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Serenella e L’Iran. Appunti di un viaggio novembrino nella terra di Persia di Serenella Gatti Linares

Da Met Sambiase @metsambiase

Un prezioso taccuino di viaggio di Serenella Gatti Linares, in un Paese con il sessantacinque percento di studenti universitari donne ma nemmeno una di essa potrà diventare giudice, con duemila siti archeologici in cui riposa anche Dario il Grande e suo figlio Serse. Un paese con il riscaldamento casalingo sempre tenuto al massimo, e il traffico indisciplinato e caotico delle città mediterranee, dove gli uomini di Stato sono ” ritratti di (due) uomini vecchi, brutti, con turbante e barbone, dall’aria seria, dominano ovunque ” mentre i giovani e le giovani si fanno selfie ovunque. Dove se toccate un cane dovete subito lavarvi le mani.  Dove il vento viene catturato in una Torre e l’acqua si fa racchiudere solo nei giardini. Mentre il petrolio sgorga ovunque per ingabbiare chi vive sopra la sua terra. Benvenuti in Iran.

(c) Serenella Gatti Linares (c) Serenella Gatti Linares

CAHIER DE VOYAGE
Dieci giorni di novembre in IRAN

Prima di partire mi sono successe tre cose. La segretaria dell’Associazione che ha organizzato il viaggio di gruppo mi ha telefonato per conoscere il nome di mio padre. “E’ morto da vent’anni”, ho risposto. Ma senza non sarei potuta partire per l’Iran. Sono dovuta andare a depositare le impronte digitali e il passaporto. Mi sono trovata di fronte a due scuole di pensiero degli amici. La prima diceva: ”L’Iran? E perché mai? E’ troppo pericoloso”. La seconda: ”Che bello e alternativo! Ti invidio”. A volte, basta poco per sapere con chi abbiamo a che fare. Sono andata per motivi culturali, storici, artistici, spirituali, fisici. Viaggio come pellegrinaggio di conoscenza, come modo di capire meglio se stessi e gli altri.
L’Iran è fra Occidente e Oriente, fra passato e presente, fra antico e moderno. E’ un paese vasto cinque volte l’Italia, con paesaggi svariati, dalla montagna al deserto, dalle palme agli olivi e viti ai cespuglietti spinosi, alla sabbia. Paese di grandi distanze, con duemila siti archeologici. Ci sono molte differenze fra città e villaggi di campagna. Per dire tutto ciò che ho sentito dalla nostra guida, dovrei scrivere un libro intero, e non mi sembra il caso!
Abbiamo tutti dei pregiudizi, e preferisco saperlo, per poi poter lottare contro di essi. Non è vero che le Donne iraniane non possono truccarsi, tingersi i capelli, mettere lo smalto. Ma è vero che devono tenere sempre in testa il “velo”, da cui si intravedono i capelli, che mortifica. Così come le turiste, anche al ristorante. E dato che qui il riscaldamento è sempre al massimo, nell’aeroporto, nelle camere d’hotel, nei ristoranti, ( sarà perché hanno il petrolio?), a me il “foulard”, come lo chiamo io, dava un grande fastidio. I miei capelli ribelli non sopportano alcuna restrizione ed avevo un gran caldo. Gli abiti devono coprire collo, braccia, gambe e non devono vedersi le forme del corpo. Insomma, coprire capo e culo! Mi viene in mente un aggettivo sintetico di un’amica staffetta partigiana sugli uomini: “prepotenti”. Qui le Donne sono più occidentalizzate e hanno maggiori libertà in confronto ai paesi dell’Islam. Le ho viste guidare, ma poche. Non ho notato le parrucchiere, perché sono nascoste nelle case, ma le locali sanno dove trovarle. Lavorano fuori casa, fanno carriera e hanno rappresentanti in Parlamento. Possono esercitare qualsiasi mestiere, ad eccezione di quello di giudice. Le studentesse universitarie sono il sessantacinque per cento. Hanno tutti i diritti, anche di voto, ad eccezione di quello di diventare Capo Supremo, anche se fanno parte di minoranze religiose. Le generazioni dai cinquanta ai settant’anni sono in frattura con le giovani, perché hanno vissuto sotto lo Scià, quando c’era ricchezza economica.
Non è vero che non viene usata la carta igienica (anche se a volte non c’è), perché la tradizione islamica vuole che ci si lavi. Infatti, ogni gabinetto, che di solito è alla turca è munito di rubinetto d’acqua. Ho visto a volte insieme nello stesso stanzino tazza e gabinetto alla turca.
Non è vero che sono tutti talebani fanatici. Il pubblico e il privato sono diversi. Non è vero che sono tutti terroristi con barba e baffi neri. L’ospitalità è una caratteristica. Solo il cinque per cento brucia le bandiere americane, come vediamo nei mass-media. Non è vero che c’è da avere paura: mentre giravo avevo una sensazione di grande sicurezza, al contrario che in Italia. Non c’è la microcriminalità.
Non è vero che sono arretrati nelle tecnologie. Di sicuro fanno selfie molto, molto più di noi!
Non è vero che non si possono mangiare insalate e verdure perché l’acqua è inquinata: ne ho mangiate a iosa e sono stata bene!
La differenza di orario fra noi e l’Iran è di due ore e mezzo. Esempio: se in Italia sono le 15, a Teheran sono le 17,30. Intorno alle 17 è quasi buio. La moneta è il rial, ma facilmente vengono accettati gli euro; un euro corrisponde a circa cinquantamila rial. La lingua ufficiale è il farsi, scritto con caratteri arabi. Si scrive da destra a sinistra. L’inglese è diffuso. E’ un paese ricco di petrolio e di tutto, ma la situazione è peggiorata con la Rivoluzione Islamica del 1979 di Khomeini. Oggi il popolo soffre ma dignitosamente non lo fa vedere.
Che bello il tramonto che ho osservato dall’aereo da Roma a Teheran! A strisce orizzontali rosse, nere, cinestrine, rosa, celesti, nere. Le mie vicine di posto, madre e figlia, sono state le prime iraniane che ho visto: truccate vistosamente, ossigenate, col velo sulle gambe, prima di indossarlo alla discesa, gentili, sorridenti, accoglienti, come tutte quelle che incontrerò in seguito. Le iraniane hanno enormi occhi belli e molto bistrati. Forse lo fanno per valorizzare l’unica parte del corpo che possono fare vedere. Da tempo non notavo in giro tanti rossetti rosso squillante, che adoro.

