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Serial killer: Vincenzo Verzeni

Da Studiopsicologiatorino @StudioPsyTorino
Quello di Vincenzo Verzeni, noto come “lo Strangolatore di donne” o “il Vampiro Bergamasco”, è il primo caso di omicida seriale studiato scientificamente: se ne occupò infatti Cesare Lombroso.
Nato  nel 1849 a Bottanuco, nel Bergamasco, vive l'infanzia in una famiglia disagiata, non solo economicamente: il padre infatti è alcolizzato e violento, mentre la madre, remissiva e bigotta, soffre di epilessia.
Verzeni inizia la sua carriera criminale all'età di 18 anni: nel 1867 infatti aggredisce nel sonno la cugina Marianna, che abita nella sua stessa casa, e tenta di morderle il collo. Fugge però dinanzi all reazioni della dodicenne.
Nel 1869 una donna, Barbara Bravi, viene avvicinata da un individuo che tenta di strangolarla. Alle sue grida, però, l'aggressore fugge. Pur non riuscendo a vederlo, la donna non escluderà che possa essere stato Verzeni. Ancora nel 1869, Margherita Esposito viene aggredita da un uomo che identificherà poi nel Verzeni; nello steso periodo un'altra donna, Angela Previtali, viene aggredita e trascinata in un luogo isolato, trattenuta per alcune ore e poi liberata dal Verzeni per compassione.
E' però nel 1870 che il “Vampiro Bergamasco” uccide per la prima volta, accanendosi su  Giovanna Motta, una ragazzina di 14 anni probabilmente scelta a caso. La  soffoca, la morde, ne beve il sangue, ne asporta gli organi interni e i genitali. Pochi mesi dopo, nel 1871, anche Elisabetta Pagnoncelli verrà trovata uccisa con un modus operandi molto simile a quello della Motta. Sulla scena di entrambi i delitti vengono ritrovati degli spilloni disposti  in forma simmetrica, quasi rituale, il cui significato è però rimasto oscuro. La sera precedente al secondo delitto, Verzeni aveva cercato di uccidere Maria Previtali, senza riuscirci; fu in seguito a tale fatto che venne arrestato: invitata ad indicare il suo aggressore, infatti, la donna riconosce Verzeni come colpevole.
Cesare Lombroso, incaricato della perizia psichiatrica, gli diagnosticherà la pellagra (che egli considerava, come l'epilessia, un indice di comportamento criminale) in forma avanzata. Lo riterrà “affetto da necrofilomania o pazzia per amori mostruosi o sanguinari”, definendolo “un sadico sessuale, vampiro, divoratore di carne umana”: diagnosi sostanzialmente corretta seppure basata sulle improbabili valutazioni fisiognomiche tipiche della teoria lombrosiana.
Processato e condannato ai lavori forzati a vita, si salverà per un voto dalla pena di morte. Forse a65nche grazie alla perizia di Lombroso, che pur non ritenendolo infermo di mente lo indica come criminale patologico “nato”.
Solo dopo la sentenza il “Vampiro Bergamasco” racconterà a Cesare Lombroso il perché dei suoi efferati rituali  e come ogni azione fosse strettamente legata all'eccitazione sessuale che egli provava: descriverà minuziosamente l’eccitazione prodotta dall'atto di strangolare le sue vittime e di succhiarne il sangue dopo aver fatto scempio del corpo. 
Vincenzo Verzeni non reggerà a lungo ai lavori forzati e nel 1874 verrà trasferito nel  manicomio criminale di Milano dove presto tenterà il suicidio, dopo aver gravemente ferito un infermiere mordendolo ai genitali e causandogli l’asportazione di un testicolo. Secondo la versione ufficiale sarebbe morto a seguito del tentativo di suicidio, ma studi recenti sembrano datare la sua morte al 1918, nel paese di origine in cui era tornato dopo aver scontato 30 anni di carcere.

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