondato sulla consapevolezza che alcuni libri sono destinati, se non all'oblio, almeno ad uno "spazio" notevolmente sottodimensionato rispetto al loro effettivo valore. 
La vergogna. Che sentimento è? Oggi se ne prova ancora? Marco Belpoliti ci accompagna in un viaggio antropologico e storico attraverso nomi e situazioni, regalandoci una lettura di quello che possiamo definire il contemporaneo. Il punto di partenza? Un importante uomo politico, settantaduenne si reca alla festa di compleanno di una diciottenne. Se ne parla su tutti i giornali, ma nessuno usa il termine "vergogna".
Questo è solo l'inizio di un percorso che ci conduce a Nagasaki con il giovane fotografo incaricato dal governo giapponese di testimoniare quanto accaduto; poi ad Abu Ghraib, a New York e in alcuni aspetti della cultura pakistana. A fare un po' da filo conduttore le voci di due grandi della letteratura: Franz Kafka e Primo Levi
Vergogna e cultura delle immagini, vergogna ed esteriorità. Un circolo vizioso in cui ciò che è trova conferma della sua essenza in ciò che è visto. Fino all'assuefazione. Per ricominciare da capo. Anche un innocente album fotografico di famiglia può, talvolta, divenire più che custode di ricordi generatore di essi. Se è stato fotografato allora è stato tout court. Gli psicologi sostengono che la vergogna sia un sentimento relazionale. In qualche modo lavora alla costruzione di noi stessi in quanto esseri umani. L'esibizione esasperata allo sguardo dell'altro è un modo per aggirare il nascondimento pudico. 
Se tutto è visibile non c'è niente di cui vergognarsi, perché, in fondo, gli altri smettono di esistere. La vergogna funziona come "regolatore" sociale, come presa di coscienza. Se viene a mancare si disgregano anche i legami sociali. E in questo la televisione sta svolgendo una terribile opera di "educazione". Perché ci fa guardare qualcosa che altri hanno già guardato e, spesso, montato per noi. Ben altra cosa è la testimonianza. E non ci addentriamo qui nell'analisi di alcuni programmi beceri creati apposta per mandare i cervelli all'ammasso. 
In cosa differisce la vergogna dal senso di colpa? Quest'ultimo sembra agire più nel profondo, portandoci il dolore per la consapevolezza di avere o non avere fatto qualcosa che ha causato un danno. La vergogna apparentemente lavora più dall'esterno, cambiando anche la prospettiva e l'immagine che abbiamo di noi stessi. In entrambi i casi si tratta di sentimenti che strutturano il nostro io. Che ci ricordano che non siamo monadi. Non a caso Belpoliti sottolinea l'origine della parola: dal latino vereri, cioè provare un sentimento di timore religioso ma anche di rispetto. Tutte queste parole ne evocano un'altra che, piano piano, mostra i suoi agganci con quanto detto fino a qui. E cioè la parola responsabilità. Puntuali le pagine che riportano al riguardo le riflessioni della Arendt e di Anders. 
Vergogna come principio di realtà. Primo Levi ricorda l'episodio in cui non ha condiviso la sua acqua con un altro deportato. E ricorda come questo gesto sia rimasto nell'aria come un'ombra. Sempre. Ne prova vergogna dopo. Come dice l'autore "tra il suo io ideale e la realtà s'interpone la vergogna". Straordinarie le pagine di Anders, autore de "L'uomo è antiquato": in occasione del suo viaggio in Giappone si reca in ospedale a visitare alcuni superstiti dell'esplosione atomica su Nagasaki. Egli racconta di come due ragazze avessero tenuto un contegno che definisce con una parola bellissima e cioè costumanza. Le due giovani donne sembravano vergognarsi di essere vive, di ricevere visite. E con il loro atteggiamento parevano indurre vergogna anche nel filosofo. La vergogna, ci dice Anders, ha una conseguenza pratica: disarma. 
Viaggio nelle epoche storiche questo libro. Che cos'era la vergogna presso gli antichi greci? Qui la parola si intreccia profondamente con il concetto di destino e di deità. Qualcosa di esterno al soggetto e più forte di lui agisce nonostante lui. Una sorta di responsabilità esterna che intacca il tessuto sociale. E il mito di Narciso prende il posto di quello di Edipo. 
E mentre leggiamo questo excursus continuiamo ad ascoltare le parole di Levi e Kafka, così pregne di pudore e vergogna. Così traboccanti di dignità e consapevolezza. Totalmente prive di sentimentalismo. Quella degenerazione, ci dice Belpoliti, del sentimento. Il sentimentalismo è, più che il sentimento, "la consapevolezza di provarlo". Come uno sguardo interno che diviene esterno trasformando noi stessi in spettatori di noi stessi. 
Viaggio anche nelle età della vita in cui l'adolescenza diviene l'età della vergogna per eccellenza. Questa fase, che oggi tende a coincidere sempre più con la giovinezza in generale, è un concetto che nasce nel XX secolo. Epoca della vita in cui si comincia a costruire quell'edificio, più o meno solido, in cui dovremo abitare per il resto dei nostri giorni. Ora però l'adolescenza sembra diventata l'arena privilegiata dell'esibizione continua. Con la televisione a fare da specchio deformante e nello stesso tempo normativo di aspirazioni e desideri. 
Vergogna, pudore, intimità, rispetto sono parole che attengono a relazioni reciproche tra noi e gli altri ma anche con noi stessi. In un gioco di costruzione e decostruzione. In un difficile equilibrio. All'interno di uno sguardo in viaggio continuo dal dentro al fuori. Fino a casi estremi di suicidi e omicidi causati da uno sguardo troppo insistente e insostenibile. Suicidi di adolescenti o omicidi compiuti da genitori su figli il cui atteggiamento era, ai loro occhi, troppo centrifugo rispetto alla cultura di appartenenza. 
Davvero un libro straordinario, colmo di sollecitazioni e rimandi, ricco di testimonianze letterarie, filosofiche e storiche. Una lettura preziosa in questi tempi più che mai senza vergogna

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