reza_abbasi, il golem femmina, serenella gatti linares

Nell’attesa dei bagagli è stato il primo choccante colpo d’occhio su tante donne tutte vestite di nero da capo a piedi. In Iran è una specie di perenne mostra di foulard di ogni tipo: leggeri, pesanti, di lana, di cotone, a righe, a quadri, con fiori, di colori tenui o vivaci… Quali segreti nascondono le Donne locali sotto l’abito? Che cosa pensano veramente? Quando ci scivolava il foulard, non essendoci abituate, c’era quasi sempre un uomo a farci cenno di tirarlo su… Ho tentato di parlare con qualche iraniana, con fatica, per via della lingua. Ci sono quelle che sono contente di portare il chador perché sono religiose integraliste convinte. O sono cresciute così fin da piccole, hanno visto la mamma, ne va della loro identità. Ci sono quelle che assumono un’espressione incerta e non felice, ma non possono parlare. Se si ribellano, le famiglie le abbandonano e non trovano marito… E’ molto, molto raro vedere girare una donna da sola di sera. Ho visto una scolaresca con le bambine meravigliose dal velo bianco e la maestra tutta nera. Non esiste più il matrimonio “combinato” come un tempo, tranne che nei villaggi tradizionali e non è accettata la poligamia. Esiste il divorzio. Il matrimonio “temporaneo” non è altro che una “prostituzione islamica”.
La capitale Teheran ha circa dodici milioni di abitanti ed un traffico terribile, con relativo inquinamento. Molti girano con le mascherine. Il pericolo maggiore è nell’attraversamento delle strade. Ci si butta dentro e come va va… Non usano il casco, non rispettano il rosso, i passaggi pedonali sono rari, i motorini con tettuccio passano sui marciapiedi a velocità sostenuta… Ci sono tanti taxi gialli e verdi e “collettivi”. Le auto sono vecchie e scassate, da noi non supererebbero la revisione, però costano il doppio. Non c’è il “centro storico” come lo intendiamo noi. Abbiamo visitato il Museo archeologico, il Museo del vetro, ospitato in un bel palazzo in stile Gujarat, il Museo dei gioielli. In quest’ultimo mi ha colpito un mappamondo fatto di pietre preziose che disegnano mari e continenti, più corone, scettri, specchi, ombrelli, casacche con incastonati i gioielli più incredibili. Il giardino naturalistico è ornato di specchi, vetrate e cristalli come nelle fiabe, con un gusto sovraccarico che doveva mostrare la ricchezza del sovrano di Persia. Nelle sale enormi lampadari di vetro a goccia.
A Teheran di notte ci sono luci forti all’americana. Sui muri vasti murales. E’ nata nel Settecento, è centro religioso, culturale, politico, commerciale, nodo delle vie di comunicazione. C’è un’importante Università pubblica. Anche qui esiste la “fuga dei cervelli”. I Palazzi più vecchi sono dell’ Ottocento. E’ piena di minoranze etniche, rappresentate in Parlamento. La politica è razzista, ma la popolazione non lo è. Il novanta per cento è sciita. L’Iran è una Repubblica Islamica. Il Presidente ha tutti i poteri. I politici sono corrotti, hanno rubato settecento miliardi. Volendo, l’Iran potrebbe fermare l’ISIS, perché lo odia, in pochi giorni, ma l’ISIS è voluta per motivi economici americani. L’Italia è l’Iran dell’Europa, però senza petrolio: ambedue glorioso passato, ma oggi?

Gli Iraniani sono musulmani ma non Arabi. Sono d’origine indoeuropea. Lo stipendio medio è di 700-800 euro. C’è stata una grossa svalutazione dopo l’”embargo” americano da otto anni. La guerra fra Iran e Iraq è stata per motivi economici, ( leggi: petrolio), come tutte le guerre, dal 1980 al 1988. Le strade sono piene di immagini di giovanissimi morti in questa occasione. Siamo nel 1394 per il calendario islamico. Tutti, uomini e donne, sono ossequiosi, sorridono e salutano tutti con una specie di inchino. Questa è una delle cose che mi ha colpito di più (nel mio condominio quasi nessuno saluta).

cyrus_cylinder, il golem femmina

In aereo siamo andati a Shiraz. Da qui siamo partiti in pullman per Persepolis, a sessanta chilometri, uno dei siti archeologici più importanti del mondo. Mi sembrava impossibile di essere proprio là col mio corpo, dopo tante immagini sui libri di scuola. Qui il Palazzo fatto costruire da Dario Primo nel 518 a. C., per festeggiare l’inizio anno, il 21 marzo, convogliando i principali artisti del tempo. L’estesa piattaforma è ricoperta di colonne enormi, porte, bassorilievi che raffigurano le popolazioni facenti parte dell’Impero Persiano. Per fortuna l’incendio di Alessandro Magno non ha distrutto tutto, perché il piombo non si è sciolto. Spesso si assiste alla vittoria del Bene sul Male. Poi abbiamo visitato la Necropoli a forma di croce di Naqsh-e Rostam, dove sono le tombe di Dario il Grande, Serse, Artaserse Primo e Dario Secondo. I re erano sepolti coi loro tesori che nel tempo sono stati trafugati, fino ai Sassanidi. Sono presenti i quattro elementi. Mattinata di sole. Alcune Donne hanno guardato male una del mio gruppo che aveva i piedi nudi nei sandali.
A Persepolis Reza Pahlavi, l’ultimo Scià di Persia, negli anni Sessanta, organizzò megafesteggiamenti per tornare all’”antica Persia”, e qualcosa di quelle costruzioni è rimasto. Lui fece varie riforme, anche con l’aiuto di Farah Diba, pur essendo un dittatore. Voleva migliorare in modo laico, ma era religioso e figura debole. Nell’Ottocento l’Iran era ancora nel Medio Evo. Nel Novecento arrivarono per il padre dello Scià aiuti dagli Inglesi che poi lo tradirono. Nella seconda guerra mondiale l’Iran fu a fianco di Hitler. Poi fu dalla parte degli Americani e il petrolio fu nazionalizzato da Mossad. La Rivoluzione di Khomeini contro i Pahlavi fu nel 1979 e fu programmata. Non c’è stata qui la “Primavera araba”, ma piuttosto l’”Inferno”! Il collegamento è sempre col prezzo del petrolio; dove esiste arrivano gli Americani, quindi la pace non c’è mai. Infatti, è più facile avere l’”oro nero” nei paesi incasinati! Non c’è democrazia americana ma teocrazia. I governi stupidi sono voluti, perché si possa continuare come prima. Gli Sciiti sono più intransigenti; i Sunniti più tolleranti, ma ambedue sono sottomessi. I ritratti di due uomini vecchi, brutti, con turbante e barbone, dall’aria seria, dominano ovunque: nelle strade, nei palazzi, nei supermercati, nelle aule scolastiche… con fatture diverse, da modeste e rustiche ad eleganti e appariscenti. Sono gli Ayatollah Khomeini e Khamenei.
A Persepolis facevano spettacoli fino a dodici anni fa.
A Shiraz abbiamo visitato la Moschea di Nasir-ol-Molk, il Mausoleo di Ali Ben Hamze rivestito di specchi, il Palazzo e i giardini di Narenjestan, esempio di architettura Kajaridi e la tomba degli anni ’30 del poeta Hafez, morto 750 anni fa. Ci si arriva con dei gradini e il soffitto è a piastrelle blu, celeste e oro. La Poesia è molto amata e rispettata in Iran. Qui arrivano gli Iraniani in pellegrinaggio. C’è chi anche oggi crede ai suoi versetti. La sua poesia è di difficile interpretazione per noi. Hafez sapeva tutto il Corano a memoria. Intorno quattro bei giardini curati, come sempre qui i giardini, luoghi di riposo, ristoro, silenzio, in un mondo carente d’acqua.
“Il sole non ha mai detto alla terra
“tu mi devi qualcosa”.
E guardate cosa succede
con un amore come questo:
illumina l’intero cielo” ( Hafez )

hafez, il golem femmina

La Moschea è del 1850; nel chiostro c’è la vasca per le abluzioni. I musulmani devono pregare cinque volte al giorno col viso in direzione della Mecca. Nel salone delle preghiere colori tenui e tappeti bellissimi tessuti a mano; si entra senza scarpe. I Santuari oggi sono migliaia, in aumento, perché siano punti di riferimento religioso per il popolo, dedicati a Santi che in realtà non sono Santi. Le Donne nella preghiera sono separate dagli Uomini. Credevo che si sarebbero arrabbiate mentre erano in meditazione e noi scattavamo foto, ma non è stato così.
A Shiraz sono noti medici della chirurgia plastica ( spesso abbiamo notato Donne con cerotti sul naso…) e dell’oculistica. Si dice che qui siano lenti e pigri. E’ una città di profumi, bergamotto, uccelli, fiori, usignoli, poeti. E’ una zona di montagna fertile per l’agricoltura; l’acqua è sotterranea. Gli Iraniani sono orgogliosi di questa città, perché qui sono nati diritti umani molto antichi. La scrittura era cuneiforme; gli schiavi operai c’erano ma erano pagati. Anche le Donne lavoravano e avevano sei mesi di ferie quando erano incinte.
Il nostro albergo a Shiraz è da Mille e una Notte, da Alì Babà e i quaranta ladroni, se così può dirsi…: specchi, acqua, enormi composizioni di fiori freschi, pietre incastonate nei muri che imitano i topazi, camere in caldo marrone con cuscini e luccichii. Qui nelle costruzioni sono più importanti gli interni degli esterni e i gradini sono sempre molto, molto alti.
Una sera tornando in albergo io e la mia amica siamo state fermate da una poliziotta dal tono autoritario che controllava il nostro abbigliamento. Ci siamo un po’ impaurite, mentre l’auto della Polizia l’aspettava. Era col chador e con un distintivo verde sul petto. Ma quando ho detto:”Italy”, si è allontanata, mentre il cuore mi batteva.
Lungo il cammino per Yazd, (c’era la pioggia, qui molto desiderata), abbiamo visitato le rovine di Pasargade, città fondata da Ciro il Grande, nel quinto secolo a. C., dopo la vittoria sui Medi. Qui è la sua tomba. Yazd è una delle città più antiche del mondo, religiosa, con un milione di abitanti, chiusa, in linea col deserto. Ci sono scuole coraniche e un numero maggiore di Donne col chador. Zona di ceramiche e motociclette. La mancanza d’acqua è sempre stato un problema. Ho visto le inquietanti Torri del Silenzio, (qui portavano i cadaveri per essere divorati dagli avvoltoi, per non inquinare la Terra), la Cisterna dell’acqua, la porta antica del Bazaar di Piazza Amir Chakhmakh e il Tempio del Fuoco di Ateshkadeh, importante, di Zoroastro. Si dice che la fiamma sacra arda dal 470 a. C. Qui vivono sessantaseimila zoroastriani. L’islamismo impiegò ben quattrocento anni per penetrare in Iran. Le mura della città vecchia sono fatte di fango, sabbia, paglia e mattoni bucati. Nella Moschea del Venerdì c’è un punto centrale dal quale la voce dell’Imam può essere ascoltata ovunque. Le piastrelle hanno disegni che sembrano fiori ma in realtà sono versetti coranici. Nel giardino del Settecento Dollat Abad c’è la Torre del Vento più alta. Se lasci cadere un pezzetto di carta rapidamente sparisce verso l’alto. In questo giardino ho incontrato un gruppetto di Donne disabili simpaticissime. Erano sedute su sedie a rotelle non elettriche o su tappetini, a chiacchierare allegramente. Mi hanno offerto uva passa e hanno voluto fare una foto tutte insieme. Intorno erano fiori, fichi, melograni, viti, canti di uccelli.
In tutto il viaggio ho visto alcuni gatti, ma un solo cane. Sono tenuti a casa. Il cane è animale impuro per l’Islam e chi lo tocca deve lavarsi. Si dice che un cane morsicò Maometto…
Sulla strada in lontananza ho notato la neve in cima alle montagne a tremila metri. Andando verso il deserto la vegetazione è cambiata e le architetture si sono adattate all’ambiente, diventando color ocra, argilla, marrone e giallino. Sono apparsi cespugli, piante nane, alberelli, pietre e lastroni. Poco verde, molto marrone, rossiccio e bianco. Quattro gradi e un tramonto dai colori grigio, biancastro e celestino.
Siamo partiti per Meybod, città tipica del deserto, e abbiamo visitato la fortezza di Narin, la ghiacciaia del Settecento, la più grande dell’Iran, funzionante fino all’Ottocento e la piccionaia, che in passato forniva un commercio fiorente di guano. Siamo stati nell’antica Moschea Jame del decimo secolo e nel caravanserraglio. Quest’ultimo era una specie di albergo, dove i commercianti scambiavano le merci.
Naein ha la Moschea del Venerdì fra le più antiche e semplici dell’Iran, di 1250 anni fa, con un pulpito in legno intarsiato del tredicesimo secolo e un Minareto dell’undicesimo secolo d.C. L’Imam nella preghiera del venerdì parla di problemi sociali e politici.
Quindi siamo arrivati a Esfahan, (vuol dire: ”esercito”), per me la città più suggestiva e armonica fra tutte. Dal 2006 è la capitale culturale del mondo islamico. Ha verde pur nel deserto e due milioni e mezzo di abitanti. E’ molto pulita e tenuta bene. Un vecchio detto persiano afferma: ”Esfahan è la metà del mondo”, per il suo fascino urbanistico e architettonico costruito da sovrani dagli Abbasidi, ai Selgiuchidi, ai Mongoli. Era in una posizione centrale, strategica, già cinquemila anni fa. Il suo massimo splendore fu nel Seicento, quando arrivavano artisti da tutto il mondo. La Moschea del Venerdì fu costruita per prima, fra l’undicesimo e il dodicesimo secolo, col cortile interno più grande di tutto l’Iran, decorato con le caratteristiche piastrelle azzurre, blu, turchesi e dorate, in un gioco di chiaroscuri, di luce/buio, come in un merletto, come nella poesia, come nella vita. Tutti gli edifici sono rivolti alla Mecca. La voce maschile autoritaria all’altoparlante fa una certa impressione… Sull’enorme e bellissima Piazza si affacciano la Moschea dell’Imam, alta come un palazzo di quattro piani, quattro minareti, la Moschea delle Donne, la più bella di tutte secondo me, e il Palazzo Ali Qapu delle quattordici colonne, degli archi a sesto acuto e del giardino. I Palazzi reali nel Medioevo erano venticinque; ora sono tre. Indimenticabili i Ponti di Si-o-Se Pol e Khajou dei trentatrè archi, illuminati di notte, sul fiume quasi sempre secco. Siamo stati fortunati, perché in questo periodo il fiume era ricco d’acqua e forse anche per questo i Ponti erano superaffollati soprattutto di giovani, fra musica, cibo e risate. Una volta c’erano dodici ponti. Dall’alto i re assistevano agli spettacoli. Qui il giovedì e il venerdì sono come da noi il sabato e la domenica. Dalla stanza dell’hotel si vedono il fiume, le barchette, il ponte, la Moschea della città vecchia. Siamo a metà novembre, ma il clima è primaverile! Il clima è secco, c’è il sole e ci sono dodici gradi. ( E’ la prima volta che la mia frangia non si arriccia! Però, usando il foulard, si è formato un grosso nodo sulla nuca, tipo rasta). Meraviglioso il giardino Hasht Behesht degli “otto Paradisi”, con una costruzione centrale aperta all’interno, per fare girare l’aria d’estate. Sulle piastrelle decorative sono uccelli blu e motivi geometrici. Si nota un orso che veglia su una persona addormentata. E’ l’”amicizia della zia Orsa” che fa sia bene sia male! Al centro è una vasca di alabastro. Gli affreschi in oro e gli ornamenti in cedro del Libano sono stati restaurati. Le pareti sono ornate da tappeti eleganti del Seicento; i colori predominanti sono rosso, giallo, blu, verde, ma sobri. Le pitture sono straordinarie, con scene della vita quotidiana, mani alzate in segno di rispetto, vino, musica, loti, arance e melograni, ballerine dalle lunghe gonne a righe verticali dorate, uomini baffuti, ma anche immagini stracariche di guerra, come quella contro gli Indiani e i loro elefanti.
Seduti sull’erba ho notato studenti di Architettura che facevano copie dal vero.
Al sesto piano c’è la Camera della Musica, insonorizzata, con muri storti, con decorazioni di strumenti musicali o di bottiglie di vino, ispirati alle porcellane cinesi, capolavori di gesso, e una fonica perfetta. Qui i re venivano a divertirsi. Dalla terrazza si gode il panorama della Piazza, delle Moschee, dei Minareti, delle porte, della fontana. I colori sono eleganti e non monotoni.
Quando sono entrata nella Moschea delle Donne non ho potuto trattenere un “oh…” di meraviglia, per le vaste proporzioni circolari e i disegni di alto valore artistico. Ubriaca di Bellezza. Al centro della cupola ho subito notato la famosa “coda di pavone” per effetto del sole. Le fotografie non rendono abbastanza! Le lavorazioni raffinate di piastrelle sono o tipo il nostro mosaico o ad intarsi più difficili, di sette colori. Non c’è l’abitudine di mettere i nomi degli artisti per modestia.
Dicono che a Esfahan sono tirchi e bravi nel commercio e nell’artigianato (miniature, rame, piatti, stoffe, scatole di legno, pietre preziose, fra cui il turchese). Abbiamo visitato il negozio di un famoso miniaturista che ci ha illustrato la sua tecnica. Nelle miniature non c’è prospettiva, ma colori naturali caldi, palazzi, fiori, uccelli. Una volta si usava l’avorio, oggi le ossa di cammello. Il pennello è di pelo dal collo del gatto. Siamo stati a curiosare e comprare regalini al Bazaar che corre lungo la Piazza a nord per cinque chilometri. Ogni stradina mostra una particolare attività. Ci sono molte gioiellerie con monili per i nostri gusti… pacchiani. Oggi ci sono molte cineserie. Incredibili le spezie colorate. Odori strani, fragranze, aromi, profumi…

Esfahan (c) Serenella Gatti Linares
Esfahan
(c) Serenella Gatti Linares

Nell’antico quartiere degli Armeni di Jolfa abbiamo visitato la Cattedrale di Vank, di stile sovraccarico a metà fra armeno e persiano, ( con Inferno, Purgatorio e Paradiso raffigurati come da noi) e il Museo che contiene documenti del genocidio degli Armeni ad opera dei Turchi. Ha pure il libro più piccolo del mondo. Il Palazzo Hasht Behesht è detto:” il Palazzo degli Otto Paradisi”. Qui vivono quattromila Armeni ben integrati. Un tempo c’erano venti chiese armene, oggi sei. Temperatura tiepida e ideale.
Siamo stati in un negozio di tappeti, i più famosi del mondo. Il più antico nacque in Siberia, di colore grigio. I disegni sono di due tipi: dei nomadi (mentalità desertica, più semplici, geometrici, lana e cotone, oggi anche seta, marrone e grigio, alberi della vita, cipressi, vasi, coda di pavone, capre, i quattro elementi, quaranta disegni, rapporto con l’architettura, i bambini imparavano dalla nonna nei villaggi) e di città (più complicati, seta, qualità, colori vivaci, sfondo rosso, differenze da città a città, anche oggi la madre insegna a figli e figlie, però più alla figlia che deve prepararsi il corredo). Un antico detto persiano recita: ”Nulla è perfetto se non è imperfetto”. I negozianti ci hanno fatto compiere un “viaggio nel tappeto” attraverso undici tipi dei nomadi e undici modelli di città, fino ad arrivare al… “tappeto volante”! Più ci sono nodi a centimetro quadrato e più il disegno è preciso e prezioso, fino a un record di qualità di 225 nodi. Il lavoro al telaio è durissimo e per quanto un tappeto possa costare è sempre poco rispetto al numero di ore impiegato. Occorre grande velocità nell’annodare i nodi di vario colore. Gli artigiani donano anima e corpo. Per un tappeto grande ci vuole un anno e mezzo di lavoro di otto ore al giorno. I più costosi sono quelli antichi, di lana, perché hanno resistito al tempo. Il tappeto vecchio ha meno di cento anni; quello antico ha più di cento anni. Oggi la Cina fa tappeti a macchina. In casa tutti hanno tappeti, anche per motivi religiosi.
Per riposarci siamo stati in una sala da the caratteristica nel bazaar. Fumo di tabacco aromatizzato dei narghilè nell’aria. Stracarico di oggetti, polveroso, impossibile trovare un centimetro libero. Quadri al soffitto, lampadari, lumi, teiere, giocattoli, elmetti, sciabole, pugnali, farfalle, francobolli, monete, cartoline, foto, pipe, vasi, porcellane, cristallerie, grammofoni, radio, bottiglie, bracieri, ritratti…Lista infinita. Ci è stato servito the bollente con miele o zucchero cristallizzato. Molti ragazzi giovani, tutti con baffi e barbetta, fumavano, formando cerchietti bianchi nell’aria, e ci hanno offerto dei dolci. E’ una specie di rito per rilassarsi, chiacchierare, per un’oretta. Invece, il ristorante del Seicento, restaurato, in periferia, è superlativo. Cibo eccellente, sale e sale labirintiche, piastrelle azzurre ovunque, vasche d’acqua a terra.
Alle diciassette, mentre il muezzin chiamava alla preghiera, nella grande Piazza intorno alla Cupola della Moschea delle Donne il cielo ha assunto varie sfumature di strisce orizzontali, nell’ordine dal celeste al rosa al grigio, per tornare al celeste. La Cupola lasciava i colori al cielo e il cielo alla Cupola, stemperandoli, senza soluzione di continuità. Sfumature blu e turchine che spezzano il cuore per la loro fugacità, per giungere alle diciassette e quarantacinque a un cielo quasi blu, in cui spiccava una falce di luna nitidissima, prima di sprofondare, in un attimo, nel buio totale.
Sulla strada per Abyaneh il paesaggio cambia. I colori sono diversi dai nostri nel sole nitido: verdi, gialli, bianchi, arancioni, bordò, marroni delle montagne di più di tremila metri contro il cielo celestissimo senza una nuvola. Pietroni, ruscelletti, pianticelle spinose. Ci inerpichiamo col nostro vecchio pullman giallo che si è rotto due-tre volte durante il viaggio. Intravediamo cinque-sei villaggi con santuari, mausolei, cimiteri, giardini di noce, melograno, uva, patate.
Abyaneh è un villaggio caratteristico dalle case rossicce in argilla, (mi ha ricordato i muri di Bologna), a circa 2200 metri. Nelle montagne circostanti sono grotte che venivano usate come magazzini e riserve di merci. Agricoltura fiorente, canali sotterranei, cave di marmo. Esiste dal 300 d.C, ha un tempietto del Fuoco e un Santuario. Oggi ha quattrocento-cinquecento abitanti. Si usa venirvi in villeggiatura d’estate. I giovani sono emigrati in città per studiare come medici e professori universitari. Qui adoperano ancora abiti tradizionali. L’aria è pulita, con odori d’incenso e legna bruciata. Sulle casette la carta catramata d’argento luccica. Serve per riflettere il sole e per fare scivolare l’acqua.
Kashan è a 1600 metri, al confine col grande deserto di Maranjab, che è a ottanta chilometri di distanza. Risale a settemila anni fa, sulla via della Seta e della Mecca. Nota nel Seicento, fu fra le prime a convertirsi all’Islam. E’ famosa per i tappeti e per le mattonelle smaltate, che danno il nome alla città, per l’acqua di rose, per i velluti e per la seta. C’è l’ Historical Fin Garden, con un geniale metodo di fontane artificiali che sfrutta livelli e dislivelli sulle piastrelle azzurre: è la loro “Fontana di Trevi”. Si dice che qui siano paurosi. Si usava sposarsi a sedici-diciotto anni e a venticinque-trenta non li voleva più nessuno, maschi e femmine. Si narra che se uno vuole sposarsi e dorme una notte qui, presto ci riesce. Abbiamo visitato la casa tradizionale nobiliare Tabatabei. I battenti fanno un suono diverso per maschi e femmine. Non si entra subito nel cuore della casa, ma dopo sale, corridoi e corridoi. Si scende di dieci metri e ci sono metodi per salvarsi dal torrido caldo estivo. Una parte è residenza invernale, un’altra estiva. C’è una sala per spettacoli e teatro, ornata di stucchi, più europei che persiani. Vicino alle toilette abbiamo incontrato un gruppetto di amiche chiassose e “caciarone” come nel Sud d’Italia; ridevano e parlavano a voce alta, facendo subito amicizia con noi.
C’è nella Moschea un piano sottostante riservato al “seminario”. Qui ho incontrato un gruppetto di studenti maschi e femmine di Archeologia col loro insegnante. Ridevano e fotografavano, ma appena ho fatto capire a gesti di odiare il foulard e ho nominato la parola “libertà”, si sono allontanati velocemente con “ciao ciao”, in particolare i maschi. Da queste parti l’integralismo è più chiaro. Gli uomini non possono dare la mano alle donne. Non si può andare in hotel insieme se non si è sposati.
Di notte i due Minareti sono illuminati all’interno da vivaci colori rossi e verdi.
Per l’alba e il the nel deserto abbiamo preso le jeep. La polvere copriva i vetri e somigliava alla nostra nebbia. Abbiamo fotografato il sorgere del sole dal Lago Salato e le sue bizzarre composizioni biancastre. Si estende per sessanta chilometri circa. D’estate è secco e crea forme di cristalli di sale. Lungo il bordo settentrionale grandi dune si susseguono su un fronte di quaranta chilometri. Sulle dune ho strillato per la paura! Cambiano ogni giorno a seconda del vento; autisti esperti abbassano e alzano la pressione delle gomme per poter fare salti da montagne russe. Sorprendenti le striature perfettamente orizzontali color… sabbia! Finora le avevo viste solo nei film. Abbiamo fatto colazione in un caravanserraglio antico e semplice in compagnia di dromedari, pace e silenzio.
Le figurine delle Donne avvolte nel mantello nero svolazzante, col viso a metà coperto, si sono allontanate misteriose, invisibili fantasmi, formiche, corvi, uccellacci e uccellini… Continuano a farmi tristezza, paura, anzi orrore. E’ mai possibile che oggi possano ancora esistere?
“Possiamo credere di sapere chi siamo.
Possiamo essere musulmani, ebrei o cristiani
ma finché i nostri cuori non guariscono
vediamo solo le nostre differenze” ( Rumi )

(c) Serenella Gatti Linares
(c) Serenella Gatti Linares

Tolto finalmente l’odioso “foulard”, giunta a casa, ho benedetto il fatto di essere nata in Italia, di abitare a Bologna, di lottare per la parità e per la libertà, che vanno sempre difese. Non penso di avere capito tutto dell’Iran e delle Donne iraniane, ma ci ho provato. Di sicuro mi sono tolta qualche pregiudizio nei loro confronti. L’Iran potrà cambiare quando lo farà la mentalità. E la mentalità può mutare solo tramite la cultura. La diffusione di Internet soprattutto fra i giovani influenza tantissimo. Il grande problema è la religione dogmatica del potere teocratico e corrotto. Un po’ come in Italia, col Vaticano proprio a metà penisola… Qui proibizione di alcolici, di Rock, di effusioni pubbliche; da noi mafiosi e ubriachi che distruggono e provocano incidenti automobilistici… Se la via migliore fosse in mezzo? Dietro ogni “maschera” ci sono solo persone con le stesse esigenze e lo stesso bisogno di confrontarsi. Se penso alla nostra guida locale Mohamad, trentenne laureato in Lingua e Letteratura italiana, molto competente e aperto di idee, mi piace pensare alla speranza. Lavora per il suo paese, raccontando ai turisti la verità, però la può dire solo a loro… Il turismo è ancora giovane, ma in aumento. In Iran per le nostre sorelle la libertà totale non esiste. Ho conosciuto una sera due sorelle di tredici e quindici anni. Erano in compagnia dei genitori, sembravano uniti e contenti. La madre indossava il solito abito nero fino ai piedi, ma loro avevano i jeans, sotto tunichette, che coprivano il sedere, colorate e attillate e i veli erano di colori allegri. Sono state loro a volerci conoscere e voler fare fotografie insieme. Moderne ma simili alle ragazze dei nostri anni ’50, attente, educate, rispettose, tenevano conto di ognuno. In futuro per me l’Iran avrà lo sguardo pulito e curioso di queste adolescenti. Porto a casa un bagaglio infinito ed emozionante.
E’ raro vedere in Iran il colore rosso dei capelli, un po’ streghesco, come il mio.

Serenella Gatti Linares


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